Senz'Amore. Marchesa Colombi

Senz'Amore - Marchesa Colombi


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       Marchesa Colombi

      Senz'Amore

      Pubblicato da Good Press, 2020

       [email protected]

      EAN 4064066073336

       PREFAZIONE.

       PSICOLOGIA COMPARATA.

       UNA CONFESSIONE

       VITE SQUALLIDE.

       LE BRICIOLE D'EPULONE.

       LE AFFITTACAMERE,

       FEDE.

       TRE PAIA D'ALARI.

       NELL'AZZURRO.

       SENZ'AMORE.

       FINE.

       Indice

      Il proto, nel comporre questo libro, si meravigliava, di trovare tratto tratto della gente innamorata. Come mai, dacchè il volume è intolato Senz'Amore? E, da quel proto coscienzioso e prudente che è, mi metteva nelle bozze di stampa un bel punto d'interrogazione in margine ad ogni scenetta d'amore, ad ogni palpito, per quanto segreto, che sembrasse a lui aver per movente il sentimento proscritto dal libro, e che l'aveva in realtà.

      Perchè i lettori non abbiano a spedirmi essi pure i loro punti interrogativi, i quali, non avendo il comodo delle bozze di stampa, dovrebbero venire per posta costando a loro la spesa del francobollo, o peggio dovrebbero venire in qualche articolo critico, costando a me il dispiacere d'un rimprovero ingiusto, metto in questa pagina la mia risposta ai punti d'interrogazione del proto, e con essa rispondo anticipatamente anche a quelli dei lettori.

      Intitolando questi racconti: Senz'Amore, ho voluto alludere alla tristezza, alla solitudine, all'abbandono sconsolante di molte esistenze, sulle quali la grande passione che nacque con Adamo e che morrà soltanto coll'ultimo uomo, se pure morrà, non ha sparso le sue grandi commozioni, le sue gioie vive ed i suoi vivi dolori Ho voluto dire che le miserie umane sono infinitamente più cupe quando non hanno quel conforto: e che, fra i poveri, fra gli infelici, fra i diseredati, i soli assolutamente diseredati, assolutamente infelici, assolutamente poveri, sono quelli che non amarono, o non furono amati: la povera Cecchina della Fede, la madre di Marco nella Confessione, le due vecchie delle Vite squallide, Le Affittacamere, Vicentino il prete, Pietro ed il ciuchino delle Briciole d'Epulone.

      Non è una tesi che mi sono proposta, e non ho inteso insegnar nulla nè rimediare a nulla. Non si può mettere l'amore dove non c'è; e, ad ogni modo, non so chi la provvidenza potrebbe incaricare di questa briga. Ho voluto fare degli studi dal vero su questo tema, come nell'altro volume che seguirà questo,—quando seguirà,—e che s'intitolerà Amore, studierò il conforto che questo sentimento può recare alle miserie della vita, e di che illusioni, di che poesia, di che sorrisi, di che idealità può arricchire le più povere esistenze.

      Saranno due studi che avrò fatto per amor dell'arte, come un pittore fa degli studi di paesaggio o di figura, senza pretendere di bandire la legge dell'amore, o di imporre una multa a chi non è innamorato.

      Avrei fatto a meno di scrivere questa prima pagina, quando era già composta l'ultima, se i dubbi del proto non mi avessero fatto temere che il mio titolo potesse far prendere in isbaglio il volume per un libro di morale o un libro di scuola, che proprio, con mio sommo rincrescimento, non è.

       Indice

      Il pollaiolo fece entrare il cuoco di casa Trestelle nella retrobottega, a vedere il suo nuovo apparecchio per l'ingrassamento meccanico dei volatili. Lo aveva fatto venire da Parigi; una riduzione di quello inventato da Odile Martin; costava cinquecento lire. Era una grande stìa, o piuttosto un piccolo carcere cellulare di forma cilindrica. I polli avevano una cella per ciascuno; erano incatenati pei piedi al fondo; non si potevano muovere, nè vedevano nulla a destra nè a manca. Udivano gli altri prigionieri gorgogliare qualche cocò-cocò, o mandare una specie di rantolo; e sporgevano il capo curiosamente dal vano dinanzi della stìa; ma non vedevano che la penombra vuota della stanzaccia, che era quasi una cantina, perchè si dovevano scendere parecchi scalini per arrivarci, ed era debolmente rischiarata da due fori aperti nell'alto della parete.

      Dagli occhi di quei polli sì vedeva che erano tutti impensieriti. Rispondevano cocò-cocò sullo stesso tono sommesso, poi tornavano a sporgere il capo colle pupille lucenti come fiammelle, ed il loro sguardo, ed il movere inquieto del collo parevano dire:

      —Dove sono quegli altri?

      Quella stìa di nuovo genere non aveva nè beccatoio nè beverino.

      —E il becchime? domandò il cuoco di casa Trestelle.

      —Il becchime non ingrassa, sentenziò il pollaiolo coll'aria di chi la sa lunga. State a vedere qual è il mangime che fa la fortuna dei polli e la nostra.

      Prese colla destra un tubo di gomma infisso in una caldaia dove c'era una miscela di latte e farina d'orzo; afferrò colla sinistra il becco d'una gallina, e v'introdusse il bocchino del tubo; poi, premendo col piede un pedale, mise in moto una pompa, che mandò la razione voluta dalla caldaia nello stomaco della bestia.

      —Ecco, disse togliendo il tubo e passando ad operare il pollo della cella seguente. Per otto ore questa gallina è provveduta.

      —Non mangerà altro? domandò il cuoco stupefatto.

      —Ha avuta la sua misura rispose il pollaiolo. Guardate; «Centilitri venticinque»; ed accennò una lastra di latta con quella cifra incisa, infissa sulla parete esterna della cella. Ogni pollo aveva la sua razione indicata a quel modo, come la dieta dei malati sui letti dell'ospedale.

      Ce n'erano di grassissimi, immersi in una specie di sonnolenza ebete, come ghiottoni assorti nella beatitudine del chilo. Soltanto quando la macchina girava sul perno, ciondolavano stupidamente sulle gambe, sproporzionate al peso del corpo, socchiudevano gli occhi un momento, poi ricadevano nel loro sopore.

      C'erano dei capponi dagli occhi ardenti come brace, che si scotevano tutti in uno sforzo supremo per tirar su una gamba sotto l'ala. Ma la catena era ben salda, ed i due piedi dovevano rimanere immobili sul fondo della prigione; ed i capponi gorgogliavano una specie d'imprecazione e gli occhi fosforescenti mandavano lampi.

      La gallina invece, la pollastrella ch'era stata cibata per la prima, aveva la testina fine, i movimenti del collo ondulati, le penne lucenti, ed il suo corpo, floridamente arrotondato dall'assoluto


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