Pagine sparse. Edmondo De Amicis

Pagine sparse - Edmondo De Amicis


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cospirarono a farmi credere il contrario? Te la dico in tre parole: — Ho sbagliato strada.

      — Andiamo, — disse con vivacità la ragazza, — ora ti faccio ravveder io. Io conosco il segreto di tutte queste malinconie. Tu hai una ruga qui tra ciglio e ciglio che quasi non si vede quando sei sereno, e quando non lo sei, diventa profonda come una ferita. Ora è un mese che io ti vedo codesta ruga quasi tutti i giorni. Ecco perchè non puoi lavorare. Disinganni, vesciche, buccie di limone spremuto, son tutte fantasie: il male sta qui. Dunque non c'è da far altro che spianare la ruga; — e appuntandogli l'indice fra ciglio e ciglio soggiunse: — e io ci terrò il dito su fin che sparisca, e allora vedrai che ti tornerà l'inspirazione e la fiducia in te stesso.

      Mario le strinse il mento fra l'indice e il pollice, poi lasciando ricader la mano, rispose con un sospiro: — Ah buona Teresa, sulla ruga vera tu non puoi mettere il dito perchè è dentro al cervello.

      — Oh allora, — disse la ragazza con quel tuono di ironia benevola che s'usa coi bambini fingendo di dare importanza a una corbelleria, — allora non c'è rimedio. Capisco anch'io che hai sbagliato strada. Non parliamone più.

      — Eppure, — riprese il giovine senza badarle, — benchè questa certezza si sia impadronita di me a poco a poco, risparmiandomi così il dolore d'uno di quei disinganni improvvisi, che schiacciano prima che si sia potuto pensare a resistere, io credevo che l'avrei sopportata con cuore più fermo. E veramente quando s'è nutrito per molti anni la speranza di riuscire qualche cosa nel mondo, e s'è veduto godere di questa medesima speranza la famiglia e gli amici, e s'è avuto dalla gente mille dimostrazioni di simpatia e di rispetto, non tanto per quello che s'era quanto per ciò che si prometteva di divenire; dopo tutto questo, l'accorgersi che ci si è ingannati e che s'è ingannato gli altri; prevedere che un giorno la gente ci farà scontare col disprezzo le lodi che le abbiamo scroccate; sentirsi a poco a poco riattrarre e poi travolgere e annegare nella folla sulla quale si era riusciti ad alzare un momento la testa; persuadersi infine che s'è sciupato gioventù, ingegno, fatiche per prepararsi dei disinganni e delle vergogne, mentre percorrendo una strada più modesta si sarebbe ottenuto un nome onorato e una vita tranquilla; è un cangiamento questo, mia cara Teresa, che somiglia a quello di un uomo il quale di ricco e potente si trovi ridotto mendico.

      Teresa lo guardò attentamente, e poi, sospettando ancora ch'egli non parlasse sul serio, prese un libro, lo aperse, mise un dito sul nome dell'autore, e domandò con ingenuità fanciullesca, abbassando la voce: — È questo signore che parla?

      — È lui, lui, — rispose Mario respingendo il libro. — Ah! cara amica, quanto t'inganni se credi che la vista di tutta quella cartaccia stampata mi faccia provare il menomo sentimento di alterezza. Sì, certo, quando sono in mezzo alla gente, mostro di credermi qualche cosa; il mio amor proprio sta sulle difese. Il vedere la presunzione di tanti che valgono anche meno di me, e il timore di fornire agli altri, mostrando di stimarmi poco io stesso, il pretesto di stimarmi anche meno, mi tengono un po' su; e per questo, chi mi ferisce dal lato dell'amor proprio, sente la resistenza dell'orgoglio. Ma davanti a me stesso è altra cosa! Se ti dicessi che passan dei mesi ch'io non leggo una pagina di mio, nemmeno se mi cade sott'occhio, per timore della sgradevole impressione che ne riceverei? Se ti dicessi che, riandando le cose mie, anche le meno peggio, mi piglia il sospetto che un accordo d'amici, la benevolenza dei conoscenti e l'indulgenza sollecitata di molti altri sian stati la cagione di quel po' di fortuna che ho avuta? E se ti dicessi ancora che, quando correggo le prove di stampa, qualche volta mi sento tutt'a un tratto salire il sangue al viso, e penso alla maniera di sciogliermi dall'impegno contratto coll'editore, e comprendendo che non è più possibile, cerco almeno che ci sarebbe da fare per impedire la diffusione del libro, o se non altro, per evitare che lo legga il tale o il tal altro, di cui mi preme non perdere la stima?

      — Ma queste, scusa, sono esagerazioni! E poi, qualunque opinione tu abbia di te stesso, non potrai mettere in dubbio un fatto che dovrebbe bastare a darti coraggio: il favore pubblico.

      — Qui ti volevo. Il favore pubblico! Che cos'è questo favore pubblico? che cosa prova? Chi non ne ottiene un po' di questo favore, scrivendo, pur che abbia cuore e non offenda alcuna classe della società e segua l'andazzo del tempo e scriva cose che la maggior parte sentono o pensano, o non hanno interesse di negare? Entra in un caffè di una qualunque delle nostre grandi città, e sarà un miracolo se non ci troverai in un canto qualche pover'uomo a cui nessuno bada e di cui nessuno sa il nome, del quale venti o trent'anni prima qualcuno non abbia detto o stampato che era una speranza della letteratura italiana e che sarebbe diventato una gloria della patria. A vent'anni abbiamo tutti qualcosa di bello nel capo e di generoso nel cuore, e abbiamo tutti bisogno di farlo sapere. Ebbene, io l'ho fatto sapere, ho fatto il mio sfogo di giovanotto e sta bene. Ma ora basta, ora dovrei buttare la penna da parte e abbracciare una professione; perchè altro è esser nato per passare per lo stadio di scrittore, altro è esser nato per restarci; e una cosa è aver ingegno per scrivere, e un'altra cosa aver tanto ingegno da poter legittimamente non far altro che scrivere.

      — Io non so rispondere a tutte queste cose, — disse Teresa con voce commossa, — ma mi pare che non sia tutto vero. Che cosa vuoi concludere? Che non devi più scrivere? Vuoi farmi dire che non sai far nulla? Vuoi provarmi che sei uno scemo?

      — No, perchè non lo sono; se lo fossi, non mi sarei disingannato, non ti terrei questi discorsi; continuerei a credermi un animalaccio raro, come fan molti, a dispetto del mondo intero. Il mio disinganno prova che c'è qualche cosa in questo nocciolo di testa. Ma il gran punto è che questo qualche cosa non basta. Vi sono ben dei momenti che abbraccio col pensiero un grande spazio intorno a me; ma son vedute istantanee, come quelle della notte al chiarore d'un lampo. Afferro colla mente un dei capi d'una catena d'idee; ma dò uno strappo, e non mi resta in mano che il primo anello. Ci corre, cara mia, da questi scatti d'ingegno alla forza dell'ingegno vero! a quell'ingegno confidente e imperioso, che si afferma qualche volta con parole superbe; quello che getta sprazzi di luce e pezzi di oro massiccio, che tira a sè e rende muti in sè stesso altri ingegni minori, che corre la sua strada destando e schiacciando ad un tempo ire ed invidie mortali, che s'innalza egli stesso degli ostacoli e li rovescia, che va a battere le ali dove gli altri arrivano appena collo sguardo, che trascina, innamora e spaventa! Questi sono uomini d'ingegno, spiragli aperti nella natura umana, per i quali la moltitudine vede confusamente qualche cosa del mondo di là, che le strappa un grido di meraviglia. Questi hanno diritto di consacrare tutta la loro vita all'arte; questi sono i grandi alberi della vegetazione umana; il resto è erbaccia parassita, ed io sono un filo di quest'erba.

      — Grandi alberi! — mormorò Teresa timidamente. — Fuor che quei quattro o cinque che tutti sanno, per ora, di grand'alberi che vengano su, io non ne vedo. E qui pronunziò in fretta una lunga serie di nomi, e domandò: Son questi forse gli spiragli aperti nella natura umana?

      — No, — rispose Mario; — ma benchè io sia da meno di questi, non mi debbo paragonar con essi, per aver una idea giusta di quello che sono. Debbo metter tutti costoro in un mazzo, me compreso, e paragonarli ai pochissimi che sono sulla sommità della scala. Bisogna uscir dal proprio paese, cara mia, per vedere che cosa paiono, viste da lontano, certe gloriole di casa! Quando si vede che i veri grandi nomi, anche nostri, ed anco di questi ultimi tempi, suonano sul Tamigi come suonano sul Tevere, sul Tago come sul Reno, sulla Senna come sull'Adige, che conto vuoi più che si faccia di quelli che cascano come palloncini sgonfiati sulle frontiere del proprio paese? Che cosa siamo al paragone di quell'aquile che fanno il giro del mondo, noi moscerini che viviamo in un soffio d'aria, e facciamo un ronzío che non si sente da una foglia all'altra d'un fiore? noi che mostriamo con pompa, come tutto il nostro avere, una qualità che in quelli altri non è che una delle mille faccette della perla del loro ingegno? Ah come si capisce tutto questo viaggiando! Quando uno straniero mi domandava: — Lei scrive? — io rispondevo in fretta arrossendo, come uno che respinga un sospetto ingiurioso: — No! no! non scrivo!

      Teresa scrollò la testa sorridendo, come per dire: — Sei sempre lo stesso!

      — E poi, — riprese Mario dopo una breve riflessione — vivere per scrivere! Bella presunzione è questa di aver nel capo tante cose degne d'esser dette al mondo, da dover impiegare tutta la vita a dirle! E con che diritto s'impiega la vita in questa maniera? Scrivere, in


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