La Giovine Italia. Mazzini Giuseppe
dal Mazzini a preparare una rivoluzione popolare di concorso e di attuamento; comecché invero essi dettati fossero in una lingua ardua non solo alle plebi, ma a molti eziandio che non si stimano plebe»13. Ma, questa, che nella mente del Bianchi (e non del solo storico della Diplomazia europea in Italia) potè sembrare un difetto della Giovine Italia, era invece una delle sue forze. Sino allora, se ne togli qualche rarissimo opuscolo, ad esempio il tremendo libello del Panizzi contro il Duca di Modena, la letteratura patriottica dal 1821 in poi deve considerarsi una specie di accademia; sembra, infatti, che gli scrittori, piú del contenuto!, si preoccupino della forma nelle loro argomentazioni; piú della patria, delle persone; e questo effetto produce la [pg!xviii] lettura di quella miriade di libri, di opuscoli, di fogli volanti usciti pro e contro coloro che avevano partecipato ai moti rivoluzionari del 1831 nell'Italia Centrale. Invece la Giovine Italia, sotto l'impulso del suo direttore, che volse e diresse le coscienze italiane ad altri ideali, con la santissima formula che non finí mai di ripetere, essere la vita una missione, una virtú il sacrifizio, che alla distanza di settanta anni sono oggi sempre gli stessi, o almeno dovrebbero esser tali, ebbe un diverso obbiettivo. «A principio — scrive il Mazzini nel settembre del 1832 a Pietro Giannone, — volendo pure cacciare innanzi il sistema nostro, ho dovuto esaltare la gioventú, e ingigantirla a' suoi proprii occhi. Vinto oggi, o quasi, quel primo tumulto ch'io prevedeva, ch'io suscitai deliberatamente, perché mi pareva necessaria una separazione fra chi vuole esser forte, e chi è debole, o peggio, io scemerò gradatamente le mie lodi a' giovani, serbandole a' fatti». E qui sta tutto il segreto della potenza di Giuseppe Mazzini; né alcuno meglio di lui, che aveva la parola dell'ispirato, la purezza di costumi d'un angelo, la tenacia di proposito d'un uomo veramente superiore, le predizioni d'un profeta, alcuno meglio di lui, ripetiamo, con buona pace di Nicomede Bianchi, che destinò molte pagine d'un suo libro per dimostrare il contrario, poteva degnamente prestarsi al nobile assunto.
[pg!xix]
* * *
Il primo fascicolo della Giovine Italia uscí, insieme col secondo14, il 18 marzo 1832. Tipografo ne era Giulio Barile, amministratore e gerente Vittorio Vian. Parecchi illustri esuli, quali Guglielmo Libri, Antonio Benci, Giovanni Berchet, Giuseppe Pecchio, avevano promesso la loro collaborazione, che poi non effettuarono mai, onde il Mazzini si lamentava giustamente d'essere rimasto quasi solo15. Egli però doveva essere molto contento del successo ottenuto, poiché nel novembre del 1832 scriveva a Carlo Didier, l'autore della Rome Souterraine: «Le journal a suscité une telle clameur, dès sa première apparition qui, inexplicable pour tout étranger non initié à nos querelles d'organisation politique, ne l'est pas pour moi. Cette clameur je l'avais prévue et calculée d'avance. Elle se rattache aux évènements [pg!xx] politiques qui ont agité l'Italie à la surface en 1831. Je dis à la surface, parce que là gît tout le levain de discorde entre nous et les vieillards; c'est à la surface qu'ils agitent et agiteront toujours l'Italie, car ils craignent l'orage, ils ont peur de soulever de tempêtes au milieu desquelles leurs faibles mains ne puissent pas gouverner; nous nous voulons remuer cette terre jusqu'aux entrailles; nous voulons bouleverser cette eau morte, soulever le flot de l'activité populaire; que si le débordement nous entraînera nous les premiers, peu importe; nous en sommes à ce point, auquel il faut prononcer le grand mot, dût-il coûter la vie à celui qui le prononce»16. Ma quante fatiche per metterlo insieme e quante astuzie perché potesse circolare in Italia! «Eravamo, Lamberti, Usiglio, un Lustrini, G. B. Ruffini ed altri cinque o sei modenesi, quasi tutti soli, senza ufficio, senza subalterni, immersi l'intero giorno e gran parte della notte nella bisogna, scrivendo articoli e lettere, interrogando viaggiatori, affratellando marinai, piegando fogli di stampa, legando involti, alternando tra occupazioni intellettuali e funzioni di operai»17. Tuttavia il lavoro di contrabbando, vitale per la Giovine Italia, irto di pericoli e di responsabilità per chi lo compieva e per chi lo commetteva, era mirabile. «Un [pg!xxi] giovane, Montanari, — scrive il Mazzini ne' suoi Ricordi autobiografici, — che viaggiava sui vapori di Napoli rappresentandone la Società, e morí poi di colèra nel mezzogiorno di Francia, altri, impiegati sui vapori francesi, ci giovarono moltissimo. E finché l'ira dei governi non fu convertita in furore, affidavamo ad essi gli involti, contentandoci di scrivere sull'involto destinato per Genova un indirizzo di casa commerciale non sospetta in Livorno, su quello che spettava a Livorno un indirizzo di Civitavecchia e via cosí: sottratto in questo modo l'involto alla giurisdizione doganale e poliziesca del primo punto toccato, l'involto serbavasi dall'affratellato sul battello, finché i nostri, avvertiti, non si recavano a bordo dove si ripartivano le stampe celandole intorno alla persona. Ma quando, svegliata l'attenzione, crebbe la vigilanza e furono assegnate ricompense a chi sequestrasse, e pronunziato minacce tremende agli introduttori — quando la guerra inferocí per modo che Carlo Alberto, con editti firmati dai ministri Caccia, Pansa, Barbaroux, Lascarène, intimò, a chi non denunzierebbe, due anni di prigione e una ammenda, promettendo al delatore metà della somma e il segreto — cominciò fra noi e i governucci d'Italia un duello che ci costava sudori e spese, ma che proseguimmo con buona ventura. Mandammo i fascicoli dentro barili di pietra pomice, poi nel centro di botti di pece intorno alle quali lavoravamo, in un magazzinuccio affittato, la notte: le botti, dieci dodici, si spedivano numerate per mezzo d'agenti commerciali ignari a commissionari egualmente [pg!xxii] ignari ne' luoghi diversi, dove taluno dei nostri, avvertiti dell'arrivo, si presentava a mercanteggiare la botte che indicava col numero il contenuto. Cito un solo dei molti ripieghi che andavamo ideando»18.
Nonostante, quindi, le immense difficoltà e la vigilanza quasi febbrile della polizia, la Giovine Italia entrava di soppiatto ne' luoghi dove poteva maggiormente riscaldare e far palpitare. Da Marsiglia e da Lugano, co' metodi indicati dal Mazzini e con altri che usavano i patriotti, facendo a gara d'astuzia con la polizia, il verbo della nuova associazione si diffondeva per la penisola. «Fra le risultanze processuali apparve che la filatura di cotone di Castiglione, presso Lecco, era una fucina contro lo straniero, e che ivi i fratelli Grassi ricevevano i pacchi della Giovine Italia e del Tribuno»19. Da Genova, dove giungevano per la via di Marsiglia, i fascicoli erano distribuiti ad Alessandria, Casale, Vercelli «per il tramite Ruffini-Pianavia-Girardenghi-Bossi-Stara»20; né valse che una volta, il 4 luglio 1832, la polizia, avutane notizia da qualche vile delatore, scoprisse a colpo sicuro molte copie del periodico nel doppio fondo di un barile diretto dal Mazzini alla [pg!xxiii] madre: perché, se vigili e talvolta bene informate, erano le polizie italiane, audacissimi si dimostravano gli affigliati della Giovine Italia.
* * *
Ma non erano solo i governi a combattere ad oltranza il periodico, in quanto i giornali, apparsi nell'Italia centrale subito dopo la rivoluzione del 1831, quasi a distruggere le idee liberali che si andavano sempre piú sviluppando, si fecero paladini e corifei de' governi reazionari, comprendendo subito che il nemico col quale doveano cimentarsi era veramente terribile. «Che cosa è la Giovine Italia?» si domandava un di questi giornali21, il piú feroce di tutti, la Voce della Verità [pg!xxiv] di Modena, diretto apparentemente da Cesare Galvani, dacché gl'ispiratori erano il Canosa e il balí Sanminiatelli, i due piú ascoltati consiglieri del Duca di Modena. E rispondeva: «La Giovine Italia è un magazzino di sferravecche del filosofismo del secolo passato, è una compilazione alla vecchia moda rivoluzionaria di Francia scritta nel vecchio gergo del 1793.
«La Giovine Italia ha per iscopo di ricondurre fra noi l'anarchia, gettando in mezzo al popolo il vecchio balocco dell'indipendenza e dell'eguaglianza, sotto il patronato dei vecchi nostri Bassà a tre colori, e dei nostri vecchi espilatori.
«La Giovine Italia ha per sistema la vecchia tattica dei sofisti oltremontani, di mettere a traffico la credulità dei gonzi, obbligandoli a giurare in verba magistri sopra una quantità di cose incredibili, l'inesperienza dei giovani, allontanandoli dall'investigazione delle cose passate, e l'accidia degli adulti, dispensandoli dal peso incomodo dei doveri per trattenerli continuo di una quantità di diritti fabbricati nella vecchia fucina del 1789.
«La Giovine Italia infine ha per ausiliarî tutti [pg!xxv] i vecchi miscredenti, i vecchi giacobini, i vecchi bonapartisti, i vecchi mercanti