La disfatta. Alfredo Oriani
credete dunque ancora?
—Vi crederò, senza dubbio, giacchè volete dirmi qualche cosa, e non potreste avere l'intenzione d'ingannarmi.
Questa facilità di Bice rendeva anche più difficile la spiegazione. Evidentemente egli si attendeva ad un'altra accoglienza, a lamenti, ad accuse, che provandogli di essere ancora amato, gli avrebbero dato immediatamente una superiorità sopra di lei: invece la fredda bontà di Bice lo sconcertava. La sua vanità ne fu punta: involontariamente si atteggiò con più seduttrice eleganza sulla poltrona, passandosi la spada tra i piedi e la mano sinistra sui piccoli baffi.
—Io non voglio certo ingannarvi.
—A che scopo lo fareste? Una fanciulla come me, fuori della vita….
—Come fuori della vita? Quando ne siete uscita?
—Voi mi avete provato, che non vi sono mai entrata davvero.
Era l'accusa: allora egli si sentì finalmente sollevato:
—V'ingannate. Può darsi che qualcuno vi abbia riferito le cose ben diversamente; so che i giornali ne hanno parlato, ma chi crede più ai giornali? Si conosce come ricevano le notizie e le propalino; hanno bisogno di trovare lo scandalo dovunque, giacchè non vivono d'altro.
—Quindi non vi è stato nulla.
Egli si arrestò.
—Hanno falsato, ecco: il fatto è vero, ma non così. Io fui insultato, ho dovuto battermi.
Un'emozione passò sul volto di Bice, egli se ne avvide.
—Ho fatto male. Un amico mi aveva pregato di accompagnare quella donna a casa, poichè lo aveva trovato con lei nel Corso, e si erano bisticciati. Ella invece volle entrare al Gambrinus; quelle donne son tutte così. Era impossibile rifiutare.
Bice ascoltava.
—Il tenente Ravizza aveva meco un vecchio rancore; ma, del resto, viene dalla bassa forza e ne ha conservati tutti i modi. Senza la sua provocazione troppo palese, nulla sarebbe accaduto…. Infine, qualunque sia la condizione di una donna, quando è anche momentaneamente, per caso, con noi, ogni gentiluomo ha il dovere di ottenerle da tutti il rispetto.
Egli aveva detto ciò in fretta, come un finale di lezione mandata a memoria, ma si sentiva che non ne era rimasto contento: d'altronde Bice non si era mossa. Parevano due stranieri, che per una stravaganza inesplicabile parlassero di un caso intimo; egli si trovava ridicolo con quelle spiegazioni assurde anche per un bambino, mentre il giorno prima con De Nittis raccontando sinceramente l'accaduto, aveva trovato qualche scatto simpaticamente generoso.
Ricaddero in silenzio, umiliati tutti e due.
Quindi un ricordo della loro tenerezza giovanile li punse, come un rimprovero pieno di dolci rimpianti; erano così confidenti allora l'uno nell'altra, che nessuna età della loro vita sarebbe mai più così felice. Egli, robusto e turbolento, ne faceva di tutte le sorta; ella lo rappattumava colla zia e coi maestri tornando poco dopo a bisticciarsi con lui, ma senza che una viltà d'inganno li avesse mai separati. Invece, soli in quel gabinetto tiepido, nell'abbandono di una spiegazione, che avrebbe dovuto suggellare il loro amore, s'accorgevano di non riconoscersi più. Involontariamente Bice pensava a quella cortigiana, una delle celebrità più impure della capitale, che Lamberto aveva condotto a cena, difendendola dai motteggi di un crocchio di ufficiali, sino a battersi col più imprudente di loro. Secondo tutti i giornali quella donna era irresistibile di eleganza, bella come le sue pari debbono esserlo, colla freschezza dei fiori e la mobilità carezzevole e tempestosa del mare.
Un'amarezza dolorosa le salì dal cuore alle labbra. Allora, con moto repentino, aperse la pelliccia per rigettarla sopra una sedia; Lamberto fu pronto a passarle di dietro, ma ella gli rispose un "grazie" secco, e rimase in piedi, quasi per farglisi vedere in tutta la propria desolata magrezza. L'imbarazzo dì lui crebbe; ella seguitava a tacere.
—Mi congedate?
—Non avevate delle spiegazioni da darmi?
—Mi sembrate così poco disposta a riceverne!
—Sarò io che ve le darò invece.
—Voi….
—Siete libero,—ella disse raddolcendosi nuovamente:—avrei voluto potervelo dir prima, per risparmiare ciò che avete creduto di dovermi spiegare, ma il tempo dei nostri giochi è passato. Io, lo vedete, sono rimasta egualmente pallida e magra, un'imponderabile, come una volta mi disse ridendo il dottore; solo l'anima e il volto sono invecchiati in me. Voi invece siete diventato un uomo: siete bello,—aggiunse con uno strano accento di purezza e d'indifferenza.
—Bice….
—Forse il mondo è troppo grande perchè noi donne possiamo comprenderlo, ma ho sentito che non sareste più ritornato dal vostro nel mio.
—Io vi amo, Bice.
—Ancora!—ella ribattè con ironia rassegnata.
—Qualunque siano i miei torti, dovete credere….
—Di qual fede volete voi parlare, Lamberto? Io non so che cosa sia l'amore degli uomini: esso può, secondo voi, dimenticare e transigere. È così, non è vero? Invece io sono tanto poco donna, che il vostro amore non saprebbe vivere di me: non m'interrompete, Lamberto. Nessuna generosa menzogna potrebbe cambiarmi la coscienza che ho di me stessa: vedete che non mi lagno.
—Così mi umiliate doppiamente.
—La colpa è della mia memoria, che in voi non ha potuto difendersi contro impressioni più gradevoli. Eccovi la mano, Lamberto, restiamo amici.
—È impossibile!—proruppe.—Vi dirò tutto, piuttosto che restare sotto il peso di questa bontà, che mi schiaccerebbe.
Con un gesto risoluto e grazioso, le prese una mano appressandole insensibilmente il volto al volto: i suoi occhi neri sfavillavano.
—Bice,—riprese con voce commossa,—quando vi avrò confessato che noi uomini diventiamo brutali, anche se ci brilla nell'anima la più santa delle immagini, ne saprete forse quanto prima: eppure è così. Quella donna, della quale un angelo come voi non potrebbe essere geloso, l'ho conosciuta; è vero, non ci pensavo, ma il mondo è così stupidamente fatto, che per lei ho dovuto arrischiare inconsideratamente la mia vita e ferire un compagno. Però essa non mi è mai entrata nel cuore: mi credete, non è vero?
—Sì.
—Allora mi perdonate.
—Non sono io che lo posso: dovrà perdonarvi quel vostro compagno, egli è il solo ferito.
Lamberto le lasciò cadere la mano; ella fece un passo addietro afferrando la pelliccia; egli raccolse lo spencer. Era diventato pallido; automaticamente Bice si rimise la pelliccia.
—Ve ne andate?
Ella gli tese la mano, col suo dolce sorriso.
—Addio, Lamberto.
—Così freddamente!—gridò, reprimendo a stento la collera:—adesso comprendo che non mi avete mai amato.
Una fiamma si accese negli occhi cilestri di Bice. Egli stava per prorompere, ma una improvvisa umiliazione lo colse di essere invano così giovane e bello per quella gracile creatura, che sino allora aveva creduto di trascinare vittoriosamente dietro al carro della propria vita. Bice gli sfuggiva in alto, come una di quelle immagini, che paiono risalire verso l'aurora della nostra infanzia, mentre noi discendiamo pel meriggio verso il vespro.
—Resterete a pranzo colla zia?
—No, se mi lasciate a questo modo.
—Allora tornate stasera a vederla: sarà contenta di trovarvi così bello.
—Mentre voi mi trovate moralmente tanto brutto.
Ella sorrise ancora:
—Non sareste allora