Gelatina Al Lime E Altri Mostri. Angel Martinez

Gelatina Al Lime E Altri Mostri - Angel Martinez


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È un incendiario».

      «Va bene. Ma non sembra tanto strano».

      Kyle ridacchiò. «Riesce a farlo solo quando è asciutto. Pioggia, neve, troppa umidità, e puff! Niente. Shira Lourdes è una telecinetica da stress. Volano cose quando è nervosa o incazzata».

      «Uhmm. Edgar?»

      «Non siamo sicuri di cosa faccia. È arrivato col tenente. La mia teoria è che si sia ritrovato in mezzo a uno scontro magico e ne abbia ricavato le penne in Technicolor. Da dove la boccaccia, ehm, il beccaccio gli sia arrivato è un mistero per tutti. E Jeff Gatling? Il tizio con la banana?»

      «Fa apporti. L’ho visto».

      «Già, ma può teletrasportare solo frutta».

      «Oh».

      La ruga a forma di V si era fatta più profonda. Il Signor Perfettino poteva essere preso di sorpresa, a quanto pareva.

      «Ecco perché volevano sapere cosa fai. Perché sul serio, tutti facciamo qualcosa e facciamo schifo a farlo».

      Lo Schuylkill, luccicante nel sole di ottobre, era dietro di loro prima che Soren rispondesse

      «Non faccio davvero nulla».

      «Allora perché diavolo ti hanno mandato da noi?» La voce di Kyle si ruppe mentre il suo volume si alzava. Non aveva avuto intenzione di essere seccato, ma maledizione, era come estrarre denti a un mastodonte usando due cucchiai.

      Un altro sorso di caffè, un altro lungo silenzio. «Attorno a me accadono brutte cose».

      «Oh, grandioso. Davvero grandioso».

      «Non sempre». Soren continuava ad avere quel tono basso e regolare, nessuna traccia di alterazione, nessun atteggiamento difensivo. «Solo… quando sono arrabbiato».

      Al semaforo successivo, Kyle si girò a guardarlo. «Soren, tu ti arrabbi mai?»

      «Oh, certo». Quel sorrisino condiscendente era tornato. «Non ti piacerei quando sono arrabbiato».

      Beh, che schifo. Avengers. Senso dell’umorismo. E io che stavo davvero iniziando a odiarlo. «Ah. Posso chiamarti Bruce?»

      «Solo se io posso chiamarti Tony. Anche se preferirei Vikash».

      Kyle ci rimuginò sopra mentre svoltava sulla 34sima dirigendosi nel territorio dell’università. Difficile avere delle sensazioni su qualcuno tanto riservato, ma alla fine decise che Soren, Vikash, stava facendo del suo meglio per essere amichevole. Magari era timido, o magari era davvero strano. Comunque fosse, Kyle era stato messo in coppia con dei veri bastardi nel corso degli anni. Con uno strano poteva cavarsela.

      Per quando ebbe parcheggiato l’autopattuglia bianca, Vikash aveva finito il caffè e, da bravo Signor Perfettino, portò il bicchiere vuoto e il tovagliolino con sé e li gettò negli appositi contenitori.

      «Hai mai preso almeno una multa per divieto di sosta?»

      Vikash gli rivolse una strana occhiata. «No. Perché?»

      «Non importa». Kyle fece strada verso l’interno, dove il Detective Hardin li stava aspettando. Fece un cenno del capo all’uomo, con cui aveva lavorato all’omicidio precedente. «Sembra uguale?»

      «Temo di sì. Volevo che dessi un’occhiata, però, visto che eri sulla scena dell’altro».

      «Questa dov’era?»

      «Appena dopo l’impianto idrico. L’hanno trovata alcuni dei ragazzini che si allenavano per il canottaggio».

      Kyle aveva sempre quel momento di oh, merda, non posso farcela quando entrava in un obitorio con un corpo sul tavolo. Aveva visto parecchi cadaveri da poliziotto, ma non riusciva mai a distaccarsi davvero come facevano alcuni agenti. Era una persona quella sul tavolo, la madre o sorella di qualcuno, qualcuno che aveva avuto dei sogni, che poteva aver odiato il gelato al pistacchio ed essere stato accanto a lui a guardare i fuochi artificiali… e lui doveva calpestare con forza quei pensieri.

      Con la maschera professionale ben salda al suo posto, si sforzò di non sobbalzare quando il tecnico di laboratorio tirò giù il lenzuolo. Quella giovane donna, come la precedente, aveva profondi squarci a forma di V sul corpo; era molto probabile fosse stato quello sulla gola a ucciderla.

      «Doc colloca l’ora della morte tra mezzanotte e le due». La voce roca e rovinata dal fumo di Hardin lacerò la tremenda immobilità. «Perdita di sangue dalla ferita al collo elencata come la causa di morte, ma ci sono anche traumi da corpo contundente alla testa».

      «Abbiamo già i documenti?»

      «Niente. L’assassino potrebbe aver preso la borsa, se ce n’era una».

      «Qualche ipotesi sull’arma?» chiese Kyle mentre si chinava a osservare i tagli dalla strana forma.

      «Sembra quasi la forma di una paletta per piantare i bulbi», mormorò Vikash. Aveva estratto un piccolo blocco note e una penna, e stava prendendo appunti con tratti rapidi e precisi.

      Kyle lo fissò. «Perché sai una cosa del genere?»

      Vikash borbottò qualcosa su sua nonna prima di aggiungere: «Però non dovrebbero essere abbastanza affilate per questo».

      «Il medico legale non ha idee sull’arma». Hardin osservò il nuovo partner di Kyle con un’occhiata in tralice. «Attrezzo da giardinaggio o meno che sia. Hai dubbi sul fatto che sia collegato al precedente, Monroe?»

      Kyle scosse la testa. «No. Stesse ferite. Ora della morte. Non la stessa area, ma comunque lungo il fiume. Va bene se andiamo a dare un’occhiata alla scena?»

      «Questa è un’investigazione congiunta, quindi vai laggiù. E non tenerlo per te se scopri qualcosa. Non mi interessa se è una qualche strana cosa psichica che voialtri pensate che la gente normale non capirebbe».

      Quella frecciatina sul voialtri. Kyle strinse la mascella mentre il suo stomaco si rigirava lentamente. Quattro mesi prima, lui non era stato niente di speciale. Solo uno dei tanti poliziotti che facevano il loro lavoro. Adesso era uno di loro, uno dei freak che il dipartimento utilizzava per gestire i crimini bizzarri e inspiegabili; un male sgradevole ma necessario per molti poliziotti normali. Vikash alzò lo sguardo dal suo blocchetto, la penna ancora posizionata sulla pagina. «Quello era un commento razzista, detective?»

      Hardin sputacchiò. «Cosa? Cazzo, no. Ma la vostra centrale è piena di tipi strani. Lo sai questo, vero?»

      «Non ho idea di cosa intenda». L’espressione neutra di Vikash non diede a Hardin nulla su cui lavorare, e Kyle lottò per reprimere una risata, quasi asfissiandosi nel farlo.

      «Va bene, penso che abbiamo tutto quello che ci serve qui. Ti aggiornerò via email», riuscì a dire quando riscoprì come respirare.

      Lasciarono Hardin a borbottare e Vikash rimase quasi stoico quando tornarono nell’auto. L’unico cambiamento? Quel maledetto sorriso era tornato.

      «Ti piace giocare con le persone, vero?»

      «Sì». Vikash mise via il blocchetto. Neanche una risatina. «Alla scena del crimine?»

      «Beh, di sicuro non stiamo andando alla Batcaverna».

      Quello gli fece ottenere in cambio un suono strozzato. Forse quella era una risata, o Vikash stava reprimendo un colpo di tosse. «Chiamerò per vedere se Loveless e Zacchini possono raggiungerci lì».

      «Talenti utili?»

      «A volte».

      Di nuovo oltre il fiume, di nuovo nello strano silenzio che Kyle stava ancora cercando di rompere. Avrebbe voluto che Vikash facesse un piccolo sforzo. Il silenzio andava bene, ma non quel silenzio strano e spinoso.

      «Allora i tuoi genitori venivano dall’India?»

      «No. Perché?»

      Kyle dovette letteralmente stringere la


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