L’alibi Perfetto. Блейк Пирс
quel secondo finì.
CAPITOLO CINQUE
Jessie ebbe fortuna.
Mentre entrava nel grande ufficio della Stazione Centrale del Dipartimento di Polizia di Los Angeles subito dopo le otto, cercando di non dare nell’occhio, era in corso una frenetica attività. La squadra del buon costume aveva appena condotto un raid notturno, mettendo allo scoperto un’ampia cerchia di prostituzione. Tutta la centrale era piena di prostitute, magnaccia e clienti.
In definitiva, nessuno la notò mentre lei andava a prendere posto alla sua scrivania. Addirittura Ryan, che stava aiutando un agente a contenere la furia di un cliente iracondo, non la vide avvicinarsi. Lei invece non poté fare a meno di notarlo. Anche se stavano insieme da diversi mesi e lei ormai conosceva alla perfezione i dettagli del suo aspetto fisico, non cessava mai di sentirsi attratta dal suo fascino.
Con un’altezza di un metro e ottantacinque e poco meno di novanta chili di peso, era fisicamente imponente. Ma come lei sapeva bene, non c’era un grammo di grasso sul suo muscoloso corpo da trentaduenne. Nonostante il busto scolpito, Ryan emanava una sorprendente umiltà e un deciso calore per essere un detective veterano nella sezione omicidi. Aveva un sorriso semplice e teneva i capelli scuri tagliati corti, così da lasciare ben visibili i suoi amichevoli occhi castani.
Quando parlava, il suo tono morbido non lasciava presumere che lui fosse il più celebre detective della sezione speciale omicidi, anche chiamata HSS, che indagava su casi di alto profilo o intenso scrutinio mediatico, spesso con il coinvolgimento di numerose vittime e serial killer. Jessie a volte pensava che avrebbero dovuto dargli una medaglia di encomio per la sua abilità nel districarsi tra il lavoro e la sua relazione con lei.
Cacciando dalla testa i pensieri riguardanti il suo compagno, Jessie si sedette e iniziò a tirare fuori le cartelle del caso delle donne rapite. I dettagli erano scarsi, per lo più perché le donne erano state bendate per buona parte del loro incubo, quindi non erano state in grado di fornire grossi aiuti.
Dopo aver acquisito maggiore familiarità con i fatti, Jessie decise di chiamare il detective principale assegnato al caso di Morgan Remar. Prima di tutto era quello più rilevante per Kat. E poi, il detective incaricato alla Stazione del Pacifico, Ray Sands, aveva un’ottima scheda e una altrettanto buona reputazione come interessato a risolvere i casi più che a seguire severamente le procedure. Magari si sarebbe rivelato disposto ad aiutarla.
“Salve, detective Sands,” gli disse con voce piuttosto informale. “Sono Jessie Hunt. Sono una profiler criminale per la Stazione Centrale. Come va questa mattina?”
“Sono molto impegnato, signorina Hunt. Cosa posso fare per lei?” le chiese, educato ma diretto.
“Speravo di farmi un’idea di quello che pensa di un caso a cui sta lavorando al momento.”
“Di che caso si tratta?” le chiese Sands cautamente.
“Il rapimento di Morgan Remar. Speravo che lei potesse riempire un po’ di buchi.”
“Che interesse ha nel caso, signorina Hunt? Ho sentito parlare di lei e pensavo che la sua specialità fossero gli omicidi, per lo più perpetrati da serial killer.”
“È vero,” confermò Jessie. Decidendo che tutto sommato era meglio essere diretti, gli raccontò la verità. “A dire il vero sto dando un occhio per conto di un’amica, Kat Gentry. La signora Remar l’ha assoldata come investigatrice privata e lei sta trovando delle resistenze nella raccolta di dati sull’avanzamento del caso.”
“Sì, conosco la signorina Gentry,” rispose con tono carico di stanchezza. “È stata diciamo… insistente. Ripeterò a lei quello che ho già detto alla sua amica. Semplicemente non abbiamo molto in materia di informazioni di qualità da poter condividere, a questo punto delle indagini.”
Jessie aveva la sensazione che Sands fosse un brav’uomo, ma che non fosse completamente sincero.
“Detective, mi sta dicendo che dopo un mese e tre rapimenti da parte di quello che è chiaramente lo stesso colpevole, non avete nessuna pista utile?”
Non riuscì a celare lo scetticismo nella propria voce. Per qualche secondo Sands non rispose.
“Senta, signorina Hunt,” disse molto lentamente, enfatizzando con forza ogni sillaba mentre parlava. “Qui lei sta facendo un sacco di supposizioni: la prima, che questi casi siano collegati tra loro.”
“Mi sta suggerendo che non lo siano?” chiese Jessie sorpresa.
“Non lo sappiamo con certezza,” disse lui con tono poco convinto. “Tutti i rapimenti si sono verificati in diverse giurisdizioni. Tutte le donne sono state trovate in zone lontane da dove sono state rapite.”
“Ma sono state tutte tenute per approssimativamente lo stesso periodo di tempo, prima di riuscire a fuggire,” ribatté Jessie. “Sono state tutte rinchiuse in posti dallo spazio contenuto. Avevano tutte più o meno la stessa età e appartenevano alla stessa fascia socioeconomica. Non starà affermando seriamente che non sono collegate tra loro, vero?”
“No,” ammise lui. “Ma non tutti i detective che indagano sugli altri rapimenti la pensano così. E dato che sospetto che chiamerà anche loro, dopo aver parlato con me, voglio essere chiaro e dirle che non sono state tratte conclusioni.”
Jessie sospirò. Comprendeva la cautela di Sands, ma era incredibilmente frustrante.
“Senta, detective. Capisco. È politicamente sensato. E lei non mi conosce. Ma Kat Gentry è una buona amica. E sta tentando di aiutare una donna molto spaventata. Io sto solo cercando di trovare delle risposte che la aiutino a rilassarsi.”
“Pensa che non sappia che Morgan Remar ha paura?” chiese Sands, con tono per la prima volta sinceramente arrabbiato. “Sono stato io a interrogarla in ospedale mentre i medici le facevano dei punti di sutura e cercavano di sistemarle la caviglia che si è distrutta calciando la porta di quel guardaroba per liberarsi. Sono stato io quello che ha dovuto dirle che non c’erano prove utili rinvenute sul luogo dove era stata imprigionata. Sono due settimane che lavoro a questo caso senza sosta, mentre i miei colleghi delle stazioni Mid-Wilshire e West L.A. si sono trattenuti dal condividere ogni informazione. Ho avuto l’approvazione per una task force solo questa mattina. Sono consapevole della situazione, signorina Hunt.”
“Scusi,” disse Jessie, capendo di aver intrapreso il discorso con il piede sbagliato. “Non era mia intenzione suggerire che non le interessa. Io, ecco, mi spiace.”
Sands rimase in silenzio. Jessie lo sentiva respirare rumorosamente. Ma prese come buon segno il fatto che non avesse riagganciato. Prima che lo facesse, provò con un’altra tattica.
“Ha detto che questa mattina le hanno approvato una task force?”
“Sì,” mormorò lui.
“Posso chiedere cos’è cambiato?”
“C’è stato un quarto rapimento.”
“Cosa?”
“È stata trovata ieri a notte fonda a Griffith Park,” disse Sands. “Stesso modus operandi, solo che questa volta l’ha tenuta rinchiusa in una gabbia per cani per quattro giorni.”
“Cavolo,” mormorò Jessie sottovoce.
“Sì,” confermò lui. “Quindi questo ha finalmente convinto la gente del quartier generale a scavalcare i capitani delle altre centrali e farci riorganizzare le nostre risorse. Speriamo di essere pienamente operativi da questo pomeriggio.”
“Chi si occupa del gruppo?”
“Il sottoscritto.”
“Non mi stupisco della sua suscettibilità,” disse, ma poi si rese conto che l’altro poteva non prendere il suo commento come ironico.
“Sta scherzando? Io sono proprio così al massimo del mio fascino,” le rispose, chiaramente non offeso.
“Ok, allora fintanto che ho a che fare con lei quando è così di buon umore, posso farle un’altra domanda invadente?”
“Spari,” disse.