Impressioni d'America. Giacosa Giuseppe
vide piantato come un termine, essa mi disse in francese, ma coll'accento americano:
— Oh signore, quanto vorrei essere la prima a discendere!
E la sentivo ridere in gola per l'emozione ed il piacere frenati.
— Oh signore, che gioia per me se potessi essere la prima a discendere!
— Lo sarete, signorina, ve lo prometto.
Mi lesse negli occhi un sospetto, e mi disse con grazia accorta:
— È mio fratello, signore, che non vedo da tre anni. Torno sola d'Europa.
E tremava tutta dall'impazienza. Poi si trattenne discreta:
— Ma forse voi pure:
— No, nessuno mi aspetta, signorina; mi sono appostato per correre presto al telegrafo.
Essa allora pronta e ridente:
— Ebbene, faremo così: voi mi darete il braccio e scenderemo insieme.
E così avvenne ch'io posi primamente il piede sulla terra d'America dando il braccio ad una bella e giovane fanciulla americana che non avevo veduto mai, che non sapevo chi fosse, che scivolò via appena tocca la terra, che non vidi e non vedrò certo mai più, ma la cui compagnia di un minuto, mi parve gentilmente salutevole e di ottimo augurio.
CAPITOLO II.
New-York.
New-York, a chi vi giunga d'Europa, si palesa intera al suo primo apparire. Si palesa, non si mostra. L'occhio ne vede una minuscola parte, la mente vi riconosce i segni espressivi dei suoi caratteri. Nessun'altra città forse, è così di subito parlante allo spirito e così sincera. Le belle città digradanti al mare in anfiteatro, dicono di sè il meglio e nascondono le brutture; si sporgono in veduta pittorica mostrando più le cose che le genti e la vita. In New-York, le cose, la gente e la vita vi scolpiscono insieme di maniera che non potete disgiungere una nozione dall'altra. Al più si può dire che primeggi a misura di tempo l'azione. La gran città agisce prima di mostrarsi. Innanzi che appaiano le coste ed i fari della terra americana, dieci, dodici ore prima dell'arrivo vi si fanno incontro le alte vele triangolari dei piloti che scorrazzano al largo in traccia di navi giungenti. Presso i porti europei i piloti s'incontrano là dove ne occorre l'aiuto. Gli Americani fanno di questo servizio uno sport nautico che tradisce la loro temeraria attività e l'indole avventurosa. Spingono i loro legni a lontananze in quei mari e in quelle nebbie pericolosissime. Sono esili cutter, tutti ala, che meriterebbero l'antico nome di saettie, e sembrano briachi di velocità tanto rullano alla spinta della vela eccessiva. Come il locatiere abborda un vapore transatlantico, vi porta fasci di gazzette americane che i passeggieri sciolgono, leggono in crocchio, si scambiano a vicenda con avidità di affamati. Così è anticipata ai naviganti la cronaca del mondo e giungono a molti fortunati le notizie domestiche, mandate per telegrafo ad un prefisso giornale e da questo stampate in apposita rubrica: accortezza industriale che inumidisce molti occhi e illumina molti visi.
Appena imboccato il largo braccio di mare che separa lo Staten Island dalla punta di Hamiltonville comincia la vita di New-York. Di New-York, perchè la città imperiale non ostante la disputata autonomia dei luoghi finitimi, nel concetto degli Europei, incorpora in sè tutti i centri popolosi che la circondano. In realtà le navi, prima di giungere alla vera metropoli, costeggiano quattro città diverse, due delle quali, se non fosse la sua formidabile vicinanza, conterebbero fra le maggiori del mondo: New-Brighton, Bayonne, New-Jersey e Brooklyn. Ma se le rive, i colli e le fabbriche prendono diversi nomi e si spartiscono in più municipi, anzi in più Stati, la vita che scorre e si diffonde sulle acque trae dalla sola New-York quella varietà di caratteri onde l'estuario dell'Hudson è vantato fra i punti più interessanti e pittoreschi della terra. Quelle minori città non mostrano che scali e depositi, non mettono in mare e non ricevono che informi e pesanti navi carbonifere, non mandano altro suono che stridori di argani e di grue e quell'orribile ininterrotto stridore ferreo che fa vibrare i precordi. New-York aggiunge a questi attributi della operosità commerciale e meccanica, i segni di una attività varia, più signorile, vorrei dire più umana: elementi di vita intellettuale, d'arte, d'eleganza, di piacere. Essa alterna al gran lavoro delle navi partenti e giungenti, la vispa gaiezza di mille yachts a vela ed a vapore, nitidi, rilucenti, i quali mettono fra quelle note basse, acuti fischi in nota di ottavino e strilli di risate e gridolini di donne deliziosamente spaurite. Innanzi che appaia la punta della sua penisola essa pianta in mare, a faro, la statua della libertà; vi parla con un simbolo, vi saluta con una opera d'arte. Il primo lembo della sua terra è un giardino: gli edifici che più attirano i vostri sguardi quando la nave che vi porta è ancora in pieno moto, appartengono ai suoi giornali cosmopoliti: sono la cupola dorata e la specola astronomica del World e la guglia della Tribune. È bello al sole e nell'aria pulita di giorni sereni e festivi, più bello fra le nebbie ed il fumo delle giornate feriali, più alto delle più eccelse alberature, aereo telaio dove vanno e vengono di continuo come spole lunghissimi treni ferroviari e carri e vetture d'ogni maniera ed un popolo di pedoni, campeggia, scavalcando un braccio di mare e legando insieme due città e due Stati quello stupendo ponte di Brooklyn che è, credo, la più fantasiosa delle opere utili e la più artistica delle opere meccaniche compiute dall'uomo.
La baia di New-York offre uno spettacolo incomparabile. Non c'è sulla terra un'altra distesa di acque, così interamente circondata di fabbriche, così risonante ed echeggiante da ogni parte ad ogni parte, così piena di vita, così diversa negli aspetti e nei movimenti, così immaginosa, così potente motrice del pensiero. La sua smisurata grandezza è cagione di impressioni diversissime ed estreme. Quel mondo vi sta addosso e si perde negli orizzonti. Mentre le cose vicine svegliano ed appagano mille curiosità specifiche, le remote vi invogliano ad ozi contemplativi. Fino dove l'occhio giunge, da ogni lato, nello spessore delle città litorali, sopra l'immenso corso dell'Hudson, su pel braccio di mare della East River, è uno accavallarsi di giganteschi edifizî che rappresentano nelle nebbiose lontananze un vario ondeggiare di colli digradanti al mare. Quelle moli hanno di lontano la gravità riposata delle cose eterne e sembrano sorte col suolo. Io non vidi mai in altri luoghi l'opera dell'uomo, sola, scompagnata da ogni elemento naturale, naturalizzarsi così interamente e darmi un così pieno inganno di paesaggio. A ciò concorre un cielo mobilissimo che si rabbuia e chiarisce d'un colpo. Le conche alpine, esposte ai più mutabili venti, non hanno così subite vicende di torbo e di sereno. New-York è l'estremo punto continentale sottoposto alle grandi correnti che si dipartono dello stretto di Bering e per l'Alaska ed il Canadà e sopra un corso dell'Hudson, portano i cicloni all'Atlantico, che li sbattono di poi sulle coste occidentali d'Europa. L'America ci manda i suoi uragani e noi non le rendiamo la pariglia. I naviganti dicono che i fortunali dell'Atlantico contrastano sempre l'andata agli Stati Uniti e secondano il ritorno in Europa. Così gli elementi aiutano la gelosa politica americana che volge ora anche contro di noi la diffidenza rivolta dianzi contro i soli Cinesi. Ma le procelle sorvolano a New-York in turbini senza pioggia o vi rompono in fuggenti rovesci. Quella plaga è nota per una siccità atmosferica alla quale i fisici attribuiscono una speciale tensione elettrica che avvertono anche gli abitanti. Forse, la infrequenza delle pioggie, lasciando permanere nell'aria tanti polviscoli diversi, è cagione della straordinaria ricchezza di quei tramonti. I tramonti di New-York sono davvero meravigliosi. Il nostro arrubinarsi del cielo invernale dietro la trama degli alberi stecchiti non può rendere che una tenue immagine della smagliante intensità di quei colori. Quando il sole cadente batte sui pennacchi fumosi degli innumerevoli camini, è uno sventolare magico di gioielli diffusi. Per darne un'idea bisogna ricorrere ad un linguaggio che pare eccessivo. La città industriosa manda zampilli aerei di rubini, di smeraldi, di ametiste, di zaffiri, di topazi stemperati in vapori. Vi si potrebbe riconoscere un simbolo della fastosità americana se quella gloria crepuscolare non fosse troppo effimera e se della grandigia miliardaria