Senz'Amore. Marchesa Colombi
Traverso i vetri chiusi della finestra si vedeva già il bianco dell'alba che non pareva ancora luce, e Marco non aveva finito di scrivere, e piangeva sempre. Continuò ad accumulare le pagine, triste, desolato, ed ogni volta che la brezza mattutina, gli dava un brivido, provava come il terrore della morte.
Quando, più tardi, entrò nella camera della sua mamma, la povera donna fu impaurita, tanto era pallido in viso, cogli occhi cerchiati e profondamente mesti.
—Che cosa ti accade, Marco? Per carità! gridò balzandogli incontro.
Egli si lasciò andare come morto sopra una sedia, e cedette ancora ad un impeto di pianto. Poi, facendosi forza, vergognoso di quell'atto di debolezza, si asciugò gli occhi, cercò di rinfrancare la voce, e disse:
—Non è nulla, mamma; non istò male per ora; soltanto, sento una sensazione di freddo in mezzo alle scapole, ed ho un po' di tosse…
La mamma si fece bianca bianca, ed un'espressione di inesprimibile angoscia le alterò il volto. Aveva udite tante volte quelle parole!
—Ma da quando hai la tosse? domandò tutta tremante. Da quando ti è venuto questo male?
—Chi lo sa? È il nostro male di famiglia; ne portiamo il germe nascendo… Ma questo non importa, soggiunse Marco sedendo accanto alla signora Bellazio, che a quel discorso era caduta sulla sedia in una profonda desolazione. Non importa ch'io viva qualche anno più o meno. Quello che mi affligge è di non averci pensato, avanti di contrarre un'impegno colla Maria… Io non ho diritto di prender moglie per trasmettere ai figli la disgrazia che ha colpiti tutti noi…
E le disse la sua risoluzione, tornando a commuoversi.
—Staremo fra noi, mamma. Mi assisterai tu come hai assistiti gli altri, ed almeno non avremo rimorsi…
Le preghiere, le persuasioni della madre non valsero a nulla; era così convinto di dover morire che si sentiva già staccato da tutto; studiava in sè i sintomi del male, e vedeva coll'immaginazione il quadro della sua fine.
Tutto quello che la signora Bellazio potè ottenere fu che non prendesse una risoluzione prima d'aver parlato col medico.
Lei non poteva credere che Marco fosse malato.
—Sei sempre stato forte, andava ripetendo. È la prima volta che dici d'aver la tosse. E poi, non rassomigli a nessuno de' tuoi fratelli, nè al babbo, poveretto. Rassomigli a me che sono robusta. Ma che! Ma che! Tu non hai nulla…
Il tempo incalzava. Si chiamò il medico il giorno stesso; il dottor Andreoni, un vecchio che aveva assistiti tutti i figli ed il marito della signora Bellazio. Egli fece una lunga oscultazione, esaminò il giovane minutamente, e si mostrò soddisfatto del suo stato.
—Non solo non ha la menoma lesione ai polmoni, disse, ma non ha nessuna disposizione ad averne. Ha un bel torace ampio, e l'apparecchio respiratorio non potrebbe essere meglio costituito. Stai di buon animo, figliolo. Potrai morire di qualsiasi male, perchè tutti si muore, ma non morrai di tisi.
La signora Bellazio piangeva di gioia a quelle parole. E Marco pure parve rassicurato. Soltanto disse che aveva ricevuto una scossa, che, qualunque ne fosse la causa, pel momento non si sentiva bene. E senza mandare quella lettera disperata che aveva scritta, volle ad ogni costo che si differissero le nozze per qualche tempo, finchè egli non si sentisse completamente ristabilito in salute.
La signora Bellazio andò in persona a Gradate il giorno stesso per evitare che si facessero gli ultimi apparecchi; espose le circostanze che avevano inquietata pel momento la coscienza delicata di Marco, ed ottenne dalla signora Nardi, non solo una facile adesione, ma una vivissima approvazione per quella misura di prudenza, che mirava a non esporre sua figlia ad un matrimonio disgraziato. Le due vedove si separarono amichevolmente:
—I ragazzi sono giovani, conclusero; quando Marco sarà guarito, se la
Maria sarà ancora libera, si riuniranno.
In casa Bellazio si riprese la solita vita. Da circa un anno, Marco aveva ottenuto il posto di direttore meccanico in una grande officina. Passati quei giorni di turbamento, ricominciò ad uscire il mattino pe' suoi lavori, ed a passare la giornata fuori. Era taciturno, e questo faceva meraviglia perchè aveva un carattere naturalmente sereno ed espansivo. Ma sua madre attribuì quella malinconia all'allontanamento della sposa, alle speranze che aveva lasciate svanire, e non gliene parlò. Alla fine di settembre madre e figlio andarono ad abitare il nuovo alloggio preparato per gli sposi; ma la sposa non c'era, e l'inaugurazione del quartierino elegante fu tutt'altro che festosa. La camera nuziale rimase chiusa, e Marco si fece mettere un letto nello studio, una stanzetta piccola dove stava rinchiuso tutte le ore che non erano reclamate dalle sue occupazioni fuori di casa, assorto in lunghe letture.
Sua madre avrebbe preferito di passare la sera in compagnia, o di vederlo andar fuori e divertirsi; ma egli rispondeva sempre:
—Questa sera non ho voglia di parlare; preferisco leggere un poco; sarà per domani, mamma. Ma il domani di star allegro e di divertirsi non veniva mai.
—Non ti senti bene? domandava spesso sua madre. Ma egli la rassicurava: era soltanto un po' stanco… E lei confidava che col carnevale tornerebbe allegro, e si riprenderebbero le relazioni colle signore Nardi.
L'ottobre passò uggioso a quel modo. Neppure l'ora del piccolo pranzo di famiglia, che altre volte era tanto animata dalle ciarle di Marco, dalle sue dimostrazioni affettuose verso la mamma, dalle loro discussioni sulla musica, sull'esposizione di Brera, sulle mode, sulle nuove pubblicazioni, ora era silenziosa e triste. Marco mangiava poco e distrattamente, ed appena aveva finito, pigliava un giornale o un libro per aspettare il caffè, poi se ne andava nella sua camera.
Qualche volta la signora Bellazio lo pregava di accompagnarla a teatro. «Al Manzoni c'era la compagnia Pietriboni che dava una nuova commedia di Ferrari. Al Dal Verme c'era l'opera semiseria con artisti buoni…» Marco non si faceva pregare; ma rimaneva tutta la serata in fondo al palco, senza prestare la menoma attenzione allo spettacolo.
In novembre il dottor Andreoni, che andava qualche volta a passare la sera colla signora Bellazio, le disse:
—Che cos'ha Marco? Questa mane l'ho incontrato; era un po' abbattuto, e serio serio. Ha in mente ancora quella malinconia della tisi?
—No, rispose la madre. Dice che non ci pensa più; ma di certo ha cambiato carattere dopo che ha mandato a monte il matrimonio.
—Cerchi di ravvicinarlo alla sposa. Dacchè è rassicurato sulla sua salute, non c'è più ragione che rinunci a' suoi disegni. L'amore della sposa, il cambiamento di vita, l'orgasmo delle nozze, gli faranno del bene. Non mi piace quella tristezza.
La signora Bellazio ne parlò al figlio:
—Ora che sei persuaso di non essere ammalato, perchè non vai a fare una visita alle signore Nardi che sono tornate in città?
—Non mi pare il caso, rispose Marco. Dacchè abbiamo rotto il matrimonio…
—Rimandato soltanto, a tempo indeterminato; e fra noi non c'è stato nessun dissapore. Temevi per la tua salute, hai preso tempo a riflettere. Ora stai bene, la tua affezione è sempre la stessa per la Maria, mi figuro. È naturale che tu ritorni a lei.
—È ancora troppo presto, disse Marco. E poi, non si sa che impressione abbia fatto sulla Maria il mio distacco. Preferisco incontrarla in società, vedere prima come si contiene, se si mostra risentita, se ha cambiato pensiero…
Ma in società Marco non ci andava. Diceva sempre che era stanco, che aveva da scrivere, e differiva di volta in volta. Si faceva sempre più misantropo.
Il dicembre fu molto rigido. Ci furono delle grandi nevicate che rendevano le contrade quasi impraticabili. Andando all'officina, dove per la fine dell'anno si dovevano fare delle riforme e degli ingrandimenti, Marco si prese un'infreddatura, che lo obbligò a stare qualche giorno a letto. La signora Bellazio fece subito chiamare il medico, e quando questi entrò in camera, Marco disse:
—Ci