Pagine sparse. Edmondo De Amicis

Pagine sparse - Edmondo De Amicis


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dei suoi simili e le sue, — dissento, deploro — ma accetto, — o almeno mi rendo ragione del come gli possa parer lecito di scrivere quello che pensa e quello che fa. È un uomo di genio; preferisco averlo com'è al non averlo; anche offendendomi e sconfortandomi, mi fa vedere molte cose sotto una faccia nova; mi costringe a pensare; mi fa, se non altro, ammirare in sè un nuovo stampo d'uomo, e una gradazione di più nell'infinita varietà della natura. Sta bene. Ma che un uomo d'ingegno della seconda sfera, uno di quelli dei quali è dubbio se abbiano fatto bene o no a scegliere la via delle lettere, e che dovrebbero, poichè il mondo può benissimo far di meno di loro, cercare tutti i modi di farsi perdonare l'ambizione che li rode; che uno di questi, dico, abbia la sfacciataggine di gridare al mondo: — Vòltati — per fargli sapere che non crede a nulla, che è divorato dalla bile, che disprezza i suoi simili, che vive fra le sgualdrine e s'ubbriaca; questo, per Dio, non solo non lo ammetto, ma non lo capisco; e non capisco come il pubblico non si stomachi di queste scimmie degli scapestrati di genio, e non se li levi di torno colla scopa.

      — Dunque scrivi morale! — disse Teresa — Io non so più che cosa dirti! Dici che sei un impostore! Basta essere onesto per poter scrivere delle sante cose senza fingere. Come potresti scrivere, se prima di metterti a tavolino, dovessi far dieci miglia a piedi per portare una buona notizia a una famiglia povera?

      Mario sorrise e scrollò una spalla; e dopo qualche minuto di silenzio, disse:

      — Un giorno, a Firenze, passeggiando fuor di Porta Romana, sull'imbrunire, vidi tutt'a un tratto una gran luce dietro un gruppo di case e gente che correva. Presi anch'io la corsa e arrivai dinanzi a una casa che bruciava, in mezzo a una folla che faceva un grande strepito. L'incendio era scoppiato da poco; ma uscivan già fiamme dal tetto e da parecchie finestre, e si sentiva dentro un fracasso spaventoso di travi che cadevano e si spezzavano, e in mezzo alla folla grida di donne e di bimbi, che facevan pietà. Arrivarono in quel momento le pompe e le guardie, e cominciò il solito lavoro di far dare addietro la gente, coll'urlío e il disordine solito. Tutt'a un tratto si sentì un grido straziante e si vide molta gente affollarsi da una parte. Era la solita disgrazia d'una donna che aveva chiuso il bambino in casa per uscire, e che tornava troppo tardi. La voce si sparse in un batter d'occhio. Per fortuna la finestra della camera dava sulla strada; fu portata una scala e appoggiata al davanzale, e una guardia salì. Ma sì! non era ancora arrivata in cima, che uscì un nuvolo di fumo nero e una lingua di fuoco dall'alto della finestra, e il pover uomo si sentì mancare il coraggio. La folla gridò: — Giù! Giù! — La guardia saltò giù; un'altra salì, e ricascò in terra come la prima; cinque o sei uomini si agitavano ai piedi della scala, e nessuno saliva. Intanto la povera donna gettava delle grida orribili, si buttava in ginocchio, si stracciava i capelli, faceva cose da lacerare il cuore. Allora non so che cosa seguì in me; mi si velò la vista, mi balenarono mille pensieri in un punto, quel bambino, mia madre, una gioia immensa; sentii come una voce sovrumana che mi gridò nell'orecchio: — Va! — e nello stesso momento un impulso irresistibile che mi sbalzò quasi ai piedi della scala. Ma là.... mi parve d'essere afferrato di dietro da un artiglio di ferro, e rimasi inchiodato, immobile, trasognato, come uno che si trovi tutt'a un tratto sull'orlo di un precipizio. Mentre guardo intorno e rinvengo in me, un uomo si spicca dalla folla come una saetta, butta in terra una guardia, sale in cima alla scala, dispare nella finestra che pareva la bocca d'una fornace, — si fa un profondo silenzio — l'uomo ricompare — la folla getta un grido — quegli sale sul davanzale, si gira, mette il piede sulla scala, discende e casca in terra spossato.... Aveva portato giù il bambino sano e salvo! Ebbene, è una cosa che seguì molte volte, tu mi dirai. Ah Teresa! ma quella volta ero là, ho visto tutto; — ho visto quella donna quando si slanciò al collo di quell'uomo, — l'ho guardata negli occhi, — ho contato i baci furiosi che gli ha stampati sulla fronte e sul petto, — ho sentito le sue grida — le sento ancora — non credevo che un viso umano si potesse trasfigurare in quel modo, e che delle voci e dei singhiozzi di gioia come quelli là potessero fuggire da questo petto di creta senza spezzarlo! Non credevo che si potesse esser belli, felici, gloriosi, com'era quell'uomo, quando si passò una mano nei capelli strinati — fiutò la mano — e si mise a ridere!

      Teresa era commossa.

      — Io tornai a casa — continuò Mario, — triste e pieno di disprezzo per me medesimo, come se avessi commesso un'azione vergognosa. Pensavo a quell'uomo, e mi pareva di essere meno che un verme della terra accanto a lui. Pensavo ai miei studî, e alle mie piccole soddisfazioni d'amor proprio, e ogni cosa mi pareva fredda e meschina, al paragone della gioia infinita che m'ero lasciata sfuggire. Rientrai in casa, accesi il lume e mi lasciai cadere sopra una poltrona, dicendo a me medesimo: — Bravo! Ecco il tuo piedestallo! — Sentivo delle voci nella strada, che mi parevano l'eco delle grida della madre e della folla, e da tutte le parti vedevo quella finestra infocata, la scala, l'uomo che saliva. A un tratto, mi cadon gli occhi sul tavolino, c'eran delle carte sparse, non mi ricordavo che fossero, guardai.... Erano pagine d'uno scritto, nel quale dicevo mille belle cose intorno all'amor materno, alla virtù del sacrifizio, alla generosità, al coraggio. Che vuoi che ti dica! Quelle parole, in quel momento, mi fecero l'effetto d'una ciurmeria ignobile, d'una ostentazione ipocrita e sfrontata; mi sentii salire il sangue al viso; buttai in terra, con una manata, quel mucchio di fogli....

      Teresa gli pose una mano sulla bocca.

      — E ci sputai sopra tre volte! — soggiunse Mario respingendo la mano.

      — No, Mario! — esclamò Teresa — non le dire queste cose!

      — Lasciamele dire — rispose Mario, con un sorriso mesto e amorevole: — è questo uno dei pochi bei tratti della mia vita. E ora sai perchè mi pare un'impostura lo scrivere quello che non faccio.

      — Eppure! — gli disse Teresa — guardandolo negli occhi, dopo alcuni momenti di silenzio. — Eppure domani tu scriverai.

      Mario si strinse nelle spalle.

      — Sì, scriverai, — riprese Teresa — perchè io son donnina da trovare nella mia piccola testa delle ragioni convincenti da opporre a tutte quelle che mi hai dette finora per provarmi che non devi più scrivere.

      — Sentiamole.

      — Ma non oso dirtele perchè.... non mi so esprimere; sono una scioccherella.... io non m'intendo di letteratura.

      — Credi agli angeli?

      — Io sì.

      — E credi che gli angeli s'intendano di letteratura?

      Teresa sorrise, e continuò: — Ebbene, ecco la mia idea. Dici che dovrebbero scrivere solamente i grandi e questo non mi par giusto. In questo mondo ci sono tante anime che si somigliano, che vivono nella stessa maniera, che vedon le cose dallo stesso lato, che hanno perfino le medesime debolezze. Ebbene, queste anime si cercano, e quando s'incontrano, sia anche in una pagina d'un libro, ne godono, e si attaccano a chi ha scritto quella pagina, come a un intimo amico. I grandi scrittori ne abbracciano un gran numero di queste anime, perchè abbracciano la natura sotto moltissimi aspetti. Gli scrittori che vengon dopo, ne abbracciano soltanto poche; ma bastano anche queste poche perchè essi abbiano ragione di essere. I grandi scrittori destano la maraviglia, l'entusiasmo: gli altri solamente l'affetto e la simpatia. Ebbene, anche far nascere una simpatia mi pare che sia un effetto che giustifichi un libro, perchè la simpatia è una disposizione benevola del cuore, e una disposizione benevola è la metà d'una buona azione. E poi, perchè il grande dovrebbe escludere il piccolo? e il bellissimo escludere il grazioso? Non ci dovrebbero essere delle margheritine e delle viole perchè ci sono dei girasoli e delle rose? Forse che il poema di Dante m'impedisce di piangere e di sentirmi riaver l'anima leggendo le novelle del Thouar? Quando uno è sicuro che cinquecento persone leggeranno quello che scrive, ogni volta che gli viene un buon sentimento, fosse anche a proposito di due lucciole che passano, lo deve scrivere; e se impiega tutta la sua vita a scrivere delle cose che trasfondono un buon sentimento in cinquecento persone, la sua vita mi par che sia bene impiegata. E quanto allo scrivere quello che non si fa, mi par che tu non abbia ragione neppure; le buone azioni non si fanno soltanto col coraggio e coi sacrifizî; destare degli affetti gentili, consolare, intenerire, rasserenare l'anima per un momento a qualcuno, sono buone azioni non meno meritorie che star un mese senza fumare per fare un regalo a un maestro.


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