Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I. Amari Michele

Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I - Amari Michele


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Storia, sezione 2ª, MS. di Parigi, Suppl. arabe, 742 quinquies, vol. II, fog. 180 verso.

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Ibid., fog. 181 recto.

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Gli annalisti musulmani son dubbii su queste date. Le pongo secondo i bizantini citati da Le Beau, Histoire du Bas-Empire, lib. LIX, § 35, 36.

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Presso Labbe, Sacrosancta Concilia, tom. VI, p. 63, 68, 69. Il papa si discolpava dell'accusa d'aver mandato lettere e danari ai Saraceni, allegando non aver fatto che qualche picciola limosina a servi di Dio andati nel paese che occupavano gli Infedeli: senza dubbio la Sicilia. Gli apponevano inoltre i magistrati bizantini il favore dato all'esarco Olimpio che praticava contro l'imperatore, come pare, quando, rappacificatosi col papa, passò in Sicilia.

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Tom. I, p. 532, sotto l'anno del mondo 6155, secondo il conto suo, che, ridotto all'era volgare, risponderebbe al 662. Il passo di Teofane, rettamente interpretato (e posso dirlo con certezza dopo averlo messo sotto gli occhi di M. Hase), è del tenor seguente: “Quest'anno fu occupata parte della Sicilia, e (i prigioni), a scelta loro, furon fatti stanziare in Damasco.” La inesatta versione latina del testo stampato ha portato alcuni compilatori moderni a sognare un volontario esilio di Siciliani a Damasco.

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Presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tom. III, p. 140; e Labbe, Sacrosancta Concilia, tom. VI, p. 3, che dà più corretto questo luogo del testo. Parlando d'Olimpio, Anastasio dice: Qui, facta pace cum sancta Dei Ecclesia, colligens exercitum, profectus est Siciliam adversus gentem Sarracenorum, qui ibidem habitabant. Et, peccato faciente, major interitus in exercitu romano pervenit, et post hoc idem exarchus morbo interiit. Secondo le correzioni del Pagi al Baronio (anno 649 e seguenti), la passata d'Olimpio in Sicilia si dee riferire al 652; la qual data è determinata con certezza dai noti casi di papa Martino, che succedettero dopo la morte d'Olimpio. Veggasi anche lo stesso Anastasio Bibliotecario, Historia Ecclesiastica, anno 22 di Costante.

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Beladori, MS. di Leyde, p. 275: “Dicono che abbia osteggiato la Sicilia Mo'âwia-ibn-Hodeig della tribù di Kinda, ai giorni di Mo'âwia-ibn-abi-Sofiân. Egli il primo portò la guerra in quest'isola; nè posò d'allora in poi l'infestagione, finchè gli Aghlabiti vi occuparono oltre una ventina di cittadi.”… “Narra il Wâkidi che Abd-Allah-ibn-Kaîs abbia fatto prigioni in Sicilia, e presovi simulacri d'oro e d'argento incoronati di gemme, i quali mandò a Mo'âwia (il califo) che inviolli a Bassora, a fine d'imbarcarli per l'India, e quivi farli vendere con avvantaggio.” Come ognun vede, il Beladori non confonde queste due scorrerie, che veramente furono distinte, ancorchè egli nol dica espresso. Aggiungasi che il Beladori scrive l'impresa di Sicilia immediatamente innanzi quella di Rodi, su la data della quale non v'ha dubbio. Il Wâkidi citato da lui è il cronista le cui opere son perdute, e il nome è stato usurpato dal compilatore moderno di cui feci menzione. Nel testo di Beladori si legge Khodeig in luogo di Hodeig, com'io l'ho corretto, seguendo Ibn-el-Athîr, MS. C., tom. II, fol. 171, seg. E così anco ha fatto sopra altre autorità il dotto editore del Baiân, alla p. 9.

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La più autorevole ancorchè più recente è il Baiân, p. 9 ed 11. Quivi si distinguono le due scorrerie di cui abbiam detto nella nota precedente; ma si attribuisce alla prima una circostanza peculiare della seconda, cioè gli idoli mandati a rivendere in India. Il Baiân pone la prima nel 34 (654-5) e la seconda nel 46 (666-7): date sbagliate l'una e l'altra per lo studio di connettere queste due imprese di Sicilia con quelle d'Affrica, con le quali non ebbero che fare. Sembra che altri compilatori abbiano confuso in una sola le due imprese per la medesima ragione, e perchè supposero che la espressione del Beladori “ai giorni di Mo'âwia-ibn-abi-Sofiân” significasse mentre Mo'âwia era califo (661-680), più tosto che nel tempo ch'ei governò la Siria (640-661). Cotesti compilatori sono il Bekri, citato da Ibn-Scebbât, MS., p. 7; il Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 1; e Ibn-abi-Dinâr, MS., fol. 10 verso, e traduzione, p. 41. Ibn-el-Athîr non fa menzione nè dell'una nè dell'altra impresa, talchè è da supporre qualche lacuna nel MS.

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Dopo i lavori dell'Hamaker e d'altri orientalisti, è nota la falsità del libro del conquisto di Siria attribuito a Wâkidi; sul quale Okley in gran parte compilò la sua storia de' Saraceni, e trasse nel proprio errore Gibbon e parecchi altri. Questo libro e quei dello stesso conio su i conquisti di Egitto etc., contengono insieme tradizioni genuine e fittizie, e son opere di uno o parecchi compilatori. Or tra i molti MSS. del falso Wâkidi che v'hanno nelle collezioni europee, se ne trova uno al British Museum (Bibl. Rich. 7361. Nº CCLXXXVII del catalogo stampato) che contiene lunghe appendici su i conquisti di Cipro, Rodi, Affrica, Sicilia ed Arado. Su queste appendici è da notare in primo luogo che le non sian date, come il rimanente del MS., a nome or del Wâkidi ed ora del rawî, ossia raccontatore, ma sempre di quest'ultimo. In secondo luogo si scopre in qual tempo scrisse il rawî; perchè parlando dell'Etna (fol. 118 recto) ei cita il racconto fattogli da uno sceikh siciliano per nome Abu-l-Kâsem-ibn-Hakem, che vivea a corte del califo di Bagdad. Per avventura il medesimo sceikh si vede citato da Abu-Hâmid-Mohammed-ibn-Abd-er-Rahîm-el-Mokri nella compilazione di geografia intitolata Tohfat-el-Albâb, della quale conosciam la data, cioè l'anno 557 dell'egira (1161): e sappiamo che l'autore si fosse trovato a Bagdad nel 1122 e nel 1160 (Reinaud, Géographie d'Abulfeda, tom. I, Introduction, p. CXII). Abu-Hâmid dice aver sentito di propria bocca di Abu-l-Kâsem a Bagdad le notizie ch'ei dà su l'Etna, le quali esattamente rispondono a quelle del falso-Wâkidi (Tohfat-el-albâb, MS. di Parigi, Ancien Fonds 586, fol. 66 recto, e Suppl. arabe, 861, 862, 863). Mi par dunque certo che il compilatore dell'appendice sia vivuto nel XII secolo, e ch'egli non abbia preteso punto di attribuir l'appendice a Wâkidi, nel qual caso non avrebbe citato il nome d'un contemporaneo, uomo assai noto. Oltre a ciò le idee e lo stile, sì dell'opera principale e sì delle appendici, tengon bene della esaltazione religiosa, della esasperazione di sentimenti nazionali, e fin della moda di romanzi cavallereschi deste in Oriente dalle Crociate. Trovo finalmente nella appendice su la Sicilia: “Il re dei Rum ha tenuto sua sede dai tempi più remoti infino a questi nostri giorni, in tre luoghi soli, cioè la Sicilia, Roma, e Costantinopoli” (fog. 119 verso); la quale asserzione s'adatta alle vicende dell'impero fino al soggiorno di Costante a Siracusa, e risponde anco più esattamente al duodecimo secolo, in cui i potentati delle provincie italiane e greche erano appunto quei tre: imperatore bizantino, re normanno di Sicilia, e re dei Romani.

Passando alla critica dei fatti, basta a percorrere le appendici per accorgersi di quel miscuglio di vero e di falso che si trova in tutte le opere dello pseudo-Wâkidi; ma è notevole che la sconfitta navale e la uccisione di Costante, e poi il conquisto dell'Affrica, siano raccontati con circostanze più vicine al vero, e in generale senza le novellette che Ibn-el-Athîr e altri rinomati scrittori accettarono come fatti storici. Che se parrebbe sospetta a prima vista la mancanza del nome di chi capitanò questa impresa di Sicilia, ciò può provare al contrario la diligenza del compilatore, poichè i ricordi antichi erano divisi su tal punto, e chi dava l'onore a Mo'âwia-ibn-Hodeig, chi ad Abd-Allah-ibn-Kais. Del rimanente sarà agevole, a creder mio, a scevrare le finzioni dai fatti che il compilatore tolse da autori antichi, forse dal genuino Wâkidi. Perciò non ho avuto scrupolo ad ammettere questi ultimi nella mia narrazione. E perchè il lettore possa rivedere il giudizio mio, gli porrò sotto gli occhi la somma della detta appendice che è questa:

I Musulmani, levata una taglia in Affrica e ritrattisi da quella provincia, volgon la mente al conquisto di Sicilia, una delle antiche sedi dei re romani, vasta isola e ferace. Mo'âwia ne scrive al califo Othman, che assente. Gli Affricani, risapendo questo, ne danno avviso in Sicilia. Il principe della quale isola s'adira del disegno, senza prestarvi molta fede. Scioglie dalla costiera (di Siria) l'armata musulmana, di trecento legni, e improvvisa piomba sull'isola, ove il principe dall'alto del suo palagio la vede venire adorna di bandiere e gonfaloni e piena di guerrieri bene armati. Il principe di Cesarea che s'era rifuggito in Sicilia, quando il cacciarono gli Arabi, consiglia a quel di Sicilia di comporre per danaro. Quei spregia l'avviso, dicendo aver tali forze da far testa agli Arabi in cento scontri e resister loro per un anno intero. Nondimeno, surta che fu all'áncora l'armata


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