Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele

Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - Amari Michele


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61

Veggasi il Libro II, cap. XII, p. 474 del primo volume.

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Lasciando da parte i molti diplomi del XII secolo che lo attestano, basti allegare le Consuetudini di Palermo, cap. XXXVI, e gli Statuti di Catania contenuti in un diploma del 1668 presso De Grossis, Catena sacra, p. 88, 89, citato dal Di Gregorio, Considerazioni, nota 21, cap. IV del lib. I.

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Veggasi in questo capitolo la nota 2 a p. 17.

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Ad postremum, capientes panormitanam provinciam, cunctos ejus habitatores captivitati dederunt. Johannes Diaconus, Chronicon Episcoporum Neapolitanæ Ecclesiæ, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte 2ª, p. 313.

65

Veggasi il Libro II, cap. V, della presente storia, vol. I, pag. 294.

66

Veggasi il Libro IV, cap. VIII sul kharâg aggravato nel 1019, e il cap. IX su le possessioni dei Musulmani d'origine siciliana e d'origine affricana.

67

Hedaya, lib. XXXIX, e LII, tomo IV, p. 1, seg.; 466, seg.; D'Ohsson, Tableau général de l'Empire Ottoman, tomo V, lib. IV, V, p. 275, seg.

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Si chiamavano in generale dhiâ', come notammo di sopra, e in Sicilia e Affrica anche ribâ'.

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Mawerdi, op. cit., lib. XVIII, p. 351, seg. e 355, là dove è detto che senza ricusa di combattere o altra causa legittima non si potea togliere lo stipendio, “sendo il giund esercito del popolo musulmano.” Si confronti col lib. III, p. 50, onde si scorge che lo emir di provincia potea, senza permesso del califo, accordare lo stipendio ai figliuoli di militari pervenuti ad età da portar arme.

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Mawerdi, op. cit., lib. XII, p. 218, seg.

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Akhbâr-Megmûa'-fi-iftitâh-el-Andalos, MS. della Biblioteca imperiale di Parigi, Ancien Fonds, 706, fog. 99 recto. In questa importante cronica del X secolo si legge: “Quando recavansi ai califi le entrate (gebâiât) delle città e province, ciascuna somma era accompagnata da dieci personaggi dei notabili del paese e del giund; nè si incassava nel tesoro (beit-el-mâl) una sola moneta d'oro o argento, se costoro non giurassero prima per quel Dio ch'è unico al mondo, essersi levato il denaro secondo il dritto, ed essere sopravanzo degli stipendii dei soldati e famiglie loro nel paese, ciascun dei quali fosse stato soddisfatto di quanto per diritto gli apparteneva. Or avvenne che si recò al califo il kharâg d'Affrica, la quale di quel tempo non si tenea come provincia di frontiera; e il denaro era veramente avanzo, sendosi pria soddisfatti gli stipendii del giund e le prestazioni dovute all'altra gente. Arrivate con cotesto danaro otto persone in presenza del califo, ch'era di quel tempo Solimano (715-717), furono richiesti di giurare; e in fatto fecero sacramento ec.” Questo fatto dell'VIII secolo risponde perfettamente alla massima di Mawerdi, op. cit., lib. III, p. 50, che l'emir di provincia mandi all'imâm gli avanzi del fei, “quando ve ne abbia, pagati tutti gli stipendii.”

72

Secondo Mawerdi, l. c., mancando il danaro del fei in una provincia, dovea supplire il tesoro del califo. Negli annali dal terzo al quinto secolo dell'egira credo non si trovi un solo esempio di stipendii menomati.

73

Mawerdi, op. cit., lib. XVII, p. 337 a 341, enumera i varii casi e i varii pareri dei giuristi, relativamente all'iktâ'. Non si tenea lecito trattandosi di kharâg eventuale, cioè dovuto da Infedeli che avessero pieno diritto di proprietà, e però andassero sciolti dal tributo come dalla gezîa, facendosi musulmani. Il kharâg perpetuo, se dovuto in danaro e non variabile secondo il raccolto, si potea concedere. Pare che gli iktâ' si fossero anco tentati sopra le decime legali, ossia zekât; poichè i giuristi si sforzavano a dimostrarne la nullità. Questo luogo di Mawerdi è stato tradotto da M. Worms, Recherches sur la propriété etc., p. 206, seg.; la cui interpretazione non sempre mi pare esatta.

74

Mawerdi, l. c., della edizione di Enger, e p. 207, seg., della versione del Worms, enumera gli uficii pei quali si tenea permesso lo iktâ' e le condizioni necessarie nei varii casi. La regola generale che se ne cava, messi da canto i dispareri dei giuristi su i punti secondarii, è: 1º di escludere le concessioni oltre una vita d'uomo; 2º permettere le vitalizie ai soli militari; 3º permettere le delegazioni per parecchi anni agli impiegati permanenti, come muedsin e imâm delle moschee; e 4º limitarle a un anno pei non permanenti, come câdi, hâkim, segretarii e impiegati d'azienda.

75

Su le varie entrate legali e le opinioni dei giuristi, citerò in generale Mawerdi, Ahkâm-Sultanîa, lib. XI, XII, XIII, XIV, XVII, XVIII. I fatti generali che allego si cavano dalla storia dei primi cinque secoli dell'islamismo.

76

Si percorrano nel Libro II le vicende della colonia infino al tempo di cui si tratta, e si vedrà appena un dono di spoglie e prigioni di Castrogiovanni fatto dallo emir di Sicilia al principe aghlabita, e da questi al califo.

77

Intitolato il Moscitarik, opera di Iakût, geografo del XIII secolo. Il testo arabico è stato pubblicato a Gottinga dal dotto e infaticabile dottor Wüstenfeld.

78

Veggasi il Moscitarik, alla voce Mêzar. È noto a tutti che gli antichi supposero il nome di Segesta, mutato per eufemismo da Egesta; ma l'autorità degli antichi è debolissima in fatto di etimologie.

79

Veggasi il Libro II, cap. IX, p. 407 del primo volume.

80

Alla prima apparteneano Ibn-Gauth (Libro II, cap. III, p. 285 del primo volume), un della tribù di Hamadân (Libro II, cap. VI, p. 314 del primo volume), i Kelbiti, che furono emiri di Sicilia nel X secolo, e fin nel XII secolo un della tribù di Kinda, che comperò una casa in Palermo da un Berbero di Lewâta. Della seconda nasceano gli Aghlabiti, che mandarono molti loro congiunti in Sicilia: e si trovano inoltre i nomi delle tribù di Kinâna, Fezâra e altre dello stesso ceppo. Tra i poeti arabi di Sicilia, che fiorirono la più parte nell'XI e XII secolo, veggiamo tre rami soli di Kahtân e moltissimi di Adnân, non ostante la signoria dei Kelbiti.

81

Per gli Spagnuoli veggasi il Libro II, cap. III, p. 264, e cap. IV, p. 286 e 288 del primo volume. Si potrebbe anco attribuire alli Spagnuoli il nome di Caltabellotta “la Rocca delle Querce,” identico a quello di Kalat-el-bellût, presso Cordova. Ma ognun vede che il nome potea nascere dalla condizione del luogo.

82

Casr-Sa'd chiamavasi secondo Ibn-Giobair (Voyage en Sicile de Mohammed-ibn-Djobaïr, Journal Asiatique, série IV, tomo VI, 1845, p. 516, e tomo VII, 1846, p. 75, e nota 24) un castello nelle vicinanze di Palermo, fondato fin dai primi tempi della dominazione musulmana. Era nome di tribù arabica di Adnân, stanziata in Siria e in Egitto, come si ritrae da Makrizi, El-Baiân-wa-l-I'râb, edizione del Wüstenfeld, p. 11 a 14; dalla quale tribù vennero i nomi di quattro diversi luoghi in Oriente, che occorrono nel Moscitarik di Iakût, p. 447, e d'un villaggio presso Mehdîa, in Affrica, ricordato nel dizionario biografico di Sefedi, MS. di Parigi, Suppl. Arabe 706, articolo su Khazrûn; e da Edrisi, Géographie, versione francese, tomo I, p. 277.

Belgia, secondo Edrisi, era castello sul fiume, or detto Belici, che scorre tra Gibellina e Santa Margarita, e mette foce presso Selinunte. Il nome or del castello e or del fiume, nei diplomi latini dall'XI al XV secolo si vede scritto Belich, Belichi, Belice, Belix, Bilichi. In altra regione, tra Polizzi, cioè, e Collesano, si ricorda nel XIV secolo un castel Belici. Veggansi i diplomi presso Pirro, Sicilia Sacra, p. 695, 736, 842, 843; Di Gregorio, Biblioteca Aragonese, tomo II, p. 469, 489, 492; Del Giudice, Descrizione


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