Il nome e la lingua. Ariele Morinini

Il nome e la lingua - Ariele Morinini


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e quelli di Ganna e Giandeini al territorio che si estende tra Malvaglia e Sobrio.

      Accostando i vari schemi di classificazione, l’impressione generale è quella di un graduale chiarimento e di una progressiva precisazione di gruppi e sottogruppi che, nel giovane CherubiniCherubiniFrancesco, avevano confini spesso fumosi e imprecisi. Come detto, questi limiti erano più o meno condizionati dai modelli circolanti – quelli di DeninaDeninaCarlo, FernowFernowCarl Ludwig e AdelungAdelungFriederich von – che avevano il difetto di non essere fondati su una ricerca di prima mano, per la quale si dovranno aspettare le innovazioni di AscoliAscoliGraziadio Isaia, e di non poter contare sul sussidio di una rete di corrispondenti affidabili, secondo una pratica largamente adottata da CherubiniCherubiniFrancesco. Anche la classificazione definitiva, sulla quale si struttura idealmente l’opus magnum, dimostra tuttavia evidenti limiti. Limiti che sarebbero stati superati, è lecito supporre, se la salute avesse concesso altri anni di studio al lessicografo, morto prematuramente nel febbraio 1851.29

      2.3. La Svizzera italiana nel Saggio sui dialetti gallo-italici di BiondelliBiondelliBernardino

      Sull’impostazione e sulla struttura provvisoria della Dialettologia italiana ha agito l’esempio metodologico del Saggio sui dialetti gallo-italici di BiondelliBiondelliBernardino. Benché il colophon dell’opera dello studioso veronese indichi una data di due anni successiva alla morte di CherubiniCherubiniFrancesco – il 1853, la terza parte sui Dialetti pedemontani il 1854 –, la stesura e la diffusione (almeno parziale) della ricerca risalgono a quasi un decennio prima.1 Ne dà notizia l’autore nella Nota preliminare al volume: «La redazione e la stampa dell’Opera che diamo alla luce ebbe incominciamento da alcuni anni, e ne fu promessa molto prima la pubblicazione»; la pubblicazione fu promessa, ad esempio, nell’articolo Della linguistica applicata alla ricerca delle origini italiche del 1845, poi raccolto negli Studii linguistici del 1856.2 Nonostante gli estremi della cronologia editoriale possano suggerire il contrario, CherubiniCherubiniFrancesco aveva a disposizione questa ricerca. Lo documenta una scheda bibliografica redatta di suo pugno nel 1851, custodita fra molte altre presso la Biblioteca Ambrosiana: «In questo Saggio finora inedito l’autore parla dei dialetti lombardi, riporta saggi moltissimi di poesie lombarde; la parabola del Figliol prodigo in ognuno de’ vernacoli lombardi; i cataloghi de’ libri vernacoli lombardi […]».3

      Ma vediamo più da vicino l’opera. Nell’Italia settentrionale, procedendo dal generale al particolare, BiondelliBiondelliBernardino individua quattro principali famiglie dialettali: la ligure o genovese, la gallo-italica, la veneta e la carnica o friulana. La varietà indagata nel Saggio, la gallo-italica, si divide internamente in tre ulteriori gruppi: l’emiliano, il pedemontano e il lombardo. Quest’ultimo comprende anche le varietà del Cantone Ticino: la denominazione Svizzera italiana impiegata da BiondelliBiondelliBernardino è infatti intesa come sinonimo dello Stato cantonale e l’estensione della ricerca linguistica si orienta di conseguenza. Lo accerta la descrizione geografica nella quale sono stabiliti i confini linguistici dell’area dialettale lombarda:

      I confini [del ramo dialettale lombardo] sono: a settentrione le Alpi rètiche e lepòntiche, dalla catena camonia sino al monte Rosa; ad occidente, il corso del Sesia, che da questo monte scaturisce, sino alla sua foce nel Po; a mezzogiorno, il corso di questo fiume dalla foce del Sesia fino a quella dell’Ollio, tranne un pìccolo seno, il quale abbraccia la città di Pavia e i vicini distretti sino alla foce del Lambro e al tèrmine del Naviglio di Bereguardo; ad occidente, una linea trasversale dalla foce dell’Ollio a Rivalta sul Mincio, indi il corso di questo fiume da Rivalta a Peschiera, il lago Benaco, i monti che divìdono le valli della Sarca e del Mincio e la catena camonia. È quindi manifesto, che il ramo lombardo comprende i dialetti parlati nel regno Lombardo, tranne il pavese e il mantovano; i dialetti della Svizzera italiana, ossia Cantone Ticinese; e i dialetti del regno sardo compresi tra il Sesia, i Po e il Ticino.4

      Nel territorio delimitato, tuttavia, le parlate sono molteplici e diverse tra loro, con differenze percepibili anche all’interno della dimensione municipale e rionale. Nonostante ciò, la frastagliata situazione linguistica dell’area lombarda è riassumibile in due gruppi principali, distinti per la prima volta secondo un pratico orientamento geografico, con il nome di lombardo orientale e lombardo occidentale. Con la terminologia, cioè, adottata nei più aggiornati studi linguistici e dialettologici:

      Se nei dialetti lombardi consideriamo attentamente le moltèplici dissonanze di minor conto, che li contraddistìnguono, indeterminato ne è il nùmero, e impossìbile una esatta classificazione, mentre non solo ogni città ed ogni terra ha il proprio dialetto, ma persino nel recinto d’una città medèsima pàrlasi dall’un capo all’altro con diverso accento e varia flessione. Con tuttociò, se, afferrando le precipue loro variazioni e le proprietà radicali più distintive, ne consideriamo il complesso ed i rapporti, agevolmente ci si affàcciano ripartiti in due gruppi, che per la posizion loro abbiamo denominato occidentale ed orientale.5

      Il dialetto cittadino di Milano è la varietà di prestigio del gruppo occidentale, attorno alla quale si aggiungono, a questa conformi in varia misura, sei ulteriori aree linguistiche: il valtellinese, il bormiese, il lodigiano, il comasco, il ticinese e il verbanese. Fra queste, tre varietà sono diffuse anche nella regione della Svizzera italiana. Come già notavano CherubiniCherubiniFrancesco e FransciniFransciniStefano, pur impiegando una terminologia divergente, la lingua parlata nel territorio ticinese che si estende al sud del Monte Ceneri, ovvero nei distretti di Lugano e Mendrisio, rientra nel sottogruppo comasco:

      Il Comasco estèndesi in quasi tutta la provincia di Como, tranne l’estrema punta settentrionale al di là di Menagio e di Bellano a destra ed a sinistra del Lario; e in quella vece comprende la parte meridionale e piana del Cantone Ticinese, sino al monte Cènere.6

      Oltre a questa, secondo BiondelliBiondelliBernardino, altre due varietà alpine della famiglia lombardo occidentale sono diffuse nella Svizzera italiana (nel senso attuale del termine, compreso il Grigioni). È lombardo, infatti, il dialetto valtellinese parlato nelle valli grigionesi della Mesolcina, Calanca, Bregaglia e Poschiavo. Nel rimanente territorio svizzero-italiano, al nord del Monte Ceneri, è invece in uso la varietà ticinese:

      Il Valtellinese òccupa colle sue varietà le valli alpine dell’Adda, della Mera e del Liro, inoltràndosi ancora nelle Tre Pievi, lungo la riva del Lario, intorno a Gravedona, ed a settentrione nelle quattro valli dei Grigioni italiani, Mesolcina, Calanca, Pregallia e Puschiavina […] Il Ticinese è parlato nella parte settentrionale del Cantone Svìzzero d’egual nome, al norte del monte Cènere, in parecchie varietà, tra le quali distìnguonsi sopra tutto le favelle delle valli Maggia, Verzasca, Leventina, Blenio ed Onsernone.7

      Entrambi i sottogruppi, e in particolare la varietà delle valli del Ticino settentrionale, si distinguono dal milanese e dal comasco per la maggiore palatalizzazione e asprezza dei suoni. Inoltre, benché si tratti di una caratteristica comune a tutti i dialetti dell’arco alpino, il lessicografo nota che il Ticinese si differenzia dalle varietà di prestigio per la peculiare frammentazione linguistica interna al territorio:

      Il Ticinese del pari che tutti i dialetti montani, varia non solo da valle a valle, ma da luogo a luogo, per modo che sovente nella valle istessa distìnguonsi di leggeri tre o quattro dialetti diversi ripartiti in parecchie varietà. Ivi la sola proprietà, che dir possiamo generale, consiste nella rozzezza delle forme e dei suoni; ma sì le une che gli altri vàriano all’infinito, sicché ardua impresa sarebbe il contrassegnarli ed enumerarli.8

      La necessità di ribadire una considerazione già proposta nelle prime pagine del capitolo intestato Divisione e posizione dei dialetti lombardi (citato sopra), va probabilmente ricondotta alla fonte impiegata dallo studioso. In questo passo BiondelliBiondelliBernardino si rifà direttamente a un’osservazione proposta da FransciniFransciniStefano nel capitolo Lo stato sociale, compreso nel primo volume della Svizzera italiana del 1837:

      Difficil cosa sarebbe distinguere e determinare il numero dei dialetti che si parlano nel nostro paese, giacché la varietà vi è grandissima e quasi incredibile da luogo a luogo.9


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