Un’esca per Zero. Джек Марс
Noi agenti siamo i più facili da far sparire. Potrebbero dire che è stato mandato da qualche parte e che non è più tornato…"
"Sono supposizioni", gli disse Alan. "E se qualcuno ci sta guardando, inizierà ad insospettirsi”.
"Sì", mormorò. I loro incontri in auto non avrebbero dovuto essere troppo lunghi, per non destare sospetti nel caso qualcuno li stesse spiando. "Hai ragione".
Alan fece per spegnere il motore, ma Zero non si mosse ancora.
Che cosa succede?
Gli tornarono in mente le parole di Bixby, la settimana precedente a Saskatchewan.
"Dopo averlo installato, mentre usciva dall'anestesia, il neurochirurgo l'ha chiamato Connor. Lo ricordo perfettamente. Gli disse, "sai chi sei, Connor?"
"Aspetta!" Zero allungò in fretta la mano e impedì ad Alan di spegnere il motore. "Ci sono! Non riesco a crederci di non averci pensato prima. Il neurochirurgo l'ha chiamato Connor!"
"Eh?"
"Questo è quello che mi ha detto Bixby", spiegò rapidamente. “Sono stato così fissato nel trovare questo Connor che non ho nemmeno pensato di provare a cercare il neurochirurgo! Quanti ce ne potranno essere nei registri della CIA degli ultimi cinque anni? Molti meno di questi, scommetto!" Disse scuotendo il raccoglitore. Potevano restringere il campo ora anziché sondare centinaia di possibilità, anche se Zero non ne era proprio sicuro. Qualche dozzina, forse meno?
Alan sospirò. "Va bene. Ora vorrai che io esegua…”
"Voglio che tu esegua un'altra ricerca, sì".
"Sai che quel raccoglitore mi è costato cinquemila dollari?"
"Ti offro da bere". Alan sorrise, ma tornò subito serio. "Ti prego".
"Sai che farei qualsiasi cosa per te, amico". Alan spense il motore; questa volta non c'era un "ma" nella sua affermazione. Era un semplice fatto e Zero lo sapeva. Alan gli aveva salvato la vita più di una volta, e anche alle sue figlie. Aveva fatto di tutto per togliere Zero dai guai quando era stato necessario. Alan si era persino finto morto, aveva rinunciato alla sua vita per alcuni anni ed era fuggito, tutto per il bene di Zero.
E ancora peggio, era vero anche il contrario. Anche lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per Alam, ma Alan non gli aveva mai chiesto nulla. Almeno niente di così significativo come ciò che lui aveva fatto e avrebbe fatto ancora per Zero. Il motore si spense, ma il silenzio che invase la cabina della Skylark era ugualmente rumoroso.
"Grazie", disse Zero a bassa voce. "Sai che non andrei molto lontano se non fosse per te".
"Saresti morto se non fosse per me". Alan sorrise, anche se era la verità. "Quindi troviamo il neurochirurgo…"
"E vediamo tutto quello che sa…"
"Troviamo l'agente…"
"E speriamo che non sia morto", concluse Zero.
"Pezzo di merda", ridacchiò Alan, ma si scurì subito. "Dobbiamo trovare quel ragazzo. Ma mi devi due drink".
Il Centro della comunità odorava di scaglie di cedro per qualche motivo. Ogni stanza, persino le sale, puzzavano di gabbia per criceti. Sara pensò che probabilmente quell'odore veniva dal parco giochi all'esterno, ma era febbraio, Cristo. Le finestre erano chiuse e il parco ghiacciato. Perché persisteva quell'odore di scaglie di cedro?
Cercò di non pensarci muovendo il pennello in tocchi delicati. In classe erano in quattordici, di tutte le età, il più anziano era un uomo calvo sulla sessantina. Erano tutti seduti su sgabelli davanti ai loro cavalletti centro della stanza era stata posizionata una cesta di frutta su un piedistallo. Natura morta, la chiamavano.
A Sara veniva da ridere. Natura morta. Fino a due settimane prima sarebbe stata una metafora che rappresentava bene i suoi sentimenti.
L'insegnante d'arte era una donna dall'aspetto fragile, stile bohémien, di nome Guest, che indossava un caftano, un paio di occhiali da gufo e aveva una criniera di capelli biondi crespi. Girava lentamente intorno al cerchio di studenti, facendo una pausa ogni tanto per mormorare parole di incoraggiamento come "sì, bene" o "prospettiva eccellente, Mark".
Sara sentì la schiena irrigidirsi, sulla difensiva, quando l'insegnante si fermò dietro al cavalletto.
"Oh", le sospirò la signora Guest all'orecchio. "Che immagine, Sara. Non ci sono risposte sbagliate, ma ti prego dimmi, che cosa ti ha spinto a dipingere la banana di color rosa?”
Il suo primo istinto fu quello di crear confusione nella mente di quella donna, di guardarla dritta negli occhi e dirle, che intende dire? Non sono rosa le banane? Io le vedo così. Invece si morse la lingua e prese in considerazione di formulare una risposta che un'insegnante d'arte di una comunità potesse trovare profonda.
"Perché", disse Sara con un colpo drammatico del suo pennello, "tutte quelle degli altri sono gialle".
La signora Guest si mise una mano sul cuore. "Mia cara, sei destinata a fare grandi cose".
Sara trattenne un sospiro mentre l'insegnante proseguiva oltre. Forse il corso d'arte era stato un errore. Ma non aveva disegnato o dipinto nulla da un bel po' di tempo, e anche se detestava la terapeuta della riabilitazione, tuttavia aveva avuto il merito di suggerire a Sara di sviluppare una passione, qualcosa da amare e in cui dedicarsi durante i momenti bui. Poteva trattarsi della pittura.
C'erano ancora tempi bui. I momenti peggiori della sua dipendenza erano ormai alle spalle e anche le crisi erano più leggere ora. Non aveva più toccato una pasticca dal giorno del Ringraziamento. Ma temeva ancora l'oscurità che aveva dentro, la possibilità troppo concreta che i suoi demoni potessero tornare indietro in qualsiasi momento. Temeva che un giorno qui demoni avrebbero potuto prenderla completamente di sorpresa e sopraffarla, trascinarla in un baratro nero dal quale non sarebbe stata in grado di fuggire.
Ancora una volta si mise quasi a ridere di sé stessa. Sei un'anima troppo dilaniata. Se Maya fosse con lei le suggerirebbe un po' di autoironia per venirne fuori.
Ma Maya non era lì e allora Sara dipinse della frutta di cera di color rosa. La sera studiava per il suo diploma. Generalmente non sarebbe stata molto ispirata a farlo ma, e non sapeva ammetterlo apertamente, vedere il cambio di comportamento di suo padre le aveva dato una nuova carica. Nonostante lo prendesse in giro, apprezzava il cambiamento.
Era comunque molto strano. Di solito la gente non cambia così. C'era sempre una ragione, un catalizzatore. Il suo era quello di riprendersi dalla tossicodipendenza. Mentre suo padre nascondeva le vere motivazioni, ne era sicura. Ma aveva i suoi problemi, e anche Maya, quindi nessuna delle due indagò oltre.
"Temo che non abbiamo più tempo oggi", disse la signora Guest. "Devo iniziare il mio corso di ceramica. Potete lasciare qui i quadri ad asciugare, ma vi prego di pulire i pennelli prima di andare via. Grazie!"
Sara sospirò. Aveva appena dipinto di arancione la mela e stava considerando di trasformarla in una zucca, ma avrebbe dovuto attendere. Pulì diligentemente la sua postazione, sollevò lo zaino su una spalla e si diresse lungo il corridoio dall'odore di cedro.
Se la prese con calma trascinando i piedi, non aveva fretta di tornare a casa in bici con il freddo che faceva. Maya si era offerta di venire a prenderla, ma Sara non voleva dipendere da nessuno. Inoltre, l'aria gelida che le sferzava il viso la teneva vigile.
Sbirciò in varie stanze della comunità mentre si trascinava lungo il corridoio verso l'uscita. C'era una specie di lezione di ginnastica per bambini, un mucchio di ragazzacci che rotolavano sulle stuoie e cercavano di farsi degli esercizi. Passò davanti al corso di ceramica, al laboratorio informatico…
La porta alla sua sinistra era socchiusa di qualche centimetro, non abbastanza per farle vedere dentro. Ma mentre la superava, carpì un frammento di conversazione all'interno della stanza.
"Mi ero ripromessa di non tornare mai più all'eroina".
Sara si bloccò, letteralmente, con un piede a mezz'aria, allungando il collo verso la porta.
"Ma come puoi immaginare", disse una donna cupamente dall'interno, "la mia dipendenza la pensava