Sette Pianeti. Massimo Longo E Maria Grazia Gullo

Sette Pianeti - Massimo Longo E Maria Grazia Gullo


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di frequente su Oria e servivano per ripulire i radiatori dei trattori che si riempivano di sabbia.

      - Mi danno la spinta finale che mi serve per rientrare. L’aria compressa mi aiuta ad accelerare e superare di slancio il piccolo aumento di attrazione gravitazionale vicino al costone.

      - Come riesci a volare?

      - Magia…

      - Dai non scherzare!

      - In verità, in questo punto del canyon, la somma tra l’attrazione gravitazionale così bassa e le correnti ascensionali create dai fiori giganti, ci permette di volare. Dai, togliti gli scarponi e seguimi.

      - Tu sei matta! - esclamò sapendo che non avrebbe resistito a seguirla in quel volo.

      - L’importante è stare lontani dalla zona con i cristalli. Non avrai mica paura, vero? - stuzzicò l’orgoglio dell’amico Zàira.

      Xam si sedette a terra, si tolse gli scarponi e li legò insieme a quelli di Zàira e solamente in quel momento si accorse che stavano fluttuando, senza si sentì ancora più leggero, riusciva a malapena a tenere i piedi per terra.

      - Metti in tasca queste - disse l’Oriana porgendogli due bombolette estratte dallo zaino - La prima volta ci tufferemo insieme.

      Si avvicinarono sul ciglio tenendosi per mano e senza esitazioni, come solo i ragazzi possono fare, si tuffarono.

      Volarono per un po’ insieme, finché Xam prese dimestichezza con il volo, poi Zàira svelò un’altra sorpresa.

      Trascinò Xam vicino ad uno dei fiori che li aspirò dentro. Caddero in un soffice tappeto di stami profumati. I fiori, che all’esterno erano di un blu intenso, all’interno erano gialli o rosa chiaro con degli enormi stami color arancio. Xam non ebbe il tempo di sorprendersi, che entrambi furono delicatamente sputati fuori dal fiore. I due amici iniziarono a ridere a crepapelle.

      Zàira cercò di spiegare, tra una risata e l’altra, che l’interno del fiore emanava un fluido esilarante.

      A quel punto Xam era pronto per volare da solo e abbandonò la mano di Zàira che un momento prima stringeva fortissimo.

      Il divertimento era al culmine e Xam continuava ad entrare ed uscire dai fiori.

      Zàira cercò di avvicinarlo, aveva dimenticato di dirgli di non esagerare, il fluido esilarante poteva fargli perdere il contatto con la realtà.

      Non passò molto tempo che questo accadde, Xam aveva perso il controllo e si avvicinava pericolosamente alla zona vietata.

      Zàira pensò di dover intervenire prima che fosse troppo tardi, le punte dei cristalli sulla parete lo avrebbero ucciso. Xam però si muoveva alla sua stessa velocità per cui sarebbe stato impossibile raggiungerlo. Così tirò fuori dalle tasche le sue due bombolette e le utilizzò per accelerare. Raggiunse l’amico, che rideva non rendendosi conto del pericolo, un attimo prima che si schiantasse sulla parete e lo trascinò via.

      Lo riportò nella zona dei fiori e non lo mollò più fino alla fine del volo, appena si trovarono sulla giusta corrente ascensionale, si fece consegnare le sue bombolette e, tenendolo fra le sue braccia, lo riportò al riparo sul ciglio del canyon.

      Si rendevano conto di aver rischiato la vita ma non riuscivano a smettere di ridere. Rimasero sdraiati a terra stretti, vicini uno di fianco all’altro e attesero felici la fine dell’effetto del fluido esilarante prima di rientrare a casa.

      Terzo Capitolo

      Le pieghe che ne risultavano erano occhi e bocca dell’essere

      Adesso era Zàira ad essere in pericolo e la distanza che li separava dalla cima della collina a Xam sembrava eterna. Lì si stagliava una cupola bianca, sembrava un alveare, aveva degli specchi esagonali che contornavano tutto l’edificio, riflettendo la luce del sole quasi accecante.

      Più si avvicinavano al monastero, più un senso di serenità si infondeva nei loro cuori.

      Xam, sfinito per il peso della compagna, continuò a camminare finché, arrivati al tempio, si trovarono d’innanzi un arco aperto che portava al suo interno.

      Appena furono dentro, il corpo di Zàira si sollevò fluttuando dalle braccia di Xam, che non si oppose, sentiva che non c’era minaccia in quello che stava accadendo.

      Fu trasportata verso un lungo corridoio e svanì lentamente dalla loro vista.

      Centinaia di sottili colonne laterali sorreggevano un’immensa volta trasparente che si affacciava sull’Universo, come se il monastero si trovasse nello spazio, Ulica e Xam videro uno strano essere dalle forme alquanto insolite sul fondo della navata e si avvicinarono.

      Il corpo, grigio-viola e approssimativamente cilindrico, era costituito dalla testa e da quattro sezioni che portavano due zampe ciascuna, quello che sembrava un naso a forma di trombetta era preponderante sul viso ma sembrava che qualcosa o qualcuno l’avesse spinto con forza verso l’interno, le pieghe che ne risultavano erano occhi e bocca dell’essere. Il suo corpo non era più grande di un sacco pieno di farina.

      - Sento in voi un’energia positiva, scusate se vi ho trascinati qui, ma il gesto della vostra compagna mi ha colpito.

      - Il gesto della nostra compagna non ci ha meravigliati conosciamo la sua generosità. Non dovevamo trascinare quelle creature inermi in uno scontro, abbiamo perso troppo tempo vagando per la giungla, consentendo a Mastigo di intuire dove fossimo diretti e portando le sue guardie in quel posto mite e sereno, errore imperdonabile - spiegò Ulica.

      - Sarebbe stato impossibile per i Tetramir arrivare fin qui senza trascinare quelle povere creature in uno scontro.

      - Come sai chi siamo?

      Provò a chiedere Ulica, ma Xam la interruppe bruscamente mentre istintivamente le afferrava l’avanbraccio:

      - Dove hai portato Zàira? - chiese al monaco, anche se sentiva che nulla di male potesse succedere alla sua amica in quel posto.

      - Non preoccuparti, è al sicuro. Si sta riprendendo, fra breve sarà qui con noi.

      La risposta gli sembrò vaga, ma continuava ad avvertire quella sensazione di benessere e serenità.

      - Come sai chi siamo? - ripeté Ulica che voleva capire chi gli stesse davanti.

      - Sono Rimei - proferì l’essere senza badare alla domanda - sono qui in meditazione. Le vostre anime e le vostre azioni, anche la bellezza dell’Eumenide di cui mi sfugge il nome - sembrava ridacchiasse soddisfatto della marachella - hanno, dopo trecento anni, attirato la mia attenzione.

      - Ulica - il suo viso dai tratti dolci non si scompose per il complimento.

      Esile e minuta, sapeva di essere molto bella e non lo nascondeva, la popolazione di cui faceva parte non era propensa ai corteggiamenti, né a nascondere le proprie opinioni ed emozioni. Si riproducevano, come le farfalle, da un bozzolo dal colore che avrebbe rispecchiato quello della creatura che stava per nascere. Le Eumenidi erano di tanti colori, tutti in tonalità pastello.

      Ulica faceva parte delle nuove generazioni, create geneticamente. Sul pianeta, uno strano accadimento avvenuto durante l’ultima grande guerra, ancora allo studio dei geologi più esperti, ne aveva fatto spostare leggermente l’asse, creando degli squilibri ambientali e magnetici che avevano eliminato la popolazione maschile.

      Per evitare l’estinzione della loro specie, le Eumenidi erano ricorse alla moltiplicazione dei geni maschili in vitro da utilizzare per la fecondazione artificiale.

      Venivano geneticamente creati solo embrioni di sesso femminile, per evitare che nascessero altri maschi che sarebbero andati incontro a morte sicura. Mai disposte a piegarsi ad una sconfitta, ricercavano nel loro DNA quel gene che aveva loro permesso di sopravvivere per impiantarlo nel DNA maschile, in modo da renderlo invulnerabile alle nuove caratteristiche ambientali di Eumenide.

       - Non mi hai ancora detto come fai a sapere chi siamo - insistette Ulica con il monaco.

      - Perché io vedo molte


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