Gelatina Al Lime E Altri Mostri. Angel Martinez
vuota scivolò via da lei e si ribaltò. Il suo partner, Greg Santos, scosse la testa e raddrizzò lo sfortunato complemento d’arredo.
«Le abilità dell’agente Soren sono un suo problema, che potrebbe o meno scegliere di condividere se glielo chiedete. E non cercate di costringerlo, nessuno di voi». Il tenente Dunfee spazzò la stanza con il suo sguardo laser, trafiggendo ogni agente come una farfalla con uno spillo.
«Monroe, nel mio ufficio dopo il briefing. Info sul tuo attuale caso».
Li congedò, marciando fuori dalla stanza con nubi di tempesta nello sguardo. Kyle si ritrovò ad avvicinarsi al ragazzo nuovo e cercare di fare del suo meglio per non essere imbranato. Doveva offrirsi di stringergli la mano? Era sicuro? Il ragazzo si sarebbe fatto indietro come molti facevano alla vista delle sue mani sfregiate? Soren era perfino più alto così da vicino, centonovantadue centimetri di asciutta imperscrutabilità, gli occhi blu che brillavano in modo impressionante sullo sfondo della pelle bronzo affumicato.
«Uh, ciao, sono Kyle Monroe». Kyle tentennò quando neppure Soren gli tese la mano. «Sei con me, credo. Ti farò vedere il nostro posto nella stanza degli agenti».
Soren lo seguì in silenzio, e Kyle stava iniziando a chiedersi se fosse come Krisk per il fatto di non parlare fino a quando non lo fece in un basso e dolce baritono, facendolo sobbalzare e mancare un passo. «Perché ti chiamano Kirby?»
«Lo sentirai dire prima o poi, immagino». Kyle si strinse nelle spalle. «È questa cosa che faccio, assorbire temporaneamente i talenti di altre persone. Se mi stanno vicine. O mi toccano. Come Kirby, il piccoletto rosa del videogioco».
«Ah».
Solo questo? Soren non prese le distanze, né cambiò minimamente espressione. Era fatto di pietra? «È una cosa. Tutti qui hanno una cosa».
Dopo qualche altro passo, Soren chiese: «Sempre?»
«Cosa…? Oh, sono sempre stato così? Chi lo sa. Insomma, magari ricevevo pensieri vaganti o qualcosa del genere, ma no. È piuttosto recente. Sapere che faccio questo».
Kyle fece un lungo giro attorno a Vance entrando nella stanza degli agenti e indicò una doppia scrivania nell’angolo più lontano, ben distante da tutti gli altri. «Quella è nostra. Il caffè è laggiù, ma potresti non volerne. Lascia che prenda il mio fascicolo e andiamo a vedere il tenente».
Si udì un frullio di ali sopra di loro… un lampo brillante di piume che schizzò davanti a Kyle per atterrare sulla scrivania di Carrington in fondo alla stanza. Con un verso rauco, il corvo rosa e blu fluorescente ripiegò le ali e avanzò per beccare la penna di Carrington.
«Piantala, Edgar».
«Non riusciresti a far sesso a un’orgia!» gracchiò Edgar, facendo un altro tentativo per prendere la penna.
Carrington sospirò e gliela porse. «Ecco. Vai a giocare. Cerca di non sporcarti tutte le zampe d’inchiostro stavolta».
Edgar afferrò la penna nel becco color Pepto-Bismol e volò fino al suo trespolo dall’altra parte della stanza, da dove gridò «Grazie e vaffanculo!», per poi procedere a disegnare linee casuali sui fogli attaccati dietro di lui con delle puntine per i suoi lavori artistici.
«Allora, qual è la tua storia, Soren?» gridò Vance attraverso la stanza. «Cosa fa sventolare la tua bandiera di freak?»
«Già, cos’è che fai?» Jeff Gatling smise di teletrasportare la sua banana da un angolo all’altro della scrivania.
«In effetti non faccio niente», rispose Soren mentre sollevava la caraffa vuota del caffè. «Immagino ne farò dell’altro, visto che sono l’ultimo arrivato».
Aprì il coperchio per togliere il filtro e ogni voce umana nella stanza urlò «No!»
La maggioranza delle persone sarebbero sobbalzate, magari avrebbero anche lasciato cadere la caraffa. Soren si limitò a guardare la stanza piena di gente che gesticolava agitata. Tolse il filtro e lo svuotò nel cestino. «Perché no?»
«Meglio non farlo». Kyle rimase accanto alla sua scrivania, a una bella distanza di sicurezza dall’area del caffè. «È compito di Larry».
«Allora Larry non sta al passo». Il contenitore delle bustine di dolcificante iniziò a tremare. Vibrò attraverso il bancone e saltò verso una sgraziata fine, spargendo schegge di ceramica a scivolare lungo tutto il pavimento. La scrivania condivisa da Krisk e Wolf si sollevò da terra di parecchi centimetri e poi vi piombò di nuovo. Wolf fuggì con un latrato squittente appena prima che si ribaltasse su un lato. Soren rivolse uno sguardo a Kyle.
«Larry non è un poliziotto, vero?»
«Lo è… lo era! Un poliziotto morto. Larry è un fantasma. Si innervosisce se chiunque altro fa il caffè. Rimetti quella roba a posto, per favore!»
«Larry?» Soren alzò la voce, ma sotto ogni aspetto rimase del tutto inalterato. «Sono nuovo qui. Mi dispiace davvero di aver invaso la tua giurisdizione. Vedi? Sto rimettendo a posto la caraffa. Chiudo il coperchio. Siamo a posto, Larry?»
Una brezza fece frusciare una pila di fogli, ma non seguì altro caos. La caraffa scivolò dal suo supporto sulla macchinetta del caffè e fluttuò fino al boccione dell’acqua dove Larry, che non si manifestava mai in forma visibile, fischiettò senza una precisa melodia mentre la riempiva.
Dal suo angolo in penombra della stanza, Carrington disse nel suo tono secco e raffinato: «Benvenuto all’Isola dei Freak Disadattati».
* * * *
Mezz’ora dopo, con Soren ragguagliato sul caso e istruzioni di incontrare Chris Hardin della omicidi all’ufficio del medico legale, Kyle condusse il suo nuovo partner all’auto di pattuglia a loro assegnata. Vikash Soren restava un enigma, cosa che non aiutava i suoi nervi già tesi.
«Guido io».
Soren sorseggiò il caffè che aveva preso a un ambulante lì vicino, apparentemente giunto alla stessa conclusione che tutti gli altri raggiungevano con un sorso del caffè di Larry: era alla pari di vernice per il legno. «Sicuro di arrivare ai pedali?»
Kyle lo fissò. Se non avesse visto la sua bocca muoversi, avrebbe giurato di essersi immaginato quelle parole. «Non sono basso».
Un perfetto sopracciglio nero si alzò appena
«Sono nella media. Tu sei sicuro di entrarci, nell’auto?» ribatté Kyle, sapendo che era infantile.
Soren si limitò a sorridere senza mostrare i denti. Non era neppure un sorriso infastidito e teso… più simile alla serena espressione di una statua di qualche antica, soddisfatta divinità. Ripiegò il lungo fisico sul sedile del passeggero senza un’altra parola.
Credo di odiarlo. Meglio che abbia qualche difetto grave, o lo odierò davvero.
Perfino la sua postura da seduto nell’auto di pattuglia era perfetta. Kyle tenne l’attenzione sul traffico di Market Street, cercando di allentare la mascella.
Avevano quasi raggiungo il fiume Schuylkill quando Soren, in un tono a stento alto abbastanza per fare conversazione, chiese: «Isola dei Freak Disadattati?»
«È a questo che hai pensato per tutto questo tempo?»
«Sì». Soren sorseggiò il caffè mentre una piccola V gli si formava tra le perfette sopracciglia nere. «Credo che mi stessi aspettando qualcosa… di diverso».
Kyle fece un’espirazione esplosiva. Già, l’aveva capito. «Anche io, quando mi trasferirono. Insomma, senti parlare delle altre città, ed è più come X-Files, giusto? E se c’è qualche poliziotto paranormale di Philly con talenti utili, probabilmente viene spedito da qualche altra parte. Ma qui, mi dispiace, no. Sei bloccato coi reietti».
«Capisco perché tu saresti un problema». Soren alzò una mano quando Kyle sputacchiò. «Fai cose pericolose, che non puoi controllare, sembra. Ma gli altri?»
«Già.