Storia degli Esseni. Benamozegh Elia

Storia degli Esseni - Benamozegh Elia


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da bere. Quest’ultima circostanza taciuta dal Testo si trova solo nella Tradizione.

A pag. 78. Perciocchè allora più mostrava di veder la bestia che l’uomo, il quale si dava vanto di vedere non pure le cose mondane, ma esso rettore e creatore dell’universo. Al vanto dl Balamo che si dice conoscitore della Mente di Dio (Veiodea daat Elion) i Dottori domandano or come conosce la Mente di Dio colui che nè anco sa cosa voglia la sua giumenta?

A pag. 108. Quivi (I Dottori interpetri della legge per ordine di Filadelfo) rapiti dallo spirito, profetavano non diversamente, ma tutte colle medesime parole non altrimenti che se alcuno avesse dettato a ciascheduno invisibilmente. Il Talmud parecchi secoli dopo Filone, e ignaro certamente dell’attestato di questi, ripete le stesse cose. Non è prova il deposto di Filone della preesistenza delle medesime tradizioni ai Dottori talmudici e non pone suggello alla loro veracità? Questa esattezza nel riferire le tradizioni storiche ci è arra della dote medesima nel riferire le tradizioni dottrinali. Ognuno comprende come la verità del fatto sia considerazione estranea alle conclusioni che qui si traggono, perocchè la lealtà farisaica rimarrà dimostrata ogni qualvolta le loro narrazioni si palesino concordate dai più valenti scrittori, non pochi secoli vissuti innanzi a loro.

A pag. 119. Di tale affetto di conversar con donna erasi spogliato Mosè già molto innanzi, quasi infin da quel tempo che incominciò a ricevere lo Spirito Divino, per esser sempre apparecchiato ad ascoltare gli oracoli della voce divina. Circostanza taciuta assolutamente nel Testo mosaico, nè vi ha frase che l’autorizzi. I soli a parlarne, a giovarsene eziandio per ispiegare non pochi passi del Pentateuco sono i Dottori. Donde tolse Filone questa circostanza? Io non so imaginare altra fonte che quella d’una tradizione nazionale anteriore alla emigrazione degli Ebrei in Egitto. Avesse anco attinto Filone nel centro Palestinese, rimarrebbe tuttavia verissimo che i Dottori talmudici nulla dissero che non corresse per le bocche ad ognuno, parecchi secoli innanzi; e che non pochi dettati i quali sembrano appartenere al patrimonio letterario dell’epoca loro, hanno radici in un’antichità che non eravamo usi sospettare. Alla pagina istessa Mosè è dichiarato, bello e forte di corpo. Ed anco di questo, solo la tradizione è maestra che appunto in Mosè trova il prototipo di tutti i Profeti siccome quello che era forte ricco e sapiente.

A pag. 120. In quei giorni ch’egli (Moisè) nel monte dimorò, imparava tutti i misteri del Sacerdozio. E questo è purissimo farisaismo, che vuole la Legge e i misteri della Legge imparati da Moisè nei giorni ch’ei stette sul monte.

A pag. 137. Esse dunque (le Donne) avevano dedicati a Dio spontaneamente gli specchi avanti i quali erano avvezze ad abbellire la faccia come primizie dell’onestà del matrimonio. Che dal Testo apparisca essere veramente specchi cotesti, e dalle donne offerti, può darsi, ma l’intenzione e il pregio di tale offerta quali si descrivono qui da Filone, non si leggono che nei Dottori i quali vi veggono come Filone il simbolo e lo Stromento dell’amor coniugale onde tanto crebbe il popolo di Dio in Egitto.

A pag. 161. Insegnando (nel sabato) il principe (Moisè) a guisa di Dottore ammaestrando e dimostrando a ciascuno l’officio suo il quale uso dura anche al dì d’oggi presso i Giudei. Nessun vestigio nella Bibbia di questa pratica; sibbene nella tradizione la quale fa risalire a Mosè la istituzione di cui si tratta e l’insegnamento al popolo nei Sabati e nelle Feste dei Riti odierni.

A pag. 162. Stando Moisè sospeso nè sapendo con qual maniera di morte che a lui si convenisse, dovesse punirlo. Il Testo dice semplicemente che non sapeva qual pena dovesse infliggergli. Ella è solo la tradizione che ponendo in Mosè la certezza della pena di morte, gli fa sol dubitare in qual maniera dovesse essere eseguita. Le parole di Filone consuonano quindi perfettamente colla tradizione, meglio assai che col Testo il quale tollera che si supponga in Mosè il dubbio piuttosto, se fosse o no reo di morte. Ma la mèsse che noi andiamo a raccogliere del raffronto fra dottrine e dottrine è di gran lunga maggiore e più importante.

A pag. 3. Filone fa notare come Mosè fu il settimo per ordine dal primo il quale venuto da straniere contrade diede principio al popolo ebraico. Qui tutto è farisaico 1º L’importanza conceduta ai Numeri. 2º La Santità del numero Sette. 3º L’osservazione medesima per ciò che riguarda Mosè è non meno esplicita nei Dottori, i quali adducono qual prova della stima in cui questo numero è tenuto, la elezione di Mosè settimo nella serie dei Patriarchi.

A pag. 20. Filone trova nella visione del pruno che arde senza consumarsi un senso allegorico «il fuoco che non consumava la materia, dimostrava che coloro non dovevano morire i quali dalla violenza dei nemici erano calcati.» Questa interpetrazione è proposta e autorizzata dai Dottori.

A pag. 22. Dirai primieramente loro, che Io sono colui che è, acciocchè imparino la differenza tra colui che è, e quello che non è; nè verun nome potersi convenevolmente dire di me del quale solo è l’Essere. E se egli avvenisse che per essere essi d’ingegno tardo, volessero sapere come io mi chiamo, mostra loro non solamente me esser Dio, ma Dio ancora di tre personaggi ec. Qui si noti:

1º Filone dà perfettamente ragione alla più antica sentenza che vide nei due nomi più augusti di Dio —EhieAvajà– il concetto dell’Essere; e vince colla sua luce il falso bagliore di interpretazioni quali sono quelle proposte dal Prof. Luzzatto vuote di ogni merito, tranne quello, di essere da lui derivate.

2º L’Essere, qual nome di Dio e superiore a quello stesso quadrilettere, consuona mirabilmente con quanto insegnano i Teosofi ebrei (Kabbalisti) i quali veggono nell’Ehie o Essere, la denominazione di una Sefirà o Emanazione superiore a quella che reca il secondo di questi nomi.

3º Tanto conferma Filone aggiungendo che ove per ingegno tardo volessero saper come Io mi chiamo mostra ec., dove si allude manifestamente al quadrilettere usato dal Testo in quella circostanza e chiamato Dio d’Abramo ec.

A pag. 28. Dieci afflizioni caddero sopra il paese, acciocchè quelli che avevano commesso ogni scelleraggine con perfetto numero di flagelli fossero battuti. Qui non solamente torna in campo il valore dei numeri, non solo il numero dieci è il prediletto dai Dottori e dalla Bibbia eziandio, ma ciò ch’è più, la teosofia recondita degli Ebrei trova nei dieci flagelli d’Egitto, l’espressione, la imagine delle dieci emanazioni impure, specie di Antischemi ch’essi oppongono alle divine emanazioni.

A pag. 29. Cotali (flagelli) però in tre ordini furono divisi. Ogni Israelita legge nei vespri pasquali l’antica sentenza di R. Iehuda che divide i dieci flagelli in tre serie, Dezah, Adas, Beahab. Questa gratuita partizione diventa così, più vecchia di circa due secoli.

A pag 54. La vitale virtù della palma non come le altre piante e riposta nelle radici ma nel sommo messa, come ii cuore nel mezzo dei Rami la quale intorno intorno è custodita, come un Re dalle sue genti. Osservazioni dei Dottori a proposito della Palma festiva i quali aggiungono volere essa per questo significare l’unità d’aspirazione d’Isdrael verso l’Altissimo. Quanto alla Palma, ecco come si esprime il Sharon Turner I, 122, nota: «Vi è una tribù di piante chiamate monocotiledone dove dall’avere un solo lobo per seme, appartiene a questo, l’ordine naturale delle Palme.»

A pag. 82. È sensibile in Filone una interpretazione farisaica di un locuzione di Balaam. Questi aveva detto per Israele «popolo che qual lione si alza, nè riposa finchè abbia divorato la preda. I Dottori spiritualizzando il verso lo applicarono alle preghiere, alla Confessione di Dio che l’Israelita ripete, nel levarsi e nel coricarsi. Si oda ora Filone: nè ciò fatto anderà a riposare, ma vigilando canterà versi che significheranno la sua vittoria.» Ecco altri tre secoli di antichità alle più umili o neglette tradizioni farisaiche.

A pag. 104. Il Testo Biblico vieta le opere nel giorno di Sabato. Una esegesi razionalistica potrebbe non vedervi, che le opere le quali affaticano il corpo, non atti che si compiono quasi per trastullo, quale sarebbe cogliere un frutto, strappare una fronda ec. Filone però non è tra questi. Concede ancora il settimo giorno agli alberi e a tutte le piante qualche alleggiamento, perciocchè in tal dì è vietato levarne le frondi e le foglie e raccorre alcun frutto.

A pag. 120. Filone traduce il


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