L’alibi Perfetto. Блейк Пирс

L’alibi Perfetto - Блейк Пирс


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un’attività che gestiva da casa e una era una madre casalinga. Nessuna di loro aveva la fedina penale sporca.

      Avrebbe voluto avere qualcosa di positivo da condividere con Morgan Remar quando l’avesse incontrata l’indomani mattina. Ma adesso non c’era molto da cui partire. Sperava che magari Morgan le dicesse qualcosa che poi potesse collimare con ciò che aveva sentito oggi da Brenda Ferguson.

      Era dibattuta se dire ad Hannah che era ora di andare a letto, quando il suo telefono suonò. Era Ryan.

      “Ti manco?” gli disse.

      “Sempre,” le rispose lui. “Ma non è per questo che ti chiamo. Mi hanno appena assegnato un caso. Decker vuole che stai con me. Ci sto andando adesso. Posso passare a prenderti strada facendo? Sarei lì tra quindici minuti.”

      “Certo,” gli rispose, mentre iniziava a mettere via le cartelle delle donne. “Che caso è?”

      “Non so ancora molto. Solo che l’uomo ha trovato la moglie morta in cucina meno di un’ora fa. Vivono a West Adams. Aveva meno di trent’anni, pugnalata diverse volte alla schiena e morta dissanguata.”

      “Ok,” disse Jessie. “Ti aspetto davanti fra quindici minuti. Così ho il tempo che mi serve per implorare Hannah di andare a letto.”

      “Buona fortuna.”

      “Grazie. Sta guardando una trasmissione di cucina, quindi ne avrò bisogno.”

*

      Parcheggiarono davanti alla casa a mezzanotte e 35. L’area attorno alla villa era già delimitata e circondata da quattro auto della polizia, un’ambulanza e un furgoncino del medico legale.

      Jessie e Ryan smontarono a mezzo isolato di distanza e passarono accanto a diversi palazzi centenari prima di raggiungere la scena del crimine. Anche questa casa era grande e impressionante, ma più fatiscente delle altre. Una tela cerata e una catasta di legna nel cortile antistante suggerivano che i proprietari stessero tentando di porvi rimedio.

      Ryan mostrò il suo badge e un agente sollevò il nastro di delimitazione in modo che loro potessero infilarvisi sotto e dirigersi alla porta d’ingresso. L’agente Pete Clark andò loro incontro: era un veterano con ispidi capelli grigi e due braccia da He-Man. Conosciuto nel dipartimento per il suo atteggiamento severo, non smentì le aspettative.

      “Come va, Pete?” chiese Ryan quando lo incontrarono sulla soglia.

      “I Dodgers stavano per battere alla fine del tredicesimo inning quando mi hanno chiamato, quindi potrebbe andare meglio. Questa cosa mi ha fondamentalmente rovinato la serata.”

      “Mi spiace che questo fastidioso omicidio si sia messo in mezzo tra te e la tua partita di baseball,” rispose Ryan con finto tono di solidarietà. “Ti spiacerebbe aggiornarci su quello che è successo?”

      “Certo,” rispose Clark, chiaramente non offeso dalla battuta di Ryan, e passando subito in modalità professionale. “Seguitemi.”

      Prima di entrare in casa, Jessie si prese un momento per mettere insieme i suoi pensieri. Tutto ciò che stava per vedere era un potenziale indizio della disposizione mentale dell’assassino. Si levò dalla mente tutti i preoccupanti pensieri della sorellastra e delle donne rapite ed entrò. Mentre Clark li conduceva lungo il corridoio, camminando pesantemente sull’irregolare e scricchiolante pavimento di legno, illustrò loro la situazione.

      “La vittima è una donna di ventinove anni, sposata, niente figli. Suo marito era appena andato a prenderla all’aeroporto di Los Angeles dopo una conferenza fuori città a cui aveva partecipato. Lui è andato a farsi una doccia mentre lei si preparava qualcosa da mangiare. Quando è uscito, l’ha trovata morta sul pavimento della cucina. È stata pugnalata undici volte alla base della schiena. Il cibo era ancora sul ripiano della cucina, come anche un piccolo coltello ricoperto di sangue. Lei aveva in mano un coltello da macellaio, ma non pare abbia avuto modo di usarlo.”

      Arrivarono alla cucina, dove un altro agente porse loro dei copri-scarpe da infilarsi. Jessie vide la vittima distesa a faccia in giù sul pavimento dall’altra parte del bancone. La sua testa era rivolta dalla parte opposta rispetto a loro, in direzione della porta. La gamba sinistra era ingessata e la fasciatura era macchiata da schizzi di sangue.

      “Abbiamo trovato delle impronte di scarpone sul pavimento che conducono al vialetto,” aggiunse Clark. “Il marito dice che loro non portano mai scarpe in casa, quindi le stiamo facendo testare. Ancora nessun risultato. Il team della scena del crimine dice anche che il manico del coltello da cucina è stato ripulito, quindi non sono ottimisti sulla possibilità di trovarvi qualcosa.”

      “Chi è la vittima?” chiese Ryan.

      “La cosa folle è questa,” rispose Clark. “Era una delle donne rapite che era recentemente fuggita. Si chiamava Morgan Remar.”

      Jessie allungò involontariamente una mano aggrappandosi alla cornice della porta per sostenersi. Ryan si voltò a guardarla, scioccato quanto lei.

      “Ne sei sicuro?” chiese a Clark.

      “Sì. Suo marito ci stava raccontando di come finalmente si sentisse abbastanza a suo agio da tornare al lavoro domani per la prima volta da quando è accaduto il fatto. È davvero un peccato.”

      Quando fu certa di potersi tenere in piedi da sé, Jessie fece il giro dell’isola della cucina, portandosi davanti alla vittima per poterla vedere bene in faccia. Anche con il volto azzurrognolo e gli occhi castani vuoti e lucidi, Jessie la riconobbe dalle foto della cartella, anche se i capelli castano chiaro, che in ospedale le erano stati tagliati, ora erano molto più corti. Eppure era la donna che avrebbe dovuto incontrare domani.

      “Segni di furto?” chiese sommessamente, sorpresa di sentire la propria voce. “Non è stato preso niente? Oggetti di valore? La sua borsa?”

      “Per ora niente,” disse Clark.

      “Dov’è il marito?” chiese Ryan.

      “È in camera sua. Era piuttosto distrutto, mi è sembrato decisamente sotto shock. I medici vogliono portarlo in ospedale, ma lui non vuole andare fino a che non porteranno via il corpo della moglie. Dice che non può lasciarla qui.”

      “Sappiamo se abbia precedenti?” chiese Ryan.

      “Non ne ha,” rispose Jessie. “È stato arrestato durante una rissa al bar vicino al campus quando studiava all’UCLA. Ma le accuse poi sono state fatte cadere.”

      “Come fai a saperlo, Hunt?” chiese Clark stupito.

      “Stavo fornendo la mia consulenza sul caso delle donne rapite per un’investigatrice privata mia amica,” spiegò. “A dire il vero ho letto la cartella di Morgan proprio stasera. So tutto della formazione scolastica dei Remar, di come si sono conosciuti, quando si sono sposati, da quanto hanno gli attuali posti di lavoro. Sapevo addirittura che vivevano a West Adams. Solo che non avevo fatto il collegamento.”

      “Perché avresti dovuto?” le chiese Ryan. “Voglio dire, che possibilità c’erano che fosse la stessa vittima?”

      “Questa è la domanda che dovremmo seguire,” mormorò Jessie, parlando quasi a se stessa.

      “Cosa stai dicendo?” chiese Clark scettico. “Che lo stesso tipo che l’ha rapita è tornato a finire il lavoro? Da quello che ho visto non sembra essere il suo modus operandi.”

      “Hai ragione,” ammise Jessie. “Non lo è. Potrebbe essere una terribile e sfortunata coincidenza.”

      “Oppure,” aggiunse Ryan, “potrebbe essere che il signor Remar abbia deciso di approfittare della situazione per sbarazzarsi della moglie. Con il suo rapimento, aveva tutto dalla sua parte per poter depistare i sospetti. Dovremmo parlare con lui prima che passi troppo tempo.”

      “Fai pure,” disse Clark. “Il corpo non verrà rimosso prima di venti minuti almeno. Dato che non ha intenzione di andare da nessuna parte prima che ciò avvenga, avete un’opportunità perfetta.”

      Li condusse verso la camera matrimoniale, dove Ari Remar sedeva sul suo letto, piegato in avanti con la testa tra le mani. Aveva un inizio di calvizie e aveva deciso di non nasconderla,


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