La disfatta. Alfredo Oriani

La disfatta - Alfredo Oriani


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       Alfredo Oriani

      La disfatta

      Pubblicato da Good Press, 2020

       [email protected]

      EAN 4064066072933

       I.

       II.

       III.

       IV.

       V.

       VI.

       VII.

       VIII.

       IX.

       X.

       Indice

      La contessa Ginevra volse la testa con un sorriso, tendendo al vecchio medico la bella mano bianca, sulla quale non brillava che il sottile anello matrimoniale.

      —Perchè così tardi stasera?

      —Esco ora dalla casa del marchese Roderigi: sta un po' meglio, il caso è nullameno disperato.

      Qualcuno degli invitati scambiò un'occhiata malinconica alla triste notizia, ma la conversazione rimase impacciata come prima.

      Il dottor Ambrosi si era seduto sopra una lunga poltrona in felpa gialla, presso la contessa Ginevra, abbandonando la testa sulla spalliera colla famigliarità di un amico, pel quale l'etichetta consente molte licenze. Era un bel vecchio alto, quasi calvo, di un color roseo ancora vivace sotto il bianco dei capelli e della barba; mostrava sessant'anni, benchè ne avesse quasi settanta, ma nè la fatica, nè lo studio avevano ancora potuto trionfare della sua robusta complessione.

      —E Bice?—chiese subito, riaprendo gli occhi.

      —È nella sua camera.

      Tutti attesero quello che il dottore avrebbe detto. Egli parve scrutare nello sguardo della contessa, largo e tranquillo; quindi con quella bruscheria, che lo aveva reso popolare, si scrollò sulla poltrona.

      —Vapori!

      —Bice ha un'anima troppo delicata.

      —E un corpo troppo debole: una cosa dipende dall'altra.

      —Sapete perchè non viene stasera con noi?

      —Lo immagino, ma forse verrà più tardi.

      —Purchè non pianga! Negli organismi come il suo, il pianto è un disastro; si squilibria tutto il sistema nervoso, e lo stomaco si stanca in contrazioni inutili.

      La contessa Ginevra girò lo sguardo sugli altri. Non erano molti; la contessa Ghigi, una dama di cinquant'anni, ossuta, nerastra, pochissimo simpatica, e nullameno di una bontà che sarebbe stata poetica, anche senza il profondo sentimento religioso che l'animava. Portava dei mezzi guanti di seta nera, a rete, sulle mani gonfie dai geloni, e sui capelli ancora nerissimi e duri, bipartiti sulla fronte bassa, un tocco di velluto scuro, quasi malandato. Ella sedeva vicino ad un ometto vestito di un largo soprabito bigio, tutto rasato, con una testina giallognola illuminata da due occhi cilestri vivacissimi. Dirimpetto a loro un altro vecchio, calvo sino quasi alla nuca, col ventre a stento rattenuto da un corpetto in panno turchino a fiorami di seta, e una cravatta bianca al collo troppo grosso, appoggiava le mani poderose al tavolo, trastullandosi con un mazzo di carte.

      All'occhiata della contessa Ginevra tutti guardarono il dottore con muta disapprovazione.

      —Ecco che mi siete tutti addosso!—disse raddrizzandosi sulla schiena con uno scoppio di voce, mentre il suo viso si animava di una energia simpatica:—volete davvero la mia opinione? Mi disapproverete, so già prima quanto pretenderete di oppormi, perchè ho fatto la vostra diagnosi da un pezzo; ebbene, la mia opinione eccola: il tenente Lamberto ha ragione.

      Questa affermazione era così enorme, che sul momento nessuno potè protestare; la contessa Ghigi ebbe per la prima come un gesto di spavento.

      —Per voi io sono già condannato; non lo negate, contessa Maria, perchè non mi offendo di questa condanna, alla quale sono sicuro di sfuggire da un'altra porta: d'altronde so che pregate da molti anni per me, e che la vostra cattiva opinione sulle mie idee non v'impedisce di volermi bene come ad un amico. Contessa mia, e anche voi, Ginevra, avete torto: è il tenente Lamberto, che ha ragione.

      —Affliggere la povera Bice!—intervenne il vecchietto tutto rasato, con una voce così sottile che si sarebbe creduta di una ragazza.

      —Sei fuori di tono, Giorgi: la vita ha più corde del tuo pianoforte. Dimentichi dunque, mio grande maestro, che il tempo è tutto, nella musica come nella natura? Lamberto ha ventisei anni, ecco perchè ha ragione.

      —Io sono qui forse quella,—disse la contessa Ginevra,—che vi dà meno torto; però confessate, con tutta la vostra indulgenza alla gioventù, che almeno Lamberto ha peccato nel modo.

      —Tutto quello che vorrete, la forma, la finezza delle maniere, che io, nato contadino, non ho ancora saputo imparare, ma che non avrebbero mutato nulla al problema. Tiriamo dritto: in una diagnosi si tiene forse conto della signorilità di un individuo? Volete un'altra opinione?

      —Peggiore della prima?—osservò il grasso Prinetti, che non aveva ancora parlato.

      —Siete dunque in vena, dottore?

      Egli fece uno sforzo per frenarsi, ma il carattere riottoso lo trascinava.

      —Bisogna pure, quando si tratti di passioni, non dimenticare che siamo composti di materia. Io non nego la spiritualità, come la chiamate voi altri con una parola inintelligibile, perchè senza di essa l'uomo sarebbe rimasto un bruto. Sì, l'amore, la gloria, la ricerca eroica del vero, tutto lo slancio umano, insomma il pensiero è la sola bellezza e la sola virtù della vita, ma per pensare ci vuole un cervello inaffiato largamente di sangue. Datemi i ventisei anni di Lamberto, rimescolatemi, a Roma, in una società dove non si pensa che a godere, e forse hanno più ragione di noi che abbiamo sempre lavorato,—esclamò con improvvisa amarezza:—anche se amo la nostra Bice con tutte le forze del cuore, se penso a lei in ogni momento che potrò sottrarre alla mia professione oziosa di soldato, Bice non mi basterà. L'amore è come la scienza; ha bisogno di rinnegarsi spesso nella pratica. Se non foste la gente che siete, vi direi: ricordatevi e mi darete ragione!

      Tutti sorrisero, egli invece brontolò ancora riappoggiando la testa sulla poltrona.

      Nel salotto l'aria era tiepida e leggermente aromatizzata da alcune pastiglie, che la contessa Ginevra aveva gittato sulle brace del caminetto, poco prima che entrasse il dottore. Vi fu un silenzio. Il salotto, di un gusto ricco e severo, in quella penombra diventava quasi cupo: solo le poltrone, sulle quali sedevano gl'invitati, e che evidentemente la padrona vi lasciava per una fine amabilità verso i vecchi amici, avevano un carattere quasi volgare di


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