Comando Primario: Le Origini di Luke Stone—Libro #2. Джек Марс
gli sferrò un pugno in faccia.
Non ebbe un gran effetto e Luke reagì sbattendogli il cranio sul cemento.
L’ex commilitone cercò di spingerlo via.
Luke gli scaraventò di nuovo la testa a terra.
“FERMI!” gridò una voce profonda e roca.
La canna di una pistola si premette alla tempia di Luke. Lo colpì forte. Con la coda dell’occhio, vide due grandi mani nere strette attorno all’arma, e dietro un’uniforme blu.
Subito alzò le braccia per aria.
“Polizia,” si qualificò la voce, con un po’ più di calma.
“Signore, sono l’agente Luke Stone dell’FBI. Il mio distintivo è nella giacca laggiù.”
Apparvero altre uniformi blu. Lo circondarono, strappandolo da Murphy. Lo spinsero a terra e lo tennero a faccia in giù contro le pietre. Lui si accasciò il più possibile per non offrire alcuna resistenza. Diverse mani lo tastarono per perquisirlo.
Guardò Murphy. Stava subendo lo stesso trattamento.
Spero che tu non abbia un’arma, pensò.
Dopo un istante lo lasciarono alzare in piedi. Si guardò attorno. C’erano dieci agenti di polizia attorno a loro. Poco più in là si profilava una figura familiare. Big Ed Newsam, che li teneva d’occhio da una modesta distanza.
Un poliziotto gli tese la giacca, la fondina e il distintivo.
“Okay, agente Stone, che problema abbiamo qui?”
“Nessuno.”
L’agente indicò Murphy, che era seduto sulle lastre di pietra, con le braccia strette attorno alle ginocchia. Aveva ancora lo sguardo annebbiato, ma stava tornando in sé.
“Chi è quel tizio?”
Luke sospirò e scosse la testa. “È un mio amico. Un vecchio commilitone.” L’ombra di un sorriso gli apparve sulle labbra e si strofinò il volto. Ritirò la mano coperta di sangue. “Lo sa, a volte queste riunioni…”
La maggior parte dei poliziotti si stava allontanando.
Lui gettò un’occhiata all’altro uomo. Murphy non dava segno di volersi alzare. Allora Luke infilò una mano nella tasca della giacca per tirare fuori un biglietto da visita. Lo fissò per un secondo.
Luke Stone, agente speciale.
In un angolo c’era il logo del Gruppo d’Intervento Speciale. Sotto il suo nome c’era un numero di telefono con cui chiamare la segreteria del suo ufficio. C’era qualcosa di assurdamente soddisfacente in quel biglietto.
Lo lanciò verso Murphy.
“Ecco, idiota. Chiamami. Avevo intenzione di offrirti un lavoro.”
Gli girò le spalle e si avviò verso Ed Newsam. Il collega indossava una camicia con una cravatta scura e aveva un blazer appoggiato a una spalla. Era grosso quanto una montagna. I muscoli gli tendevano gli abiti. Aveva capelli e barba neri, e il suo volto era giovanile, senza una sola ruga sulla pelle.
Scosse la testa e sorrise. “Che stai facendo?”
Luke scrollò le spalle. “In realtà non lo so. E tu?”
“Mi hanno mandato per riportarti indietro,” rispose Ed. “Abbiamo una missione. Liberazione di ostaggi. Alta priorità.”
“Dove?”
Ed scosse la testa. “Riservato. Non lo sapremo fino al briefing. Ma ci vogliono pronti a muoverci non appena ci avranno ragguagliati.”
“Quando è il briefing?”
Ed si era già girato per scendere dalla collina.
“Adesso.”
CAPITOLO QUATTRO
12:20 p.m. Ora legale orientale
Quartier generale del Gruppo d’Intervento Speciale
McLean, Virginia
“Non preoccuparti, sei sempre carino.”
Luke era nel bagno dello spogliatoio dei dipendenti. Si era tolto la camicia e si stava lavando la faccia nel lavandino. Un profondo graffio gli attraversava la guancia sinistra. La sua mascella destra era arrossata e illividita, e stava iniziando a gonfiarsi. Murph aveva messo a segno un bel colpo.
Anche le sue nocche erano graffiate e doloranti. Le ferite erano aperte e sanguinavano ancora. Anche lui aveva messo a segno qualche pugno discreto.
Ed gli apparve alle spalle. Si era rimesso la giacca e sembrava un professionista navigato ed elegante. Luke avrebbe dovuto essere il suo superiore, ma non poteva neanche reindossare la sua giacca dato che si era sporcata cadendo a terra.
“Andiamo, amico,” gli disse. “Siamo già in ritardo.”
“Sembrerò un pezzente.”
Ed fece spallucce. “La prossima volta fai come me. Tieni un completo in più qui nello spogliatoio, e già che ci sei anche degli abiti casuali. Sono sorpreso di doverti insegnare io queste cose.”
Luke si era rimesso la maglietta e cominciò ad abbottonarsi la camicia. “Come no, ma per ora come faccio?”
Il collega scosse la testa, ma stava sogghignando. “Tanto è quello che la gente si aspetta da te. Digli che hai fatto un incontro di tae kwon do nel parcheggio durante la pausa caffè.”
I due uomini uscirono dallo spogliatoio e salirono una scalinata di cemento diretti verso il primo piano. La sala conferenze, che Mark Swann aveva voluto quanto più all’avanguardia possibile, era in fondo a un corridoio stretto. Don aveva l’abitudine di definirla il Centro di Comando, anche se secondo Luke era un po’ un’esagerazione. Un giorno, magari.
Gli si riempì lo stomaco di farfalle. Quegli incontri erano una novità per lui, e ancora non ci aveva fatto l’abitudine. Don gli aveva detto che con il tempo sarebbero diventati più facili.
Nell’esercito i briefing erano semplici. Funzionavano così:
Ecco l’obiettivo. Ecco il piano di attacco. Domande? Suggerimenti? Okay, prendete l’equipaggiamento.
Nel Gruppo di Intervento Speciale non andavano mai in quella maniera.
La porta della sala conferenza era davanti a loro. Era aperta. La sala era uno spazio piuttosto piccolo, e bastavano una ventina di persone per farlo sembrare un vagone del metrò affollato all’ora di punta. Quelle riunioni gli facevano venire i brividi. Non si faceva altro che discutere e rimandare l’azione. E la calca di gente lo rendeva claustrofobico.
Invariabilmente partecipavano i pezzi grossi di diverse agenzie, e i relativi assistenti non gli erano mai troppo lontani. I primi insistevano perché si facesse tutto a modo loro mentre i secondi scrivevano sui loro cellulari BlackBerry, prendevano appunti su blocchetti gialli e facevano telefonate urgenti. Che razza di persone erano?
Luke oltrepassò l’uscio, seguito da Ed. Le luci fluorescenti sopra di loro erano accecanti da quanto brillavano.
Non c’era nessuno nella sala. Beh, non proprio nessuno, ma neanche così tante persone quanto aveva pensato. Erano in cinque, per essere precisi. Sette contando anche lui e Big Ed.
“Ecco gli uomini che stavamo aspettando tutti,” li annunciò Don Morris. Non stava sorridendo. A Don non piaceva aspettare. Aveva un aspetto formidabile in camicia a pantaloni eleganti. Il suo linguaggio del corpo era rilassato ma il suo sguardo era severo.
Uno sconosciuto avanzò verso Luke. Era un generale a quattro stelle alto e magro, abbigliato in un’uniforme impeccabile. Portava i capelli grigi tagliati molto corti. Non c’era un filo di barba sul volto ben rasato, perché i peli sapevano