Orlando Furioso. Lodovico Ariosto

Orlando Furioso - Lodovico Ariosto


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fe' al meglio che seppe; e domandolli

      poi se via c'era, ch'al regno guidassi

      di Logistilla, o per piano o per colli,

      sì che per quel d'Alcina non andassi.

      Che ben ve n'era un'altra, ritornolli

      l'arbore a dir, ma piena d'aspri sassi,

      s'andando un poco inanzi alla man destra

      salisse il poggio invêr la cima alpestra.

      56

      Ma che non pensi già che seguir possa

      il suo camin per quella strada troppo:

      incontro avrà di gente ardita, grossa

      e fiera compagnia, con duro intoppo.

      Alcina ve li tien per muro e fossa

      a chi volesse uscir fuor del suo groppo.

      Ruggier quel mirto ringraziò del tutto,

      poi da lui si partì dotto ed istrutto.

      57

      Venne al cavallo, e lo disciolse e prese

      per le redine, e dietro se lo trasse;

      né, come fece prima, più l'ascese,

      perché mal grado suo non lo portasse.

      Seco pensava come nel paese

      di Logistilla a salvamento andasse.

      Era disposto e fermo usar ogni opra,

      che non gli avesse imperio Alcina sopra.

      58

      Pensò di rimontar sul suo cavallo,

      e per l'aria spronarlo a nuovo corso:

      ma dubitò di far poi maggior fallo;

      che troppo mal quel gli ubidiva al morso.

      — Io passerò per forza, s'io non fallo, —

      dicea tra sé, ma vano era il discorso.

      Non fu duo miglia lungi alla marina,

      che la bella città vide d'Alcina.

      59

      Lontan si vide una muraglia lunga

      che gira intorno, e gran paese serra;

      e par che la sua altezza al ciel s'aggiunga,

      e d'oro sia da l'alta cima a terra.

      Alcun dal mio parer qui si dilunga,

      e dice ch'ell'è alchimia: e forse ch'erra;

      ed anco forse meglio di me intende:

      a me par oro, poi che sì risplende.

      60

      Come fu presso alle sì ricche mura,

      che 'l mondo altre non ha de la lor sorte,

      lasciò la strada che per la pianura

      ampla e diritta andava alle gran porte;

      ed a man destra, a quella più sicura,

      ch'al monte già, piegossi il guerrier forte:

      ma tosto ritrovò l'iniqua frotta,

      dal cui furor gli fu turbata e rotta.

      61

      Non fu veduta mai più strana torma,

      più monstruosi volti e peggio fatti:

      alcun' dal collo in giù d'uomini han forma,

      col viso altri di simie, altri di gatti;

      stampano alcun con piè caprigni l'orma;

      alcuni son centauri agili ed atti;

      son gioveni impudenti e vecchi stolti,

      chi nudi e chi di strane pelli involti.

      62

      Chi senza freno in s'un destrier galoppa,

      chi lento va con l'asino o col bue,

      altri salisce ad un centauro in groppa,

      struzzoli molti han sotto, aquile e grue;

      ponsi altri a bocca il corno, altri la coppa;

      chi femina è, chi maschio, e chi amendue;

      chi porta uncino e chi scala di corda,

      chi pal di ferro e chi una lima sorda.

      63

      Di questi il capitano si vedea

      aver gonfiato il ventre, e 'l viso grasso;

      il qual su una testuggine sedea,

      che con gran tardità mutava il passo.

      Avea di qua e di là chi lo reggea,

      perché egli era ebro, e tenea il ciglio basso:

      altri la fronte gli asciugava e il mento,

      altri i panni scuotea per fargli vento.

      64

      Un ch'avea umana forma i piedi e 'l ventre,

      e collo avea di cane, orecchie e testa,

      contra Ruggiero abaia, acciò ch'egli entre

      ne la bella città ch'a dietro resta.

      Rispose il cavallier: — Nol farò, mentre

      avrà forza la man di regger questa! —

      e gli mostra la spada, di cui volta

      avea l'aguzza punta alla sua volta.

      65

      Quel mostro lui ferir vuol d'una lancia,

      ma Ruggier presto se gli aventa addosso:

      una stoccata gli trasse alla pancia,

      e la fe' un palmo riuscir pel dosso.

      Lo scudo imbraccia, e qua e là si lancia,

      ma l'inimico stuolo è troppo grosso:

      l'un quinci il punge, e l'altro quindi afferra:

      egli s'arrosta, e fa lor aspra guerra.

      66

      L'un sin a' denti, e l'altro sin al petto

      partendo va di quella iniqua razza;

      ch'alla sua spada non s'oppone elmetto,

      né scudo, né panziera, né corazza:

      ma da tutte le parti è così astretto,

      che bisogno saria, per trovar piazza

      e tener da sé largo il popul reo,

      d'aver più braccia e man che Briareo.

      67

      Se di scoprire avesse avuto aviso

      lo scudo che già fu del negromante

      (io dico quel ch'abbarbagliava il viso,

      quel ch'all'arcione avea lasciato Atlante),

      subito avria quel brutto stuol conquiso

      e fattosel cader cieco davante;

      e forse ben, che disprezzò quel modo,

      perché virtude usar volse, e non frodo.

      68

      Sia quel che può, più tosto vuol morire,

      che rendersi prigione a sì vil gente.

      Eccoti intanto da la porta uscire

      del muro, ch'io dicea d'oro lucente,


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