La vita Italiana nel Cinquecento: Conferenze tenute a Firenze nel 1893. Autori vari

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erano forse ancora ben fermi. Tanto più apparisce quindi straordinario l'ardimento di Renata, la quale nel piccolo Ducato di Ferrara, feudo del Papa, osa vagheggiare e tentare due programmi del pari pericolosissimi, una politica risolutamente Francese e la riforma religiosa. Nell'atmosfera morale del Cinquecento, questa donna, che, salvo qualche ora di debolezza nei più penosi contrasti dei suoi affetti, si mantiene fedele tutta la vita a quei due ideali, e quando l'ideale politico le sfugge, perchè la morte del marito la priva del trono, innalza l'ideale religioso sino al concetto tutto moderno della tolleranza civile, e tornata in Francia allo scoppiare delle guerre di religione, rimprovera ai Cattolici le loro crudeltà e agli Ugonotti le loro vendette, questa donna, dico, è senz'alcun dubbio una delle più grandi e nobili figure del suo tempo. Ne sparlino pure scrittori rabbiosi e intolleranti dai contemporanei fino al Cantù. Ci contenteremo che l'abbiano lodata non col solito gergo cortigianesco, ma quasi con senso di misteriosa riverenza l'Ariosto ed il Tasso. Mi duole non aver tempo a narrare i suoi casi, oggetto anche oggi di ricerche e di studi (fra i quali ricordo ad onore quelli del Fontana) e per affrettarmi al fine torno agli esuli Lucchesi, da Renata ospitati, durante la seconda guerra civile di Francia, nel suo castello di Montargis. Vi rimasero fino alla pace di Longjumeau e in questo tempo Clara Burlamacchi mise alla luce una figlia, a cui la Duchessa fu matrina e diede il suo nome, e che ci ha lasciato alcune Memorie delle vicende sue e de' suoi genitori. Da Montargis ripararono a Sédan, da Sédan a Parigi ove nel 1572 si trovarono alla strage degli Ugonotti nella notte di San Bartolomeo. Anche in quella notte li salvò forse la protezione di Renata, che era in Parigi, perchè trovarono scampo nel palazzo del Duca di Guisa, gran nemico dei Protestanti, ma genero di Renata. Si rifugiarono di nuovo a Sédan, quindi nel 1579 a Muret, ove Clara Burlamacchi morì. Finalmente, ricominciata la guerra, Michele Burlamacchi stabilì di condursi nel 1585 a Ginevra, il già antico rifugio degli Italiani perseguitati per causa di religione ed il solo luogo oramai, dove, allorchè la reazione ebbe domata in Italia ogni velleità di novatori ed ogni resistenza, il solo luogo, dove, si può dire, va a concentrarsi o a terminare (se si eccettuano le valli Valdesi) la storia della Riforma in Italia.

      L'arrivo dei Burlamacchi a Ginevra fu una festa pegli esuli Italiani, i quali si recarono tutti uniti ad incontrarli fuori della città. V'erano di Lucchesi i Balbani, i Diodati, i Calandrini, i Turettini. L'anno appresso Renata Burlamacchi sposò Cesare Balbani. Nel 1621, dopo aver pianto la morte di dieci figli perdette il marito, col quale avea vissuto trentacinque anni. Renata Burlamacchi dovea ormai avere un'età più che sinodale, ma nell'austero costume della Repubblica Calvinista le vedove non erano tollerate, perchè sta scritto (lo dirò in latino) in viduis laboriosa castitas. Renata dunque obbedì al precetto di S. Paolo: io voglio che le vedove si rimaritino, e sposò in seconde nozze Teodoro Agrippa d'Aubignè, il poeta, il soldato, il diplomatico dei tempi eroici della Riforma. V'erano a Ginevra altri cinque fratelli di Renata e questi e gli altri esuli Lucchesi furono lo stipite di molte e molte fra le più illustri famiglie Ginevrine; ma sono quelli che poterono adattare l'antico spirito del Rinascimento Italiano alle rigidità delle dottrine Calviniste. Altri invece dei più famosi riformisti Italiani, l'Ochino, i due Socini, l'Alciati, il Vermigli, il Vergerio, preferirono ramingare pel mondo ad un dispotismo peggiore di quello che aveano lasciato in Italia e che andava dritto alle stesse conseguenze, alle quali giungeva Pio V. C'è di più. In Italia v'ha non solo chi aderisce al Protestantismo e chi lo sorpassa, ma trovano aderenti e seguaci anche tutte le sette, tutte le variazioni, per adoprare la parola del Bossuet, nelle quali il Protestantismo si divise in forza del suo più largo e fecondo principio (questo il Bossuet non lo dice) il libero esame, il quale fondava la libertà di coscienza, come la Rivoluzione Francese fondò l'uguaglianza civile.

      *

      Contuttociò la Riforma in Italia non attecchì. Se considerate le condizioni politiche e morali dell'Italia d'allora, non vi occorrerà cercare altre spiegazioni di questo fatto. Sull'indifferentismo dei più un moto religioso non si propaga; trova per eccezione aderenti, trova chi lo sorpassa, trova chi vorrebbe conciliare il nuovo col vecchio, ma non riattaccandosi a nessun avanzo di antiche e tradizionali fazioni politiche Italiane, contrariando anzi del pari Guelfi e Ghibellini, nel momento stesso che Papato ed Impero si ridanno la mano, è naturale che tra questi due colossi si dibatta penosamente con sforzi parziali e individuali, ma finisca per rimanere schiacciato.

      Sopravvissero la colonia italiana di Ginevra, e nelle Valli Alpine del Chisone, del Pellice, di San Martino e Luserna, fra il Moncenisio e il Monviso, il piccolo popolo dei Valdesi. La loro storia è assai più antica della Riforma Protestante, ma nel secolo XVI essi l'accettarono e a traverso mille vicende resistettero e perdurarono. V'ha un'armonia tacita e profonda fra certi luoghi e la gente che v'è nata e cresciuta. Nelle valli Valdesi la natura si mostra in tutti i suoi aspetti dal più ridente al più melanconico, dalla vegetazione più ricca e più gaia ai larici, ai licheni, ai muschi; dal mite spettacolo della pianura e del colle all'orrido e solenne dell'Alpe solitaria e coperta di nevi eterne. Tale armonia anche quel piccolo popolo la rivela nella semplicità de' suoi costumi, nel vivere parco e laborioso e in pari tempo nella sua storia, la quale dimostra con che impeto, con che tenacità disperata, quando la sua fede fu minacciata, diè di piglio alle armi, riparò sulle cime de' suoi monti e di là sfidò impavidamente la potenza e la moltitudine de' suoi nemici.

      È proprio l'opposto di quanto accadde tra le ricchezze e i monumenti, fra gli splendori e la complicata civiltà delle maggiori città Italiane.

      Qui non occorsero eserciti a domare ribellioni, che non vi furono. Un tribunale di frati, un carcere, un rogo bastarono a far tacere per sempre ogni voce fuori di chiave.

      *

      Fu un bene? fu un male? È l'ultimo problema, che nasce spontaneo dalla storia, di cui ho cercato disegnarvi appena i lineamenti principali, ma ormai l'ora è passata ed io non posso che proporlo e dirvi: “pensateci, se vi piace, signore!„ Non curarsi affatto di tali problemi è vecchia abitudine Italiana, prodotta anch'essa in origine dal doppio e contradditorio impulso del Rinascimento critico e razionalista e della grande e opprimente reazione Cattolica del secolo XVI; ma non direi che tale abitudine sia per l'Italia un titolo e un segno di morale e filosofica superiorità. A giudicare da certi effetti mi parebbe quasi il contrario. Ad ogni modo, ripeto, se vi piace e non v'affatica di troppo, pensateci su!

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