L’alibi Perfetto. Блейк Пирс

L’alibi Perfetto - Блейк Пирс


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prigioniere le sue vittime?”

      “Sì,” disse Sands, senza offrire ulteriori commenti.

      “Posso supporre dalla sua significativa pausa che anche lei è scettico quanto me riguardo a fatto che nessuna di queste donne sia ‘fuggita’ da sola?”

      “Sì,” disse Sands. “Anche se non tutti sono d’accordo con me, io ho la forte sensazione che quest’uomo – e sappiamo che è un uomo – ha permesso alle sue vittime di scappare.”

      “Cosa la rende così sicuro?” chiese Jessie.

      “A parte quello che ha notato lei – la forte improbabilità che lo stesso uomo che ha catturato tutte queste donne senza farsi beccare sia tanto incauto nel tenerle rinchiuse – c’è dell’altro.”

      “Di cosa si tratta?”

      “Abbiamo trovato i posti dove teneva ciascuna donna. In ogni caso, non c’era la minima traccia di DNA utilizzabile. Niente impronte. Nessuna prova incriminante di alcun genere. È una cosa difficile da ottenere in altre circostanze, come lei ben sa. Ma quasi impossibile se pensiamo che debba essere tornato dopo la fuga di ogni donna, per poi pulire frettolosamente.”

      “Ma non se è stato proprio lui a lasciarle andare,” disse Jessie.

      “Corretto,” confermò Sands. “Se ha scelto di lasciarle andare quando ha voluto lui, questo gli avrebbe concesso il tempo per ripulire dopo la loro fuga. Penso sia stato attento fin dal momento in cui le portava nel luogo designato, sapendo che poi il posto sarebbe stato trovato e scrupolosamente setacciato.”

      “Perché fare una cosa del genere?” chiese Jessie. “Perché rischiare di lasciarle andare se poi loro potevano essere benissimo in grado di identificarlo?”

      “Non dimentichi che erano tutte bendate.”

      “Ma non lo erano di certo quando lui le ha prese.”

      “No,” le concesse lui. “Ma le tre prime vittime sono tutte certe che lui indossasse una sorta di elaborato travestimento.”

      “Però potrebbero comunque fare una stima di altezza e peso, di etnia. Potrebbero essere in grado di identificare la sua voce.”

      “Tutto vero,” disse Sands.

      “Ho l’impressione che qui ci sia sotto molto di più rispetto a quello che vediamo,” disse Jessie pensierosa.

      “Anch’io,” confermò Sands. “Purtroppo non ho idea di cosa sia.”

      CAPITOLO SEI

      Jessie si era messa in una posizione rischiosa.

      Solo perché non aveva dei casi attivi al momento non significava che il capitano Decker sarebbe stato felice di saperla diretta a Brentwood per ficcare il naso in un caso con il quale non aveva niente a che fare. Eppure era proprio quello che lei stava facendo.

      Caroline Gidley, la vittima scoperta la notte precedente, era ancora priva di conoscenza e non era nella posizione di poter parlare. Il detective Sands l’aveva avvisata che Jayne Castillo, la terza vittima, non aveva voglia di essere interrogata. E dato che la cliente di Kat, Morgan Remar, era fuori città, le restava solo una persona con cui scambiare due parole.

      Quando aveva chiesto a Sands se tentare di parlare con la prima vittima – Brenda Ferguson – sarebbe stato un errore, lui le aveva detto che i detective della stazione West L.A. che gestivano i casi sviluppati a Brentwood non sarebbero stati contenti. Ma non le aveva neanche richiesto esplicitamente di non farlo. Anche nella poca esperienza che aveva di lui, Jessie aveva la sensazione che quello fosse il suo modo per dirle di procedere.

      Ryan aveva generosamente accettato di farle da copertura alla centrale per tenere la sua assenza alla larga dal radar del capitano Decker. Proprio mentre parcheggiava alla casa dei Ferguson, Jessie lo chiamò per controllare.

      “Come vanno le cose lì?” gli chiese.

      “Decker è così immerso nelle conseguenze del raid della squadra del buon costume, che non ha neanche notato che non ci sei.”

      “Non so sentirmi sollevata o insultata,” rispose Jessie.

      “Se ti può essere di consolazione, io sento la tua mancanza,” le disse lui.

      Armata di quella sicurezza, uscì dall’auto e si diresse verso la casa. Non aveva chiamato per annunciarsi, per paura che i Ferguson chiedessero spiegazioni ai detective assegnati al caso. E poi aveva scoperto che si ottenevano informazioni più utili quando si prendevano i testimoni, i sospettati o addirittura le vittime di sorpresa. In questo modo non avevano tempo per organizzare i loro pensieri e modificare eventuali dettagli utili.

      La casa era impressionante, anche se ben lungi dall’essere appariscente come alcune altre lungo quella via alberata. Era un edificio in stile spagnolo a due piani che si estendeva su un’ampia porzione del lotto di terreno. Il prato che si apriva sul davanti della residenza avrebbe potuto benissimo ospitare un’altra abitazione. Jessie bussò alla porta e dovette aspettare sessanta secondo buoni prima che un uomo sulla trentina venisse ad aprire, guardandola sospettoso.

      “Posso aiutarla?” le chiese, mostrandosi allerta.

      “Lo spero. Immagino lei sia il marito della signora Ferguson.”

      Sì. Sono Ty.”

      “Salve, Ty,” disse Jessie con il suo tono più accomodante e accogliente. “Mi chiamo Jessie Hunt e lavoro come profiler criminale per il Dipartimento di Polizia di Los Angeles. So che Brenda ne ha passate delle belle. Ma speravo di poter scambiare due parole veloci con lei. Sto cercando di elaborare un profilo dell’uomo che l’ha rapita e non ci sono molti dettagli che sono riuscita a estrapolare dalla cartella del caso. Mi sono trattenuta più che ho potuto, come forma di rispetto per ciò che ha passato. Ma parlarle di persona mi sarebbe davvero di aiuto.”

      Non era entusiasta di fare quella prima presentazione di se stessa con quelle che erano, al meglio, delle bugie bianche. Ma aveva bisogno di un pass d’accesso, e quella sembrava la via più efficace. Ty non le sbatté la porta in faccia, ma le parve comunque reticente.

      “Senta,” disse sottovoce, guardandosi alle spalle mentre parlava. “So che sta solo facendo il suo lavoro. Ma Brenda ne ha passate già tante. Ha ripreso a dormire di notte solo negli ultimi giorni. Ho paura che questo potrebbe riaprire tutte quelle ferite.”

      Jessie aveva la sensazione che la sua ritrosia fosse al limite con le sue buone intenzioni e decise che era ora di essere più diretta.

      “Non posso promettere che non lo faccia, Ty. Ma sto cercando di scoprire chi sia questo tizio in modo che non faccia del male a nessun altro. Non so se lei ne è al corrente, ma ieri notte è stata ritrovata una quarta vittima.”

      “No,” disse Ty, sgranando gli occhi.

      “Sì. Ora è in ospedale. Ha una brutta frattura a una gamba, che si è procurata scappando dopo quattro giorni passati chiusa in una gabbia per cani. Francamente, non ci sono indicazioni che questo tizio abbia intenzione di fermarsi presto. Spero che con l’aiuto di Brenda potremmo arrivare a lui prima che prenda una quinta donna.”

      Ty sembrava combattuto, ma Jessie poteva vedere come stesse lentamente diventando più incline a lasciarla entrare. Si guardò una seconda volta alle spalle, verso l’atrio.

      “Resti qui,” disse alla fine. “Lasci che prima le parli. Magari riesco a convincerla.”

      “Grazie,” disse Jessie, ed entrò nel foyer mentre Ty scompariva in una stanza non ben definita in fondo al corridoio.

      Jessie sentì dei sussurri sommessi e agitati che continuarono per diversi minuti, poi Ty sporse la testa fuori dalla porta.

      “Venga pure avanti,” la chiamò. “Chiuda il portone dietro di lei, per favore.”

      Jessie annuì, fece come le era stato richiesto e imboccò il corridoio. Quando svoltò all’angolo, trovò Ty che andava a sedersi a un tavolo accanto a una donna paffuta dai capelli scuri, con gli occhi rossi e un’espressione sofferente. Non sembrava felice di avere ospiti.

      “Salve,


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