La disfatta. Alfredo Oriani
la mise al collo, sopra l'abito. Si vedeva che aveva freddo; allungò i piedini verso la grata lucente del camino, stringendosi dentro le vesti.
—Propongo fra noi tre,—disse il dottore,—un bicchierino di rhum.
Prinetti e Giorgi avevano ripreso il bezique, la contessa Ginevra e la contessa Maria le calzettine. Il salotto si manteneva silenzioso, ma a poco a poco il dottore, aiutato da De Nittis, riuscì ad annodare con Bice una conversazione; veramente egli non vi era molto forte, ma l'altro, il grand'uomo della loro piccola società, pensatore ed artista squisito, sapeva mettere nei propri discorsi un fascino quasi femminile. La sua voce morbida e sonora sembrava talvolta dilatare il significato delle parole come una musica.
Riprese dal collo di Bice la medaglia, e compiacendosi da principio a farle notare tutte le finezze del disegno, si perdette a poco a poco nella poesia della Vergine Madre di Dio, come prima era balenata nella fantasia torbida e grandiosa dei profeti israelitici, e nella vittoria del cristianesimo occupando poi tutti i cuori aveva potuto di leggenda in leggenda salire sino al paradiso di Dante, per riapparire nuovamente, attraverso il barocchismo del moderno culto gesuitico, in un altro idillio, alle anime semplici dei contadini nelle campagne della Salette e di Lourdes. Il dottore lo ascoltava, preso anch'egli all'incanto di quel mondo di fantasmi religiosi, senza i quali l'umanità, malgrado tutte le forze della salute, non avrebbe saputo vivere. Era il trionfo della donna al disopra di sè medesima, librata nella purità come in una luce rivelatrice.
—La verginità cristiana,—proseguiva De Nittis con un tremito leggero nella voce,—non è più la preparazione all'amore, l'attesa della maternità, come nel mondo antico: l'uomo ne è escluso. Egli non saprebbe essere vergine, perchè nella sua lotta contro la natura deve subirne tutti i contrasti e penetrarne tutte le contraddizioni. L'uomo potè, con uno sforzo supremo di ascetismo, salire sino alla castità isolandosi dalla vita, ma questo suo trionfo parziale non ebbe mai il valore di un principio religioso. La verginità è femminile: tutte le religioni lo hanno sentito, quasi tutte, almeno le più eccelse, osarono la fusione fra i due termini, verginità e maternità. Ma nel cristianesimo questo simbolo divenne anche più alto, e Maria vergine madre ne perfezionò la stessa bellezza plastica con una nuova perfezione morale: quindi ella fu la più vera bellezza umana nell'immunità dalle deformazioni del piacere, e l'eroismo più puro accettando tutti i dolori dell'umanità nel proprio figlio senza aver peccato nel partorirlo. Nessuna poesia supererà mai quella della Madonna cristiana, giacchè coloro che come voi, dottore, non si prostreranno alla sua immagine, dovranno adorarla nello spirito.
—I preti non spiegano così il mistero.
—Non l'ho io forse raddoppiato invece di spiegarlo? Non è miglior spiegazione la loro, quando dicono che Dio volle incarnare il proprio figlio, perchè morisse per noi, e ci redimesse? Tutte le spiegazioni sono così. Dinanzi ad un malato voi non dubitate della malattia, non vi chiedete se essa non sia piuttosto una nuova forma della vita, la vittoria di un vivente sopra un altro; per voi, per la medicina, la malattia invece è il nemico della vita, perchè scompone una individualità. In questo caso le spiegazioni della scienza, davanti al mistero della natura, in che cosa sono superiori a quelle della religione, di fronte al mistero dello spirito?
Il dottore, allegro di essere riuscito ad interessare Bice con quel discorso, si lasciò battere volentieri.
—L'eterna guerra fra la scienza e la filosofia!—replicò sorridendo:—voi ci accusate di non capire, noi vi accusiamo di non fare. Tu dovresti stare per la scienza, Bice, e farci il thè.
—Trecentoventinove,—proruppe Giorgi:—dottore, Prinetti ha bisogno di voi, sta male.
—Starebbe meglio se, invece di perdere delle puglie, perdesse un po' di grasso. Sei tornato troppo presto dall'Africa; con qualche altro anno laggiù ti saresti prosciugato.
Quando Bice ebbe servito il thè a tutti, tornò presso il camino: l'atmosfera del salotto sembrava cambiata. Rosa, la vecchia cameriera, venne silenziosamente a mettersi dietro De Nittis: la sua faccia grinzosa, fra la cuffia nera e il largo fazzoletto di lana a quadroni cupi sulle spalle, pareva assopita. Adesso tutti parlavano, il dottore era tornato alla sua poltrona, De Nittis, il solo che fumasse, aveva accesa una sigaretta costringendo Bice ad accettarne un'altra; ma la ragazza sembrava ricadere, ogni tanto, in una penosa meditazione.
De Nittis le prese una mano.
—Domani verrà Lamberto.
Ella sussultò.
—L'ho visto oggi; fra voi due è necessaria una spiegazione. Dovete ascoltarlo, prima di giudicare.
—Perchè ascoltarlo, quando ho già sentito?
—Ascoltatelo nullameno. Voi non siete una donna volgare, per la quale il dispetto possa essere una ragione; quando gli avrete parlato, sentirete che cosa il cuore vi detta. La vita è troppo profonda, perchè si possa pretendere di indovinarla alla prima ruga della sua superficie.
Ella parve raccogliersi.
—Mi dirà quanto ha detto a voi, che non ne siete rimasto persuaso, poichè non volete ripetermelo.
—Bice, voi soffrite troppo ora.
—No, è passata.
E si stese languidamente sulla poltrona: la sua debolezza, in quel momento, era pietosa. De Nittis la considerò a lungo, respirando quasi involontariamente la poesia dolorosa della sua figurina.
Dopo qualche minuto, Bice riprese con voce lenta:
—Mia madre è morta d'amore, me l'avete detto voi stesso. Quando penso a lei, io, che non ho potuto conoscerla, credo che dovrò morire di una morte anche peggiore. Mi fa pena per voi altri, specialmente pel povero dottore; egli avrebbe voluto fare di me una giovinetta fiorente, e non è riuscito che ad una larva di donna.
De Nittis protestò con un gesto.
—Non vedete come tutti siete penosamente preoccupati della mia rottura con Lamberto, temendo che ne esca infranta? Qualunque altra ragazza vi si mostrerebbe nella pienezza della propria natura; io debbo invece ritrarmene. Sono come quei cagnolini, che scappano in casa al primo tuono.
—Ho promesso a Lamberto che lo riceverete dimani, sulle due,—rispose
De Nittis tagliandole quello sfogo.
Ella titubò.
—Lo volete?
—Sì, per voi.
Bice rimase lungamente incantata nella fiamma. La sua fisonomia, non bella, perdeva in tale fissazione quella dolce gracilità di ammalata, che era la sua sola luce; allora De Nittis tacque, ma conoscendo tutta la delicata energia della sua anima, avrebbe preferito qualunque altra reazione angosciosa all'abbattimento di quella calma. La vecchia Rosa scambiò uno sguardo con lui.
—Che cosa avete mangiato oggi?—chiese a Bice il dottore.
—Non ho mangiato.
—Allora invitatemi a cena, mangeremo insieme.
Ella diede un'occhiata supplichevole.
—Benissimo, dieta dappertutto!—proruppe.—Domani mattina alle undici verrò a far colazione qui; vedremo un poco! Rosa, sapete che voglio mangiar bene…. ho mangiato così male da studente, che me ne ricordo ancora. Adesso, signorina,—proseguì consultando il proprio orologio, un grosso cronometro d'oro,—mi farete il piacere di andare a letto. Verrò a salutarvi nella vostra camera.
—Ma, dottore….
—Niente! vai, o ti porto via in braccio.
Ella si alzò con Rosa, salutò tutti: il dottore le diede un bacio sui capelli.
Erano le dieci e mezzo, il salotto tornò grave.
—Temete che si ammali?—chiese a bassa voce la contessa Ginevra al dottore.
—No.
De Nittis era pensieroso. Quell'aria rassegnata di Bice significava che la ferita