Storia degli Esseni. Benamozegh Elia

Storia degli Esseni - Benamozegh Elia


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peccato.» Filone intende pegli Dei dei Gentili, aggiungendo, acciocchè nessun discepolo di Mosè si avvezzi a stimar poco il nome di Dio che sempre stimò. Giuseppe Flavio consente in quella intelligenza del Testo Mosaico col nostro Filone; ma finchè non fossero che questi due scrittori, un dubbio naturalissimo potrebbe sorgere non forse volessero per siffatta guisa amicarsi la opinione dei Pagani, e fare da essi estimare la legislazione mosaica. Ciò che ne interdice di così giudicare ella è l’autorità del Zohar, doppiamente preziosa, vuoi perchè chiarisce ingenua e spontanea la interpretazione dei due scrittori greci con essi consentendo, vuoi perchè ne porge un nuovo anello onde connettere costoro, e specialmente Filone, colla teologia acroamatica e coi principii che ispirarono al zohar la stessa interdizione di Giuseppe e Filone. Vedi mie note critiche al Pentateuco nell’opera mia Ebraica Em lamicra, Levitico Cap. 24.

A pag. 159. La tradizione trova mal fatto chiamare il proprio genitore per nome, sia egli presente o lontano, e quando pure si qualifichi con qualsiasi titolo onorifico. Non è egli in sommo grado parlante trovare la stessa inibizione in Filone? «Perciocchè (egli dice) neppure il nome dei mortali genitori, quelli che osservano la pietà ardiscono nominare, ma lasciando per riverenza i nomi propri, dei naturali si servono, chiamandoli Padre e Madre.

A pag. 160. Chiama vera filosofia, alla quale l’Ebreo attende il giorno del Sabato, quella che in sè questi soli tre capi contiene, opinioni, detti, ed opere. È degno di nota, da una parte come la tradizione esiga il riposo sabbatico, non solo nelle opere ma eziandio nei detti e nel pensiero, astenendosi da parole o cogitazioni che non siano di preghiere o di studio; e dall’altro come il culto perfetto secondo i Teosofi ebrei consista appunto nella consacrazione dei pensieri, dei detti, delle opere, al servizio divino Mahasabà, Dibbur, Maasè.

A pag. 170. La legge di successione registrata nel Libro dei Numeri, tace del Padre, come erede del proprio figlio. Si oda Filone… perciocchè pazzia sarebbe credere che lo Zio come fratello del Padre fosse erede del figliuolo ed il proprio padre non fosse erede del figliuolo; ma perchè la legge di natura comanda che i figliuoli succedano nei beni dei padri e non i padri in quei dei figliuoli, di questi non parlò come di cosa di tristo augurio e contrario all’amore paterno. Accennò nondimeno tacitamente che quel benefizio che ai zij permette doversi ai Padri ancora esser conceduto: Triplice conformità coi Talmudisti. 1º Nel riconoscere nel Padre il diritto di successione al figlio, nonostante il silenzio del Testo. 2º Nel valore conceduto alla causa di questo silenzio; cioè come cosa di tristo augurio; ragione che il Talmud stesso invocava nel trattato Batrà, Cap. 3º. – ; 3º nel convenire che fa Filone, avere Mosè tacitamente accennato questo diritto del Padre; sistema d’interpretazione in uso presso i Farisei i quali dal proibito incesto colla nipote, traggono per illazione de minori ad majus quella della figlia stessa e dalla parola Scèero che si legge nel Testo Mosaico concludono doversi attendere anzi tutto al diritto del padre, verace parente e carnale come Scèero appunto significa.

Noi abbiamo fin qui indagato nella intima natura di questi raffronti, il pensiero comune tra la tradizione farisaica e Filone; e crediamo avere il risultato risposto pienamente alla nostra aspettazione. Rimarrebbe però a desiderarsi che oltre queste concordanze di fatto che offre Filone colla tradizione, ci ponesse egli stesso sulla via per risalire alla origine della tradizione e qualche cosa dicesse che accennasse appunto avere egli da questa fonte attinto che noi presumiamo. Ognun vede la grande importanza di questo deposto di Filone, se pur vi fosse. Avventurosamente egli esiste ed è nei termini seguenti ai quali vuolsi gran peso concedere. «Ma io la invidia di costoro trapassando desidero esprimere di un tal uomo quello che mi hanno insegnato i Sacri libri che egli lasciò… e che io ho appreso da alcuni vecchi della nostra gente i quali sempre all’antica lettura, alcuna cosa solevano aggiungere, onde maggiormente la vita di lui ho potuto conoscere.» Questa preziosissima confessione pone il suggello a quanto fu da noi intieramente dimostrato per via di raffronti e la sorgente tradizionale non poteva essere meglio dimostrata a dito, di ciò che si fa in queste parole.

(Vita di Mosè in principio.)

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Revue des Deux-Mondes, V, 745.

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Questo studio rigorosissimo di purità sino al punto di preterire doveri sì sacrosanti ci può far comprendere il valore di certe parole del Fondatore del Cristianesimo. Lasciate i morti seppellire i loro morti. Chi non odierà il Padre, la Madre, il fratello per amor mio non sarà degno di seguirmi. Donna, questi sono mia Madre e questi i miei fratelli. Non è nostro officio sindacare di queste sentenze il valore morale; sibbene il critico. Ora noi fondatamente asseveriamo non d’altronde derivare se non da quel concetto che di se medesimo mirava a far prevalere e che altrove abbiam già veduto informare le sue parole; quello cioè di Tempio vivo e vero ed erede delle prerogative tutte del Tempio reale allora esistente. Quindi per naturale illazione tutti i doveri che cessavano alle soglie del Tempio non potevano più avere niun diritto alla sua osservanza nè a quello dei seguaci. Vediamo infatti non per altro motivo giustificarsi da Gesù le infrazioni del sabato e delle leggi dietetiche se non dicendo esservi allora presente. Qualcheduno maggiore del Tempio. Notabilissimo poi è che il Zoar dà la qualità di Tempio al Dottore Cabbalista (Vol 3º Sez. Zau); nuovo indizio delle origini essenico-cabbalistiche del Cristianesimo.

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Risulta dal Testo sacro per duplice motivo e in duplice senso, chiamarsi il Nazireo con questo nome, nel senso di separazione e nel senso di corona. Ciò prova come la nomenclatura biblica sia polisensa, e come bene si appongano i dottori, cercando, oltre la indicazione biblica, altro senso nel nome di quei personaggi. Non meno questo fatto resulta evidente nei nomi apposti ai figli di Giacobbe; per esempio, Giuseppe, ove anche il senso di ritrarre, cessare l’onta dell’orbamento, è accennato dal Testo stesso, allato dell’altro più appariscente di aggiungere, aumentare; e di altri non meno, come avvertimmo nelle nostre note al Pentateuco in lingua ebraica (Em lammicrà, Genesi, cap. I). Questa multiformità di sensi può darci la chiave di alcune anomalie, non ancora perfettamente risolute; qual è, a mo’ d’esempio, la poca convenienza che si nota tra certi nomi biblici nella loro attual giacitura, e la etimologia che ne assegna la stessa Scrittura; così Cain mal consuona col Canisti, da cui si vuole derivato; Noè con Jenahamenu, Samuel con Seiltiv, ed altri, che nel nostro sistema avrebbero avuta altra significazione, eziandio taciuta dal Testo. Si spiegherebbe ancora come siano rimaste in credito certe derivazioni pugnanti colla esplicita dichiarazione del Testo, qual è, ad esempio, la origine del nome Mosè, secondo la Scrittura, dal verbo ebraico Masa e secondo Filone (Vita di Mosè) dal nome egiziano d’acqua, mos. Non è improbabile l’ipotesi che i primi cristiani siansi detti Nazareni, nel senso di Nazirei, piuttosto che in quello di originarj della città di Nazaret, etimologia poco ammissibile, e per avventura immaginata quando l’antica origine dell’Essenato, cominciò a venir meno nella memoria degli uomini.

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Chi sa che l’atto di Geremia nel propinare il vino ai Recabiti non sia una di quelle solite parodie onde i profeti solevano contraffare le prevaricazioni del popolo per fargliene rimprovero. Avremmo quindi l’iniziazione e il magistero profetico nei Recabiti eziandio, ai quali era dato il vino come antidoto, siccome ai suoi coetanei rimprovera Amos; e intenderemmo meglio le promesse fatte ai Recabiti da Geremia che suonano così magnifiche. È strana dopo le cose dette fin qui l’opinione di coloro che si ostinano a vedere nell’uso generoso del vino una preparazione necessaria e consueta all’officio di profezia tra il popolo nostro.

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L’origine essenica del cristianesimo trova un eloquente riscontro nella


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