Impressioni d'America. Giacosa Giuseppe

Impressioni d'America - Giacosa Giuseppe


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ogni punto, fuorchè sul primo entrarvi, chi vi giunge d'Europa. I viaggiatori, ancora pieni gli occhi e la mente delle belle vedute dell'estuario, guardano delusi le informi, nude e mal costrutte tettoie che li accolgono allo sbarcare e li imprigionano in balia di odiosissimi doganieri. Nulla che attenui il disagio dell'arrivo ed agevoli le cure per lo scarico e la visita dei bagagli. L'ufficio telegrafico è una garetta con un solo sportello ed un solo commesso, il quale, benchè addetto ad un servizio internazionale per eccellenza, non mastica altra lingua fuori del suo inglese arrotondato e mastica male anche quella tanto è parco di parole e ringhioso. E parlo degli scali maggiori riservati ai passeggieri della prima e della seconda classe, perchè gli emigranti della terza sono condotti ad uno speciale deposito dove stanno gli uffici per la verifica delle loro carte e la loro ammissione nello stato americano.

       Tutti i quartieri al mare, hanno in New-York un aspetto di degradazione incurabile. Mentre Chicago lavora e come può si adorna in ogni sua parte, New-York non si abbellisce se non dove può godere con agio. I quartieri bassi, dati ai più grossi traffici e più macchinosi, sono oscuri, sudici, mal selciate le vie, male aereate le case, angusti e malsani, degni in tutto della più tardiva fra le nostre cittaduzze di provincia. Si sa che il gran lavoro è brutale e poco meticoloso, ma alle sue inevitabili deturpazioni, non soccorrono quanto potrebbero i provvedimenti edilizî, tutti intenti a lavare, a lustrare, a infiorare l'alta città.

      A primo aspetto quella ineguale distribuzione di cure, sa di spietato egoismo e sembra stridere nel concerto degli ordinamenti democratici; ma si noti che in quella parte della città non dorme quasi nessuno. I più ci vanno per affari e ne emigrano a lavoro compiuto verso le quattro pomeridiane. Bisogna vedere i treni che giungono la mattina e quelli che ne partono la sera: uno in coda all'altro, e sono cinque o sei linee diverse, e tutti riboccanti di gente. Nelle ore crepuscolari quelle vie sembrano pestifere: a notte prendono un aspetto fra il delittuoso ed il fatato. Nelle strade mal rischiarate, le finestre delle case deserte e silenziose, spandono luce dai vetri o sprizzano raggi dagli spiragli delle chiuse imposte. Durano così illuminate all'interno fino a giorno, per misura di sicurezza. Ogni banca, ogni fondaco ha il suo guardiano che passeggia quanto è lunga la notte su e giù per le stanze. A volte, dalla via si sentono i loro passi lenti e gravi come di persone crucciose e quel raggiare di case morte, e la veglia di quei solitari fa un senso di tristezza inquieta.

      Dimora bensì, in certe strade di quei quartieri, la feccia della popolazione di New-York, un misto composto di tutte le miserie e di tutte le abbiezioni della terra; ma quelli non darebbero un soldo per la nettezza, non dico l'eleganza, delle vie e delle case. E non lo darebbero per più ragioni: perchè non ce l'hanno e perchè il pulito cesserebbe di esser tale al loro contatto. Prima che i luoghi, bisognerebbe nettare la gente e farla ordinata e prospera. Queste cose c'è chi le dice anche in America, ma gli americani, da qualche spirito filantropico in fuori, ci credono meno e ne ridono più di noi. Dove un solo Cornelio Vanderbilt possiede oltre 500 milioni, è naturale che migliaia di persone stentino la vita, e dove il Vanderbilt può trovare almeno una ventina di fortunati se non proprio di così olimpica nobiltà plutocratica come la sua (vogliono ce ne sia dei più ricchi), degni almeno di stringergli la mano e d'invitarlo a desinare, è da stupire che quelle migliaia, non siano per morte d'inedia ridotte a zero.

      Del resto, la bassa città è più frequentata dai ricchi che dai poveri. Nè i ricchi si lagnano della sua degradazione, nè sembrano avvertirla. I maggiori trafficanti di New-York vi passano buona parte della giornata. La famosa Wall Street, chiamata la via dei milioni, è nel centro di essa. Gli Astor, i Gould, hanno i loro scrittoi in quei rioni. Fu, se non erro, nel dimesso scrittoio del Gould che un disperato minacciò anni sono il vecchio banchiere di farlo saltare in aria con un pugno di dinamite, se non gli dava sull'attimo un milione. Il Gould, intrepido ed incredulo, rifiutò e quegli lanciò a terra la carica che scoppiando l'uccise, lasciando tramortito, ma illeso, il re delle banche. Allo scoppio si gettò impaurito dalla finestra del suo banco che aveva lì presso, il Morosini, un italiano andato mozzo di un veliero in America cinquant'anni or sono e noverato ora fra i maneggiatori di miliardi. I quali miliardi sembrano avere una virtù preservativa perchè anch'egli ne uscì con poche ammaccature.

       Io visitai nel suo studio, in Wall Street, un ricchissimo banchiere che avevo conosciuto anni addietro a Parigi. Uno sportman da disgradarne il Principe di Galles. Egli usa puntualmente al banco dalle dieci della mattina alle quattro pomeridiane, indi se ne va con un'ora e mezza di viaggio in Pensilvania dove dimora colla famiglia in un Club degno delle Mille ed una Notti, chiamato: Toxedo Park. Lo studio di quel raffinato uomo è di gran lunga meno comodo e bello del mio modestissimo. Noto, fra parentesi, e lo seppi da lui stesso, che la piccola casa dov'è il suo banco in Wall Street costò, trent'anni or sono a fabbricarla, quaranta mila dollari (200 mila lire) e che ora gli frutta ogni anno la medesima somma. Tutti quei Cresi sogliono raccogliersi sul mezzodì a far colazione in un Club-ristorante, nei pressi di City Hall, le cui sale sono povere e nude appetto alle sontuosissime degli altri circoli della città alta, cui pure appartengono i suoi frequentatori.

      Chi vuole esaltare ad oltranza la civiltà americana, dirà qui che nel concetto di quegli operosi il lavoro, è austero e non comporta mollezze. Ma gli austeri lavoratori che non sdegnano di sedere a mensa in locali disadorni, vi pasteggiano Champagne a 30 lire la bottiglia e vi si stillano il cervello in esperimenti di alta gastronomia. Il che prova che dove il godimento è intenso, non ne rifuggono e che la loro austerità è sessualità grossa che non vuole scomodarsi per poco e che indugia il piacere e lo condensa per potervisi poi distendere in pieno.

      Non sarà, spero, attribuito ad austerità o ad altre virtù astinenti quel colore orribile e uniforme che nella bassa città tinge dalla prima all'ultima tutte le case di ogni strada. Non si può dire che sia cattivo gusto di tempi andati perchè molte sono ritinte di fresco, nè che quello sia colore più solido e meglio appropriato al clima, poichè il rione accanto ne sfoggia con altrettanta imperterrita sicurezza un altro. È vera indifferenza all'estetica, dove l'estetica non darebbe che un fuggevole compiacimento.

      Le strade che imbocca prime, per l'appunto, chi entra in New-York allo scendere dei vapori transatlantici, sono tinte di rosso da capo a fondo. Le case si descrivono in due parole: muraglie e buchi. Non un fregio, non una fascia, non una cornice, non uno stipite in aggetto. Costruzioni tozze di tre piani e così allineate e livellate per tutta la lunghezza della via, che si direbbe una casa sola interminabile. Mentre andavo internandomi in quei condotti scoperchiati, i più lerci tuguri del mio contado canavesano e valdostano, colle loro logge tarlate, e puntellate, col tetto a gronda e le scalette allo scoperto, mi tornavano alla mente quali squisite opere d'arte. La mente correva da sè, per raffronti ad umilissimi prodotti architettonici quasi temesse dal paragone cogli ottimi un disgusto eccessivo.

      Ma la bruttezza del luogo è così assoluta che nulla può attenuare il disgusto. E lo crescono e lo mutano in sorda inquietudine i frequenti apparecchi di salvamento per i casi d'incendio. Nulla fa più pensare al pericolo che le vistose difese contro di esso. Ogni due finestre scende rasente la facciata della casa da un piano all'altro e dal più basso a terra, una scaletta ferrea a pioli, destinata alla fuga degli abitanti quando avessero a crollare le scale interne. Quelle scalette sono, come la casa, dipinte del color di fiamma viva, di maniera che danno quasi una visione permanente d'incendio, mentre rivelano la poca resistenza dei materiali e la fragilità delle costruzioni. Nell'alta città quelle pendule scalette non usano più. Il meraviglioso servizio delle pompe le ha rese inutili e l'estetica le ha bandite. Perchè durano in quei rioni dove sono quanto negli altri, solleciti ed efficaci i soccorsi dei pompieri e più vigorosa la spinta delle acque? Perchè occorsero un tempo, e perchè ivi non torna conto di mutare per abbellimento, nessuna cosa.

      Tuttavia la bassa città ha essa pure qualche bell'edifizio e qualche punto pittoresco. Non parlo delle fastose sedi dei grandi giornali delle quali la grandiosità è squilibrata ed il fasto teatrale. Esse tengono una accanto all'altra un lato della piazza municipale dove stanno il palazzo del Governo, e quello immenso ed ormai insufficiente della posta. La chiesa della Trinità che sorge poco discosto, costrutta come quasi tutte le chiese d'America, nello stile fiammante inglese, passerebbe forse inosservata in una città europea, e nei recenti quartieri della stessa New-York, ma in mezzo a tanta secchezza di fabbriche, esprime una grazia riposata che mette pace nell'animo.


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