Comando Primario: Le Origini di Luke Stone—Libro #2. Джек Марс
lui lo faceva anche, giusto per essere sicuro.
“Agente Stone, Agente Newsam. Sono il generale Richard Stark, dello stato maggiore congiunto.”
“Generale, è un onore conoscerla.”
Luke gli strinse la mano e poi toccò a Ed.
“Siamo molto orgogliosi di quello che avete fatto un mese fa. Siete entrambi un vanto per l’esercito degli Stati Uniti.”
C’era anche un altro uomo. I suoi capelli stavano iniziando a diradarsi ed era sulla quarantina. Aveva una grossa pancia rotonda e dita corte e tozze. Il completo non gli cadeva bene addosso, era troppo stretto sulle spalle e sul ventre. Aveva una visto emaciato e un naso bulboso. A Luke faceva pensare a Karl Malden in una pubblicità per la televisione contro le frodi con le carte di credito.
“Luke, io sono Ron Begley della Homeland Security.”
Strinsero le mani anche a lui, ma Ron non fece accenno all’operazione del mese prima.
“Ron. È un piacere conoscerla.”
Nessuno disse niente sul volto di Luke. Fu un sollievo, anche se lui era certo che dopo il briefing Don avrebbe avuto dei commenti da fare.
“Ragazzi, perché non vi sedete?” li invitò il generale, indicando il tavolo delle conferenze. Era gentile da parte sua, invitarli a sedere nel loro stesso quartier generale.
Luke ed Ed si accomodarono accanto a Don. In un angolo della stanza c’erano altri due uomini, entrambi in giacca e cravatta. Uno era calvo e portava un auricolare che spariva dentro la giacca, e tutti e due avevano uno sguardo impassibile. Nessuno parlava e non furono presentati. Il loro ruolo era chiaro.
Ron Begley chiuse la porta.
Era strano che non ci fosse nessun altro membro del Gruppo d’Intervento Speciale nella sala.
Il generale Stark guardò Don.
“Siamo pronti?”
L’uomo allargò le grandi mani, come un fiore che aprisse i suoi petali.
“Sì. Ci servivano solo loro. Faccia del suo peggio.”
Il generale guardò Ed e Luke.
“Signori, tutto quello che sto per dirvi sono informazioni riservate.”
* * *
“Cosa non ci stanno dicendo?” domandò Luke.
Don alzò la testa. La scrivania dietro cui sedeva era in quercia lucida, ampia e pulita. Sopra c’erano due fogli di carta, il telefono dell’ufficio e un vecchio portatile malconcio Toughbook che sul dorso aveva l’adesivo di una punta di lancia rossa e un pugnale, il logo del Comando Operazioni Speciali dell’esercito. Quello era il tipo d’uomo a cui non piaceva il disordine.
Sulla parete alle sue spalle erano incorniciate diverse fotografie. Luke ne notò una di quattro giovani Berretti Verdi a torso nudo in Vietnam. Don era il ragazzo sulla destra.
Il capo gli indicò le due sedie di fronte al tavolo.
“Siediti e mettiti comodo.”
Luke obbedì.
“Coma va la faccia?”
“Un po’ dolorante.”
“Che cosa hai fatto, hai provato a entrare in macchina senza aprire la porta?”
Luke scrollò le spalle con un sorriso. “Ho incontrato Kevin Murphy al funerale di Martinez questa mattina. Te lo ricordi?”
Don annuì. “Certo. Era un soldato decente per essere un Delta. Un po’ rancoroso, suppongo. E lui che faccia ha… dopo il vostro incontro?”
“L’ultima volta che l’ho visto era ancora a terra.”
Don annuì di nuovo. “Bene. Qual era il problema?”
“Io e lui siamo gli unici sopravvissuti di quella notte in Afghanistan. Non l’ha ancora superato. Crede che avrei potuto fare di più per evitare la missione.”
L’altro uomo fece spallucce. “Non stava a te deciderlo.”
“È quello che gli ho detto. E gli ho anche dato il mio biglietto da visita. Se mi chiama, vorrei che considerassi di assumerlo qui. Ha l’addestramento di un Delta, esperienza in combattimento, che io sappia ha fatto tre mandati in guerra, e non se la fa addosso quando le cose si fanno dure.”
“È stato congedato?”
Luke annuì. “Già.”
“Che sta facendo ora?”
“Rapine a mano armata. Sta eliminando vari signori della droga in diverse città.”
Don scrollò il capo. “Gesù, Luke.”
“Ti chiedo solo di dargli un’occasione.”
“Ne riparleremo,” replicò lui. “Quando e se chiamerà.”
Gli fece un cenno d’assenso con la testa. “Mi sembra giusto.”
Poi Don si avvicinò uno dei fogli che aveva sulla scrivania e si spinse un paio di occhiali da lettura dalla montatura nera sulla punta del naso. Luke ormai glielo aveva visto fare più di una volta e l’effetto era sempre scioccante: Superman Don Morris doveva mettere gli occhiali per leggere.
“Ora parliamo di questioni più urgenti. Le cose che non ci hanno detto al briefing sono le seguenti: questa missione ci è stata assegnata direttamente dallo Studio Ovale. Il presidente l’ha tolta dalle mani del Pentagono e della CIA perché è convinto che abbiano una talpa. Se i russi riescono a far parlare l’uomo della CIA che hanno rapito, non sappiamo che genere di informazioni potrebbe dargli ma comunque sarebbe una notevole seccatura. Dobbiamo muoverci rapidamente. E che rimanga tra noi, ma il presidente è furioso.”
“È per questo che dobbiamo cavarcela da soli?”
Don alzò un dito. “Abbiamo degli amici. Non sei mai del tutto da solo in questo lavoro.”
“Mark Swann può…”
Il capo si portò il dito alle labbra. Poi indicò il resto della stanza e sollevò le sopracciglia, scrollando le spalle. Il messaggio era: Non parliamo di quello che Mark Swann può fare. Non aveva senso condividere quell’informazione con chiunque fosse in ascolto.
Luke annuì e cambiò discorso senza batter ciglio “…può consentirci l’accesso a ogni genere di database. Lexis Nexis, quel tipo di cosa. È una belva con un motore di ricerca.”
“Già,” replicò l’altro. “Credo che abbia persino una sottoscrizione online al New York Times. Per lo meno, lui dice di averla.”
“Chi era il tizio dell’Homeland Security?”
Don fece spallucce. “Ron Begley? Un impiegatuccio. Prima dell’undici settembre lavorava per il dipartimento del Tesoro, si occupava di frodi e falsi. Quando hanno creato l’Homeland ha cambiato posizione. Sembra che poco alla volta stia facendo carriera. Ma non credo che rappresenti un problema per noi.”
Fissò l’uomo più giovane per un istante.
“Che ne pensi della missione?”
Luke non distolse lo sguardo. “Credo che sia una trappola mortale, a essere sincero. Dovremmo paracadutarci in Russia senza farci scoprire, salvare un sacco di tizi…”
“Tre uomini,” lo corresse Don. “Siamo autorizzati a ucciderli, se è più semplice.”
Lui non voleva neanche pensarci.
“Salvare un sacco di tizi,” ripeté, “far saltare un sommergibile e tornare a casa vivi? Non sarà facile.”
“Chi manderesti?” chiese il capo. “Se fossi al mio posto?”
Luke scrollò le spalle. “Tu cosa pensi?”