Prose (1880-1890). Cesare Pascarella

Prose (1880-1890) - Cesare Pascarella


Скачать книгу
Ebbene: il professore si tinge la barba una volta al mese; per cui dal primo giorno del mese all'ottavo, la sua barba è nera. Dall'otto ai sedici diviene marrone; dai sedici al ventiquattro tutti i peli del professore diventano rossicci; dal ventiquattro in su diventano gialli, e quando la barba del professore è gialla, vuol dire che siamo alla fine del mese.

      — E allora è orribile essere al verde — ripresi io ridendo.

      Vicino allo studio del professore s'apriva una terrazzina scoperta dove i modelli andavano a sgranchire le membra nei momenti di riposo, e per solito dalle dieci alle dieci e mezza, tempo permettendolo, c'era rappresentazione: ci andavano spessissimo a passeggiare Torquati Tassi e Beatrici Cenci, cardinali Ippoliti e moschettieri, Danti e conti goldoniani, frati dalle tonache scolorite e guerrieri medioevali, apostoli ed evangelisti; e, qualche volta non era difficile di vederci qualche Padreterno con gli occhiali che fumava la pipa, leggendo il giornale, o discorreva a tu per tu con una ciociara di Sora.

      Dalla terrazza salendo una scalettina di legno si andava in una specie di piccionaia, dove abitavano una pittrice tedesca vecchia come una mummia, e un giovinetto magro e sparuto che era venuto a Roma, mandatovi in pensione dal municipio di una piccola città delle Puglie.

      Il giovinetto non appena arrivato qui era andato a visitare il museo vaticano per studiarvi la Trasfigurazione di Raffaello. Lassù aveva conosciuto la vecchia tedesca che copiava il quadro del grande maestro e avevan finito con l'unirsi, accomunando, a maggior gloria dell'arte, la loro miseria e il culto per il divino urbinate. Il giorno andavano in giro per i musei; all'imbrunire tornavano nel loro bugigattolo e quello che facessero là dentro nessuno lo ha mai saputo.

      Un giorno, il pugliese venne nel nostro studio a dimandarmi non so più quale cosa, e mi raccontò che il suo municipio lo aveva mandato a Roma togliendolo dalla campagna dove guidava le pecore.

      — Fin da fanciullo io scolpivo col temperino nel legno i ritratti dei miei compagni. — mi disse il pugliese, e cavato dalla tasca un quaderno che gli dava noia nel gestire, perchè parlando il giovinetto agitava nervosamente le braccia lunghe e magre, lo posò sul mio tavolino. Io gittai lo sguardo sul quaderno e vi lessi in cima alla prima pagina, scritto in bel carattere rotondo, questo titolo: Del modo come ti dovrai regolare per dipingere vecchie megere irate e brutte a guisa di furie infernali.

      Non mi potei trattenere dal ridere, e come egli s'avvide che avevo letto il suo manoscritto, divenne di bragia, e con un atto brusco coprì con la mano il quaderno.

      — Ma perchè — gli dissi — nasconde il suo lavoro e arrossisce? Dovrebbe esserne orgoglioso, mi pare.

      E siccome io lo lodava del suo amore per l'arte si rabbonì e incominciò a parlarmi di un quadro che egli stava dipingendo (quadro che nessuno vide mai), e di certe preparazioni esperimentate con molta fortuna.

      — È inutile illudersi — mi disse poi — gli antichi preparavano tutti. E questa è la ragione dell'eccellenza della loro arte. — Ah! se potessi avere nelle mani un quadro di Tiziano! Glielo vorrei far vedere io quello che c'è sotto.

      — E che cosa vuole che ci sia?

      — Ma lei si vuol levare un gusto? — riprese allora interrompendomi il pugliese. — Lei vada in una galleria, gratti il cielo di un quadro di Tiziano e vedrà che ci trova sotto...

      — Per lo meno un paio d'anni di manicomio! — esclamai io, ridendo.

      — Ma lasci andare gli scherzi! Lei raschi un cielo di Tiziano e vedrà che sotto al turchino ci troverà il cinabro. Eh! caro lei, oggi la pittura si fa a orecchio. Oggi non si prepara più. Non si vela più: e pure, dica quello che vuole, ma la forza dei veneziani consiste appunto nelle velature e nelle preparazioni. — E, mentre io lo ascoltavo, prese a discorrermi di Cennino Cennini, e di un professore suo amico che gli aveva dato consigli e precetti di pittura; e dopo di avermi spiegate talune astruserie sui varii sistemi di dipingere «in fresco», all'olio e all'acquarello; sprofondò una mano nella tasca del suo abito e ne cavò fuori due uova.

      — Due uova? — dissi interrogandolo con gli occhi.

      — Già, due uova. E sa che ne farò?

      — Lo immagino.

      — No... No... Con queste uova rafforzerò la spina dorsale del mio quadro.

      Io lo guardavo sorpreso, ed egli contento della mia ignoranza posò le uova sul tavolino e rificcata la mano nella tasca ne cavò un involtino.

      — Che cosa è? — gli chiesi.

      — Guardi — disse aprendo la carta. — È miele, e ci dipingerò il terreno del mio quadro.

      E siccome io rideva, egli alzando il pollice nel vuoto, riprese a dire: — Guardi bene. Qui nero d'avorio — E agitava il pollice come se desse il colore sulla sua tela. — Qui sopra una brava velatura di giallo battuto impastato col miele; e quando sarà diseccata, una buona lavata con questo.

      — E lì che altro c'è? — chiesi additando un altro involto che egli avea cavato di tasca.

      — È sapone. — E in così dire mi mostrò un pezzo di sapone nero da lavandaia.

      Io non osando più di contradirlo allungai lo sguardo su un nuovo involto che gli usciva da un'altra tasca dell'abito. Il pugliese appena s'avvide della mia curiosità, cavò fuori anche quella carta e la svolse. C'era dentro una fetta di pane.

      — E se è lecito con quello che cosa ci dipingerà? — ripresi io sorridendo e accennando il pane.

      — Il mio pranzo, — ripigliò il pugliese fieramente: e se ne andò.

      Il giorno dopo gli domandai quale successo avessero avuto i suoi esperimenti. Egli diventò rosso, annaspò poche parole, mi stese la mano e si allontanò.

      Compresi tutto. Il disgraziato non aveva avuto la forza di resistere agli stimoli dello stomaco vuoto, e così il miele che dovea stemperar coi colori per il terreno del suo quadro, lo avea spalmato sulla fetta di pane; le due uova, invece di amalgamarle ai colori del cielo per dar luce e smalto al dipinto, le avea cotte al tegame, e il sapone... Oh! il sapone era l'unica cosa da lui serbata per la pittura: almeno a giudicarne dalle sue mani!

       * * *

      Ma forse il più bel tipo fra tutti era il segretario dello stabilimento: un vecchietto magrolino, con una barbettina biancastra su le guance rugose color di terra cotta, coi riccioli incolti della capigliatura che gli uscivano di sotto alla tesa unta di un cappellino a cencio. E perchè camminava a passi brevi e misurati con una certa languidezza di movimenti, benchè i suoi genitori lo avessero battezzato col nome di Nicola, lo chiamavano tutti Nicoletta.

      Lo chiamavano anche segretario; perchè era lui che spazzava gli studii, faceva gli sgomberi, e portava in giro i quadri; infine perchè era lui che faceva qualunque altro servizio potesse occorrere agli artisti dello stabilimento.

      Per lunghi anni aveva esercitata la professione del modello; ma poi l'aveva abbandonata perchè, come soleva dire, li tempi s'annuvolaveno. E mettendo insieme poche tegole tolte alle case vicine, qualche tavola tarlata presa negli studii e qualche albero secco portato via dagli orti vicini, s'era costruita una specie di capanna a ridosso di un muro dello stabilimento, e in quel rifugio passava tranquillamente le sue giornate, fumando la pipa e fabbricando torce di resina.

      — So' solo! — diceva sempre — So' solo, e sarv'ognuno, quanno ho magnato io, hanno magnato tutti.

      Egli avea incominciato a posare da angioletto per Thorwaldsen; avea posato da Redentore nello studio di Podesti e da Immacolata Concezione in quello dell'Agricola. Tenerani lo avea effigiato in marmo con un paludamento greco: aveva indossato un robone serico da consigliere della Repubblica veneta nello studio del Celentano; Fracassini lo avea dipinto, ricoperto di stoffe preziose, in costume da grande di Spagna; Rosales da romano antico e Fortuny da vecchio nobile del settecento. Poi il buon Nicoletta, visto che li tempi s'annuvolaveno, si era ritirato dalla professione. Ma pur fabbricando torce a vento era rimasto ognora affezionato agli artisti che, anche


Скачать книгу