La disfatta. Alfredo Oriani

La disfatta - Alfredo Oriani


Скачать книгу
della mamma? Mi restano ancora sei anni, sono molti. Lasciami dire, Rosa: io lo sento meglio di voi altri, che non si può vivere così.

      —Vuoi tentare il Signore con questi discorsi?

      —Sino ai quindici anni sono campata di acqua civilina e di olio di merluzzo; meno male che sono rimasta magra,—seguitò con amarezza;—se mi fossi ingrassata, avrebbero dovuto mettermi sulle bottiglie per réclame. Ecco il risultato della mia vita.

      Rosa, che non voleva quei discorsi, se la tirò più su, contro il petto, come una bambina.

      —Che cosa gli dirai, a lui?

      —Dimmi piuttosto, come potrà spiegarsi meco?

      La vecchia non seppe rispondere; gli occhi limpidi della fanciulla avevano una purità insostenibile.

      —Dimmelo, Rosa: questo è il grande momento della vita per me. Tutto quanto ho imparato, tu che mi credi dotta, non mi serve a nulla davanti al problema, che sta per risolversi. Anche la mamma ha dovuto morire di un tradimento; tu devi capirlo bene, che ho bisogno di saperlo. Se l'amore degli uomini è così naturalmente diverso dal nostro, la colpa non è loro…. Ma dimmelo…. Questa notte ho sempre pensato alla mamma; non mi sono potuto sottrarre all'idea che, anche lei, sia stata tradita.

      —Tu sei ancora troppo piccina; queste cose si sanno solamente dopo.

      —No, Rosa: ho bisogno di saperlo. La mamma è morta di dolore…. tradita, anche lei?

      —No.

      —Giuralo.

      —Te lo giuro.

      —Perchè dunque è morta di amore? Si può morire della sua gioia?

      Adesso la vecchia era malcontenta; anch'essa ricadde in una meditazione. Aveva quasi settant'anni, ma così curva e grinzosa li portava tuttavia abbastanza bene. La sua fronte di un colore di terra cotta, a larghe macchie, pareva spiegazzata: la bocca le era rientrata violentemente dentro le gengive deformando le linee, forse una volta belle del naso e del mento, ma sotto l'imperturbabilità della sua maschera antica s'indovinava ancora un cuore buono. Parlava lentamente, senza gestire, con voce bassa, che certe volte pareva un'eco. Da moltissimi anni era rimasta sola, poi aveva fuso la propria vita con quella di Bice disputandola, giorno per giorno, alla morte con la stessa energia di contadina, colla quale ella medesima se ne difendeva.

      Ma leggendo più profondamente nell'anima della fanciulla, Rosa temeva più degli altri. Era la grande crisi; forse la morte si nascondeva dentro quell'amore di fanciulla come una vipera sotto un cespuglio.

      —Andiamo dalla Madonna,—disse risolutamente.

      Pochi minuti dopo uscivano di casa, a piedi, Bice imbacuccata in una pelliccia di martora, che la copriva sino a terra, e con un fitto velo sul viso per non aspirare l'aria troppo rigida; la vecchia avvolta in uno scialle antico della contessa Ginevra, e con un grande fazzoletto di seta sulla testa.

      Talvolta la gente si voltava a vederle passare.

      Entrarono in San Bartolomeo.

      La chiesa era quasi tiepida e deserta: Rosa porse le dita bagnate nell'acqua santa a Bice, e andarono difilate all'altare della Madonna di Guido Reni, la sola che a Bologna abbia un'eguale celebrità di arte e di miracoli.

      Due donne del volgo, inginocchiate dinanzi alla balaustra della cappella, non si mossero vedendo una signorina prostrarsi vicino a loro. La cappella, di un gusto villano, aveva per altare uno dei soliti banchi in legno dipinto stupidamente a marmo, ma la bella immagine sogguardava dalla piccola cornice, ovale e dorata, con uno sguardo dolcemente estatico, dentro al quale si sentiva come una tregua di dolore. Il suo busto, avvolto in un confuso panneggiamento turchino, sfuggiva nell'ombra.

      Rosa piegò la fronte sulla fredda pietra della balaustra, mormorando a mezza voce una Salve Regina.

      Nel silenzio della chiesa, vivamente illuminata, strisciavano dei passi: ogni tanto il portello pesante, sotto al quale erano passate, si richiudeva rimbombando cupamente; in fondo, nell'abside, ove alcuni apparatori lavoravano ad un addobbo salivano tratto tratto parole in dialetto, quasi striduli appelli di piazza in quel raccoglimento torpido, fra il volo muto delle preghiere.

      Bice ne ricevette una penosa impressione. Ella non sapeva pregare che a certi momenti, quando l'anima, gonfia di poesia, le si alzava spontaneamente verso l'invisibile: allora tutti i mistici fantasmi le riapparivano attirandola sempre più in alto, per un azzurro rorido e vampeggiante d'improvvise illuminazioni.

      Per qualche tempo seguì il passaggio dei pochi devoti, che entravano nella chiesa, s'inchinavano a quell'altare ed uscivano dall'altra porticina di fianco. La chiesa diventava volgare come ogni luogo pubblico. Malgrado lo spessore della pelliccia, ella si sentiva già i ginocchi indolenziti sulla durezza dello scalino: a che scopo quella visita, a quell'ora?

      Ma le altre due donne, e la vecchia Rosa, seguitavano a pregare immobili, col volto fra le palme, in una posa di profondo abbattimento; per loro la Madonna era così presente, che non avevano nemmeno il bisogno di guardare la sua bella immagine sull'altare. Allora Bice s'incantò di nuovo a contemplarla, rammentandosi confusamente le parole di De Nittis sulla Vergine Madre di Dio. Erano vere: nessuna poesia supererebbe mai quella della madonna cristiana, così vergine da ricusare l'onore di madre di Dio, e così madre da abbandonare alla morte il proprio figlio divino per salvare quelli di tutte le altre donne. Ma la soave figura di quel quadro era appena malinconica: le sue guance rotonde, la sua piccola bocca, la sua fronte liscia non esprimevano la sovrumana tragedia della sua vita; solo gli occhi appannati lasciavano indovinare come un pianto di rugiada.

      Poi tutto fu inutile, Bice non potè pregare. Invece era sorpresa di sentirsi così indifferente, mentre la grande crisi della sua vita stava per scoppiare.

      —Di' un'Ave Maria con me,—le susurrò Rosa.

      Uscirono: all'aria aperta Bice tornò pensierosa.

      —Il signor tenente Lamberto è già nel salotto ad aspettarla,—disse il cameriere aprendo loro la porta dell'appartamento.

      Bice sussultò.

      —La zia è tornata?

      —No, signorina.

      Bice entrò risolutamente nel gabinetto, senza trarsi la pelliccia, alzandosi il velo sul cappellino; il tenente Lamberto balzò in piedi ma, per quanto si fosse preparato al colloquio, rimase incerto di tenderle la mano o d'inchinarsi solamente.

      —Buon giorno,—gli disse Bice sull'uscio, e venne a sedersi presso di lui, sopra una poltrona, stringendosi freddolosamente nella pelliccia.

      Il suo volto pallido era agitato da un tremito, che il freddo della strada bastava a spiegare. Egli non sapeva come incominciare. Così vestito, colle mostreggiature bianche del reggimento Novara, e la corta montura nera, poichè aveva gettato lo spencer sopra una poltrona, senza berretto, era veramente bello; la sua media statura di proporzioni ammirabili, e la sua piccola testa cogli occhi neri e la pelle bronzina avevano un'espressione di forza simpatica.

      —È freddo.

      —Da intirizzire.

      —Anche la zia è uscita?

      —Sì.

      Non sapevano andare avanti.

      —Sedete dunque,—ella gli disse.

      Ma quando fu seduto, si sentirono entrambi così lontani l'uno dall'altro, ad una tale distanza, che non avrebbero più potuto farla sparire: ella dentro a quella pelliccia, dalla quale non sporgeva che la testina sofferente, era ripresa dal freddo. Poi una tristezza insopportabilmente greve le cadde sull'anima. Egli se ne accorse.

      —Prima di presentarmi,—cominciò con visibile stento,—sono stato dal professore De Nittis: egli mi ha consigliato a venire, perchè vi debbo una spiegazione.

      Bice attese; l'altro, che aspettava una parola d'incoraggiamento, s'imbrogliò di nuovo.

      —Sarete


Скачать книгу