I cinque del salotto. Фиона Грейс
questa si chiama ispirazione,” le disse Lacey.
“Quanto viene?” chiese Suzy allegramente.
Lacey esitò. Non era sua intenzione vendere il regalo di Xavier. Lo aveva mostrato solo perché diventasse un trampolino di lancio creativo.
“Non è in vendita,” spiegò.
Il labbro inferiore di Suzy si bloccò, leggermente abbassato, per la delusione.
Poi Lacey ricordò le accuse di Gina riguardo a Xavier. Gina pensava che il fucile fosse troppo, e allora cos’avrebbe pensato Tom quando l’avesse visto? Forse la cosa migliore da fare era davvero di venderlo a Suzy.
“… Però…” aggiunse, decidendo all’istante. “Sto aspettando dei documenti.”
Il volto di Suzy si illuminò. “Quindi posso prenotarlo?”
“Certo che sì,” disse Lacey, ritornandole il sorriso.
“E tu?” chiese Suzy con un risolino. “Posso prenotare anche te? Come designer d’interni? Per favore!”
Lacey era titubante. Non si occupava più di design d’interni. Aveva abbandonato quella parte di sé a New York con Saskia. La sua concentrazione era sul comprare e vendere antiquariato, imparare come gestire le aste e costruirsi una sua attività. Non aveva tempo di lavorare per Suzy e allo stesso tempo portare avanti il suo negozio. Certo, poteva affidarlo a Gina, ma con l’aumento dei turisti, lasciarla a gestire il negozio da sola le sembrava una cosa poco saggia.
“Non ne sono sicura,” rispose. “Ho un sacco di cose da fare qui.”
Suzy le posò una mano sul braccio in segno di scusa. “Certo. Capisco. Che ne dici di passare solo di là e dare un’occhiata al posto domani? Vedere se magari ti va di seguire il progetto, dopo aver visto meglio di cosa si tratta?” Lacey si trovò ad annuire. Dopo tutto quello che era successo con Brooke, aveva pensato che sarebbe stata più sospettosa nell’avvicinarsi ad altre persone. Ma forse dopotutto era riuscita finalmente a guarire da tutta quell’odissea. Suzy aveva una di quelle personalità contagiose che con facilità ti risucchiavano con loro. Sarebbe diventata una donna d’affari eccellente.
Forse Carol faceva bene a preoccuparsi.
“Immagino non ci sia niente di male nel dare un’occhiata, giusto?” disse Lacey.
A quest’ora la settimana dopo, Lacey avrebbe ripensato a questo momento in retrospettiva, definendolo con un classico idioma: le ultime parole famose.
CAPITOLO TRE
Lacey guidava sul lungomare nella sua Volvo color champagne, i finestrini abbassati, riscaldata da un delicato sole di mezzogiorno. Era diretta verso la ex casa di riposo che presto sarebbe diventata un B&B nuovo di zecca, e portava sul sedile del passeggero una sorpresa per Suzy. Non Chester: il fido compagno stava pisolando soddisfatto, anche lui baciato dal sole, e poi Lacey era piuttosto certa che Suzy avesse paura dei cani. No, le stava portando il fucile a pietra focaia.
Lacey non era sicura di fare la cosa giusta separandosi da quell’oggetto. Quando lo aveva tenuto in mano, le era sembrato che le appartenesse, come se l’universo le stesse dicendo che se ne doveva prendere cura. Ma Gina le aveva piantato questa pulce nell’orecchio su Xavier e le sue intenzioni e lei non riusciva a vedere con chiarezza attraverso le nubi.
“Mi sa che ora è troppo tardi,” disse Lacey con un sorriso. Aveva già promesso di venderlo a Suzy, e sarebbe sembrato molto poco professionale da parte sua rimangiarsi la parola sulla vendita ora, e per di più con la mera giustificazione di una strana sensazione!
In quel momento Lacey passò davanti alla vecchia caffetteria di Brooke. Era tutto sprangato. La ristrutturazione che aveva fatto, trasformando il vecchio capanno per canoe in un locale chic, era andata del tutto in malora.
Il pensiero di Brooke innervosì Lacey, ed era assolutamente l’ultima cosa che aveva bisogno di aggiungere all’inquietudine che già provava al pensiero di separarsi dal fucile.
Premette più a fondo il pedale dell’acceleratore, sfilando via più velocemente, nella speranza di lasciarsi alle spalle quelle orribili sensazioni.
Presto raggiunse la parte orientale della città, l’area meno popolata e priva dei negozi e locali che si diramavano da nord a sud nella zona occidentale e nel centro. Questa era l’area che – secondo Carol – il sindaco Fletcher avrebbe modificato in peggio.
Lacey si accorse della svolta che portava alla ex Casa di Riposo Sunrise, e girò quindi a sinistra. La strada sconnessa piegava leggermente in salita ed era fiancheggiata da faggi così alti da formare una galleria che schermava il sole.
“Per niente minaccioso…” disse Lacey con sarcasmo. “Neanche un po’.”
Per fortuna gli alberi presto si diradarono e la luce del giorno rifece capolino.
Lacey scorse per la prima volta l’edificio arroccato sul versante della collina. La sua mente da designer d’interni si accese subito mettendosi a valutare l’aspetto esterno. Era una struttura piuttosto moderna, a tre piani, in mattoni rossi. Ipotizzò potesse risalire agli anni Trenta e che fosse stata rimodernata negli anni. Il vialetto di accesso e la zona del parcheggio erano in cemento grigio, funzionale ma inguardabile. Le finestre avevano spesse cornici in plastica bianca, buone per tenere a bada i ladri, ma un terribile pugno in un occhio dal punto di vista estetico. Ci sarebbero voluti dei decisi colpi di mano strategici per far assomigliare la facciata a un padiglione di caccia vittoriano.
Bene: questo era il problema che Lacey avrebbe dovuto risolvere. Non aveva ancora preso nessuna decisione riguardo all’offerta di Suzy. Voleva parlarne con Tom per chiedergli consiglio, ma aveva lavorato fino a tardi per completare un ordine dell’ultimo minuto di cupcake con glassa arcobaleno per lo spettacolo estivo annuale del gruppo giovani locale.
Aveva anche mandato un messaggio nel gruppo che condivideva con sua madre e la sua sorella più giovane, e aveva ricevuto in risposta un Non lavorare troppo dalla prima, e un Se ti paga bene, vai dall’altra.
Lacey parcheggiò l’auto, quindi si diresse verso i gradini che fiancheggiavano l’antiestetica rampa per le sedie a rotelle. L’accesso disabili – e probabilmente anche le misure interne – sarebbero stati un grosso vantaggio da sfruttare. Né il B&B di Carol né la Coach House Inn erano adatti per ospiti con disabilità e non erano dotati di accesso esterno dalla strada in ciottoli. Per di più disponevano di scale interne strette e non erano dotati di ascensore.
In cima ai gradini, Lacey raggiunse un’ampia veranda in vetro in stile serra. Era così anni Novanta che le fece venire in mente a un centro ricreativo.
Le porte si aprirono e lei entrò. Qui i suoi occhi vennero assaliti da un’enorme distesa di linoleum, severe file di luci sul soffitto e delle pacchiane tendine da sala d’aspetto alle finestre. Nell’angolo si trovava un distributore di acqua fresca che emetteva un costante glu glu glu, accanto a una schiera di distributori automatici.
Quindi Suzy sapeva quanto lavoro ci fosse da fare.
“Lacey! Ciao!” le disse la ragazza con voce cinguettante.
Lacey si guardò attorno e la vide saltare fuori da dietro un bancone: un enorme mostruosità in finto legno che sembrava essere stata creata con lo stesso materiale dell’edificio.
“Stavo controllando la situazione delle prese qui,” spiegò Suzy. “Greg, l’organizzatore di eventi, deve sapere quanti punti disponibili ci siano per l’elettricità. È un vero drago, sul serio. Se avessi più tempo, assumerei qualcun altro. Ma chi mendica non può scegliere. Quindi vada per lo scorbutico Greg.” Sorrise.
“Per cosa ti serve un organizzatore di eventi?” le chiese Lacey.
“Per la festa di inaugurazione, ovviamente,” le rispose Suzy.
Prima che Lacey avesse la possibilità di chiederle altro, la ragazza le si avvicinò e l’abbracciò. Il gesto la colse di sorpresa, ma nonostante il fatto che si conoscevano a malapena, Lacey lo trovò tutto sommato piuttosto naturale. Era come se la giovane fosse un’amica