Storia degli Esseni. Benamozegh Elia

Storia degli Esseni - Benamozegh Elia


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non meno bene si confà all’antico uso dei profeti e degli Esseni.

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Dante è Maestro in siffatte similitudini; solo che alla Sapienza rivelata, alla Teosofia si sostituisca la filosofia detta da esso «la bellissima e famosissima figlia dell’imperadore dell’universo

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A chi volesse vedere nella purità e bianchezza dei Nazirei in Geremia, la delicatezza o candor della pelle, dimanderemmo ci dicesse perchè singolarmente si specificano qui i Nazirei. La similitudine poi della Neve, usata, come nota Rasci in Daniel, a indicare la purità delle vesti, non è tralle menome prove che mostrano quanto bene il padre di tutti i chiosatori si sia egregiamente apposto nell’interpretare per le vesti.

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È questo uno degli infiniti esempj in cui la Pratica posteriore a Mosè soperchiandone i dettati o diversificandone l’indizio manifesto di una tradizione è coimperante in Israel colla legge scritta. Infatti la Storia biblica ci mostra in pratica il Nazerato perpetuo. Ma dov’è egli preveduto e regolato nel testo mosaico? In nessun luogo.

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Abbiamo udito la scrittura parlare di santità a proposito dei Nazirei. Ora è bene che si sappia che ogni qualvolta il nome di santo è usato nel senso di astinenza o di perfezione religiosa la traduzione aramea è sempre Parus. L’atto stesso del votarsi al Nazirato Iafli è tradotto dal Parafrasta Caldeo Jefares; da ciò il nome dell’angiolo apparso al padre di Sansone se in ebraico è detto Peli in arameo è tradotto Meforas; nè altro è da intendersi nel titolo di Meforas dato dai Rabbini al titragramma se non il nome separato e distinto per eccellenza. Qui sarebbe luogo di diffondersi sopra una obiezione speciosa che questo nome di Parus potrebbe suscitare contro l’antichità del Zohar. Tra le tante vestigia di tempi moderni che i critici vollero trovarvi, ora nello stile ora nelle dottrine, non mi venne fatto d’imbattermi in una che tutte le vince in speciosità e verosimiglianza e che pure mirabilmente si solve alla luce delle cose accennate. Le intelligenze superiori angeliche sono dette nel Zoar Periscian: vale a dire intelligenze separate. Ora per poco che si abbia contezza della filosofia aristotelica, specialmente del peripatetismo arabico, facile sarà ricordarsi come in questi sistemi, intelligenze separate siano dette le intelligenze angeliche perchè immateriali e incorporee. Come non dubitare di una traccia della filosofia araba e della sua fraseologia nelle pagine del Zoar? Nelle mie note su quel libro in lingua ebraica osservai che non v’ha ragione di credere piuttosto a una derivazione arabo-aristotelica e quindi posteriore, che ad una origine greca, platonica o aristotelica e quindi più antica, ove meglio non si accetti la originalità del Zohar nel coniare questo epiteto. Ora aggiungo che il Parus, usato dalle tradizioni aramee per indicare la santità in genere, conviene che nulla più, alla frase ed all’uso che il Zohar ne ha fatto, trattandosi d’intelligenze angeliche chiamate dai Profeti antonomasticamente Santi; e che il Mefaras del Parafrasta Ionatan applicato all’angiolo è di una convenienza difficile a vulnerarsi col Perisan del Zoar inteso per gli angioli.

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Il Talmud pare, è vero, non alludere che ad un oggetto speciale esclusivo, cioè di porsi in grado di offrire una specie di sacrifizio che solo la merce del Nazirato avrebbe potuto presentare. Tuttavia chi conosca come il Talmud Babilonico sia stato scritto più di sei secoli dopo i più bei tempi dell’Essenato; in terra, e tra costumi tanto dai loro diversi, non stenterà a credere che lo scopo universalissimo del Hasidim nel farsi Nazirei, o per dir meglio la medesimezza dei due personaggi siasi circoscritta nel Talmud e considerata da un solo punto di vista.

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Vegga il lettore tra i raffronti da noi stabiliti nella nota 3, pag. 90, tra Filone e la tradizione farisaica, la memoria di questa volontaria continenza mosaica nel filosofo alessandrino. Ragion di più per farle acquistare peso e autorità.

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Questa stessa trasformazione dell’eccezione in regola del precetto morale in Cerelo, costituisce uno dei passaggi originarj dall’Etraesmo al Cristianesimo.

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Questa bellissima idea, che Paolo presentò ai Pagani nella similitudine dell’ulivo selvatico, appartiene in origine ai dottori interpretanti la promessa ad Abraham: E saranno in te benedette tutte le genti della terra. Il verbo ebraico venibrehu, che suona saranno benedetti, è suscettibile dell’altro senso d’innesto, ed è appunto su questo che i Dottori insisterono veggendovi l’innesto di tratto in tratto operatosi, di un ramo gentile sul tronco ebraico.

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Le istituzioni e gli offici sono come le scienze. Dapprima confusi e concentrati in una sola persona, non cominciano a distinguersi che in progresso di tempo. Perciò il sacerdozio fu anticamente centro in cui conversero tutti i rami del sapere e tutti i sociali maestrati, appunto siccome quello che tutti sovrasta. L’ebraismo stesso, per quanto non abbia seguito la legge comune, lenta, regolare del progresso, e sia sorto, come avverte l’autore del Kuzari (libro meditato pure da Guido Cavalcanti, come ci ammoniva l’illustre Mamiani), a guisa delle creazioni in un Fiat; pure non è sì che la legge di unione primitiva non si verifichi in esso ancora comecchè per breve istante. Difatti è sentenza dei dottori corroborata eziandio da qualche cenno del Testo che nei sette giorni d’inaugurazione del tabernacolo il ministero sacerdotale fosse assunto e concentrato temporariamente in Mosè siccome Jerofante e Iniziatore, il quale da quell’ora in poi tornò semplice Levita e subordinato ad Aaron.

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Non si attribuisca questo vivere nelle tende a costumi tuttavia rozzi e primitivi. Nè i Cananei sposseduti, nè gli Israeliti erano allora in tal grado di barbarie da non aver ancora case costruite. Esempj di case anteriori a questi fatti non mancano nella Bibbia. Sin dai tempi di Mosè egli promette loro nella Palestina Case piene di ogni bene che voi non avrete ricolmo; prevede e regola la costruzione di nuove case e impone il riparo sul tetto. Contempla e prescrive le regole per purificare le case colla demolizione delle antiche mura, e colla introduzione di nuovo materiale. Egli è quindi indispensabile credere che se ai tempi tanto più posteriori di Devora i Cheniti abitavano sotto le tende, così facessero non per altra cagione di quella che indusse a così fare i loro nepoti a’ tempi tanto più moderni di Geremia, che il vide e li lasciò viventi fuori della città sotto le tende.

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Isaia, cap. 1.

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Lo avere questa sentenza origine nel Zohar, lungi dal detrarre del suo valore ne accresce anzi il pregio per ognuno che ricordi essere a senso nostro non altro gli Esseni che i predecessori dei Kabbalisti o Teosofi moderni, appo i quali si troverebbe pertanto la stessa denominazione di Eunuchi.

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Questa lezione era da lungo tempo scritta quando mi venne fatto d’imbattermi nel florilegio talmudico (En Israel), ediz. Königsberg, e preceduto da bella e dotta introduzione di scrittore moderno. L’autore, ragionando intorno ai versi d’Isaia di cui è parola, esce fuora con questa interpretazione, che se non coincide appuntino colla intelligenza che qui si attribuisce al Testo, pure di molto le si avvicina, e stabilisce un principio e accenna una idea generale che non può trovare la sua realtà concreta, il suo adempimento storico, che nella ipotesi nostra. Ecco le sue parole: «Vuole Isaia significare come allora vi fossero uomini assai che renunciato avevano ad ogni piacere mondano, nè tolto avevano donna; ma attendevano in solitudine con grande amore al culto religioso, nel Tempio divino, e tanto avveniva altresì degli stranieri, vale a dire dei Gabaonti.»

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Pel lettore che sa di ebraico non fan mestieri spiegazioni. Pegli altri, diremo solo che tutto il ragionamento presente tende a provare come il verbo Omed lefanai usato in Geremia a proposito degli Esseni, è suscettibile, in forza degli arrecati esempi, dei sensi che qui si accennano.

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Tra i trasportati in Babilonia, la storia biblica annovera charas


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