Prose (1880-1890). Cesare Pascarella
invocanti il soccorso dai tetti delle case di via Flaminia, videro lo scultore e il manichino abbracciati strettamente, galleggiare sicuri su la furiosa fiumana.
Povero manichino! per opera sua lo scultore fu conservato all'onore dell'arte e alla speranza dei creditori; ma lui morì fradicio. E la sua lunga agonia non fu neanche confortata da un cenciolino di medaglia al valore civile!
Ed ora dirigo la mia parola agli artisti.
Vedete: se il manichino qualche volta non fa quanto gli domandate, non è che ci metta della cattiva volontà; è proprio perchè non può. Dovete anzi pensare che non v'ha cosa meglio maneggevole di lui; anzi, questa volta proprio si può dire che potete girarvelo come meglio vi talenta e accomodarvelo come meglio vi piace. Certo, però, che vi abbisogna un pochino di pazienza e anche un pochino d'occhio; perchè, è uno sbaglio il credere che tutti i manichini possano essere capaci delle stesse azioni.
Ve ne sono alcuni di forte e solida costruzione, che sdegnano di ornare la loro persona coi rasi e coi broccatelli del secolo scorso. Ve ne sono altri a cui si richiede invano di chiudere il loro esile torace nella corazza brunita del medio evo. Ve n'ha di quelli che amano la posa eroica e di quelli che prediligono la posa umile. Ve ne sono moltissimi che non possono posare se non seduti mollemente sui morbidi cuscini dei ricchi e malinconici sedioni medioevali.
È vero, pur troppo, che esistono manichini senza carattere, sempre disposti a posare indifferentemente e per Dio e pel Diavolo, per san Michele Arcangelo e per quello che gli sta sotto. Ma se vi sono manichini di questo stampo, non sono tutti così: se ne trovano anche di quelli che hanno un carattere, una fede, una coscienza: e i secondi sono di gran lunga più numerosi dei primi.
Alle volte non potete immaginare a quali torture si assoggettino i poveri manichini, costretti dai loro padroni a raffigurare cose e persone da essi odiate, da essi non sentite. Io ho conosciuto un valente acquarellista che volle costringere il suo manichino a posargli nientemeno che da tomba di Cecilia Metella e da acquedotto della campagna romana, e il poveretto piegò la sua persona a raffigurare quei bruni ruderi della civiltà latina; ma quali spasimi, quali dolori non deve aver provato quel povero manichino?
Io non conosco pena maggiore di quella di veder soffrire un povero manichino.
Egli è là, nella posa da lui non sentita, e non amata; è là muto, con gli occhi sbarrati, con la faccia pallida, con le dita nervosamente contratte, e soffre in silenzio senza mandare un lamento; solo di tanto in tanto s'ode uno scricchiolìo. Il pittore si stizzisce ed egli sgranchite le giunture ritorna immobile. Chi sa mai quali torture affliggono quella testa di legno? Chi può dire quali tristi pensieri passino, s'affollino in quella figura all'apparenza così calma e paziente? Chi sa quanti poveri manichini, malati, cagionevoli di salute... Già, poichè, non crediate, o signori, che il manichino non abbia anch'egli le sue malattie. Ne ha due fierissime: la calvizie e la debolezza.
La prima è incurabile, però non è mortale; la seconda è mortale, ma per compenso la si può curare facilmente. Il rimedio a codesto male, voglio dire alla debolezza, è il medesimo oggidì tanto in voga. Ma non crediate che il manichino se ne serva ora solo che viene indicato su le quarte pagine come la panacea universale. Quando il ferro, o signori, non era ancora conosciuto come efficacissimo rimedio, egli lo aveva già da lungo tempo nelle sue medicine. E bisogna vedere, quali effetti miracolosi produca il ferro negli organismi malati dei manichini. Io, o signori, ne ho visti alcuni infermi al punto da non reggersi sui piedi, io li ho visti, subito dopo aver ingoiato un palo di ferro, risorgere forti e robusti come per miracolo.
E bisogna vedere con quale stoicismo essi si assoggettano alle più difficili operazioni!
A un povero manichino s'era infradiciato l'omero. Rimasto abbandonato per parecchio tempo in una cantina, l'umidità gli aveva intaccato i tessuti e minacciava di incancrenirgli il torace.
Fu deciso di segargli il braccio.
Cosa incredibile! Durante la difficile e dolorosissima operazione non un lamento uscì dalla sua bocca, non uno sguardo doloroso contristò la sua faccia serena. E notate che non si era adoperato neanche il cloroformio!
Signore, Signori,
Il tempo fugge e già che, fortunatamente per voi, siamo ormai vicini al termine di questa mia chiacchierata, permettetemi di enumerarvi talune di quelle opere alle quali il manichino si gloria di aver dato origine.
Nelle arti belle, quando non sono brutte, egli ha ispirato quadri e statue in grandissimo numero, sì che sarebbe impossibile il contarle.
Nell'arte dei capperi ha ispirato al maestro Fétis «Il Manichino di Bergamo», un'opera comica di grande interesse nella storia del melodramma, perchè il suo autore scrivendola tentò per la prima volta di introdurre sul palcoscenico brani di musica scritti in note e parole. Nel campo letterario ha dato il modo a Guglielmo Teodoro Hoffmann, il simpatico narratore di istorie incredibili, di scrivere una delle sue più belle pagine raccontando l'amore ardente di uno studente di Gottinga per un manichino. Sulla scena di prosa il manichino ha avuto anche i suoi trionfi. Vi sovviene della farsa deliziosa «Il modello di legno?» Nella poesia egli ha pagine splendide e pagine sublimi e pietose ha nella forte e sana letteratura popolare. Ricordate la dolorosa e commovente istoria di quel povero pittore, il quale «per dispiaceri amorosi e anche più per l'esposizione, muore barbaramente suicidandosi con le sue proprie mani»?
Ve la dirò dal principio:
V'era un giovin di buona famiglia
Il quale, Peppino nomato
Che all'età di vent'anni arrivato
Si decise di fare il pittor.
La famiglia sua propria e i parenti
Gli dicevano no ad ogni costo;
Ma Peppino fuggì di nascosto,
Per studiare soletto da sè.
Era il tempo dell'anno passato
Quando v'era la gran discussione
Sul palazzo dell'esposizione
Che a novembre s'aveva da aprir.
Ma che invece per molte ragioni,
E anche più, perchè ancora quel sito
A novembre non era finito.
Si decise di aprirlo più in là.
E Peppino pensato il suo quadro
Ch'è la morte del conte Ugolino
Lo dipinse e al suo proprio destino
Lo mandava nell'esposizion.
Ma in quel tempo s'infiamma d'amore
D'una vaga, gentil damigella,
Che faceva il mestier di modella
E la volse per forza sposar.
Da principio fu sempre fedele
A Peppino la vaga sua sposa,
Ma più lardi poi fu un'altra cosa;
Sciagurata! Lo volse tradir.
Chè di lui un amico sincero,
Che fu poi un gran traditore,
Pria gli tolse la pace e l'onore,
Poi fu causa di gran crudeltà.
Ma intanto si apre il palazzo
Con le opere all'esposizione.
Interviene la gran commissione
Con i corpi dell'autorità.
E la morte del conte Ugolino
Vien da tutti i giornali lodato.
Il gran premio gli vien decretato,
Ma nessuno lo vole comprar.
Ma la sera in cui stava al quint'ordine
Dell'Apollo,