Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I. Amari Michele

Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I - Amari Michele


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200 a Malta, e che per questo diploma concedeva il rimanente di 40 soldi e una frazione, sopra tre fondi diversi posti nella massa Piramitana, nel territorio di Siracusa.

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San Gregorio, che non credea certamente a tal fola, pur l'accreditava, con mille altre somiglianti, per promuovere la superstizione; e nel presente caso anco per aizzar la gente contro i Longobardi, barbari e tuttavia Ariani come i Goti. Vedi Divi Gregorii Papæ Dialogi, lib. IV, cap. 30.

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Caruso, Memorie storiche di Sicilia, parte I, vol. II, lib. 5. Il volume che contiene questo passo, uscì alla luce in Palermo il 1716, sotto il dominio della casa di Savoia.

Di Giovanni, Codex Siciliæ Diplomaticus, dissertazione 1, p. 405, seg. Il primo volume di questa egregia opera, che non si continuò per cagion d'una acerba e sciocca persecuzione, fu stampato a Palermo il 1743. Dopo mezzo secolo e più, il Di Gregorio (Introduzione al Diritto pubblico Siciliano) onorò la memoria dello autore con una timida parola. Domenico Scinà l'ha poi vendicato degnamente (Prospetto della Storia letteraria di Sicilia nel secolo XVIII), tom. I, p. 260 e seg.

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Acta Apostolorum, XXVIII, 12.

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Quest'ultimo fatto si potrebbe spiegare altrimenti, supponendo una tratta di schiavi stranieri; ma quel di Tindaro lascia pochissimo dubbio, parlandosi espressamente di idolatri che non si voleano convertire ed erano difesi dai potenti. Ciò mostra che si tratti di contadini di Sicilia schiavi dei grandi proprietarii, e che il caso sia simile a quel di Sardegna. Oltre i seguaci del paganesimo greco e romano, qualche famiglia balestrata in quelle provincie dalla servitù prestava culto agli Angeli. Veggansi le epistole di S. Gregorio, lib. II, nº 98, indiz. XI (a. 593), e lib. V, nº 132, indiz. XIV (a. 596); le quali anco si leggono presso il Di Giovanni, Codex Siciliæ Diplomaticus, numeri CII e CXXVII, pag. 142 e 175. Per la missione in Sardegna riscontrinsi le epistole di San Gregorio, lib. III, nº 23, 25 ec.

In Sardegna, oltre gli idolatri indigeni, v'era una popolazione detta dei Barbaricini che si mantenea con le armi alla mano; coi quali si trattava di far uno accordo, purchè si convertissero al cristianesimo. V'ha su questo argomento altre epistole di San Gregorio, una delle quali indirizzata al capo de' Barbaricini. Par che si tratti di Berberi, come l'han pensato alcuni eruditi.

La tarda conversione degli abitanti delle campagne in Sicilia è notata espressamente nel panegirico di San Pancrazio scritto nel IX secolo, presso il Gaetani, Vitæ Sanctorum Siculorum, tom. I, pag. 11; e nella raccolta dei Bollandisti, Acta Sanctorum, 3 aprile, pag. 237, seg.

In generale si riscontrino Pirro Sicilia Sacra, Gaetani, Di Giovanni, Caruso, nelle opere citate, dal I al VI secolo, e il compendio del P. Aprile sì diligente a far fascio d'ogni erba (Della Cronologia universale della Sicilia, pag. 442, seg.). Le fonti della storia ecclesiastica di Sicilia nei primi tre secoli, per lo più sono i menologi greci e i Mss. del Monastero di Cripta Ferrata e di quello del Salvatore di Messina. Dei Mss. greci si sa quanto valgano. Gli altri puzzano spesso di XII e XIII secolo.

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Veggansi i particolari in Di Giovanni, Codex Siciliæ Diplomaticus, Dissertazioni II, III, IV.

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Divi Gregorii papæ, Epistolæ, lib. I, nº 80; presso il Di Giovanni, op. cit., si trova al nº LXXIX, p. 125.

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Tre diplomi in papiro dati il 444, risguardanti il maneggio del patrimonio di un Lauricio in Sicilia e il danaro che il suo procuratore avea pagato ai conduttori della Chiesa di Ravenna anche in Sicilia, presso Marini, I Papiri Diplomatici, nº LXXIII. Divi Gregorii papæ, Epistolæ, presso Di Giovanni, op. cit., nº 211. Agnelli, Liber Pontificalis, presso Muratori R. I., tom. II, Parte I, p. 143, ove si dice di un Benedetto diacono, rettore del patrimonio della Chiesa Ravennate in Sicilia. L'autore visse nella prima metà del IX secolo. Il fatto portato da Agnello si riferisce alla metà del VII secolo, e prova la ricchezza di questo patrimonio e la corruzione dei rettori.

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Theophanis Chronographia, p. 631. Supponendo che si tratti di talenti attici e ragionando il peso in oro puro, i tre talenti e mezzo varrebbero circa 300,000 lire italiane; ragionando i prezzi delle cose, circa un milione d'oggi.

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Vedi le autorità citate dal Di Giovanni, Codex Siciliæ Diplomaticus, Dissertazioni V e VI.

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Pirro, Sicilia Sacra, p. 25, nota del D'Amico.

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Divi Gregorii papæ, Epistolæ, lib. I, nº 39, indiz. IX.

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Ibid., lib. III, nº 15, VII, 27, VIII, 65.

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Divi Gregorii papæ, Epistolæ, lib. I, nº 3, indiz. IX.

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Lib. I, ep. 1, indiz. IX.

132

Lib. I, ep. 3.

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Epistola di San Gregorio del 16 marzo 591, presso Di Giovanni, Codex Siciliæ Diplomaticus, LXVI, pag. 106, la quale manca nella edizione delle opere di San Gregorio che ho per le mani.

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Lib. I, ep. 42.

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Questo provvedimento è contenuto nella epistola 11, del lib. III, indiz. XII. Si è preteso che riguardasse la elezione delle badesse, non la professione delle suore, e così anche pensa il Di Giovanni, op. cit., p. 154. Ma il testo di San Gregorio mi par sì preciso da non dar luogo alle pie sofisticherie dei comentatori.

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Per togliere ai lettori e a me stesso la molestia di troppe citazioni, non mi riferisco qui alla raccolta delle epistole di San Gregorio nella quale sono sparse quelle che toccano la Sicilia, ma piuttosto alla scelta di queste ultime che si trova presso il Di Giovanni, Codex Siciliæ Diplomaticus, numeri LX a CCLXVI. Vedi anche la Diss. III del medesimo Di Giovanni; Pirro, Sicilia Sacra, nelle notizie dei varii vescovadi dal 590 al 604; e Gaetani, Vitæ Sanctorum Siculorum, tom. I, p. 188 a 224.

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Pirro, op. cit., p. 35 a 38; Gaetani, op. cit., tom. II, p. 1 a 4; Anastasius Bibliothecarius, presso il Muratori R. I., tom. III, 142, 145, 147, 174.

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Sce'b si chiama il tronco, come sarebbe Adnân; la prima diramazione si dice Kabîla; la seconda, I'mâra; la terza, Bain; la quarta, Fekhid; la quinta, A'scîra; la sesta, Fasîla: imperfette denominazioni e spesso confuse. Più comunemente la tribù vien detta Kabîla. Ho seguíto in tal distinzione l'antica e pregevole opera di Ibn-Abd-Rabbih (Kitâb-el-Ikd, Ms., tom. II, fol. 43 recto), che cita l'autorità di Ibn-Kelbi.

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La Kufîa, Kefía o Keffieh, che si pronunzia in questi varii modi, è un fazzoletto quadro legato intorno al capo con doppii giri di una funicella di pelo, e scende al collo e alle spalle. Ordinariamente listato a verde e giallo, o tutto bianco. Il professore Dozy, Dictionnaire des noms des vêtements ec., p. 394, sostiene che la origine di questa voce sia italiana. Credo al contrario che gli Arabi l'abbian portato in Italia.

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Sâdât è plurale di plurale, come lo chiamano i grammatici arabi, della voce notissima Sâid, signore. Con questo titolo significativo chiamansi i senatori della Mecca di quel tempo nelle antiche tradizioni che raccolse Ibn-Zafer nel libro intitolato Nogiabâ-'l-Ebnâ ossia dei “fanciulli egregii.” Se ne parla a proposito di un aneddoto di Maometto fanciullo di dodici anni, entrato per caso nella sala del consiglio, mentre vi si trattava un alto affare. Vedi il MS. di Parigi, Suppl. arabe 486, fol. 48 verso, e Supp. arabe 487… La presente citazione si riferisca al solo titolo che non credo sia dato da altro autore. La istituzione e autorità del consiglio è nota.

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Ibn-el-Athîr,


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