Le streghe dono del folletto alle signore. Defendente Sacchi
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È una landa deserta, vasta, rotonda; non vi spuntano erbe, non vi zampilla una fonte, non vi raccoglie il volo un uccello. Sul confine sorge un'alta pianta, chiude l'orizzonte una montagna che ha le creste come i merli di un antico castello. È mezzanotte; in cielo nereggia un temporale, e appena da una nube squarciata trapela un corno di crescente luna; l'aria è quieta e senza mutamento, tutto è bujo e silenzio.
Suona una campana col battaglio di legno, e tosto ecco fischiar per l'aria, strisciare sul suolo, scorrere fra' boschi notturne strigi, sibili di serpenti, miagolati di gatti, scalpitar di cavalli, voci orribili e diverse, e suon di musica strana. Di su, di giù, da ogni parte s'affollano genti a popolare quella landa, diverse di forma, orribili di favella. Sbocca dal suolo squarciato un carro che reca un nume od una bestia, sole creature a cui è concesso il trionfo.
Capita da ogni parte il corteggio: ora un uomo grave in groppa a riverso sur un somaro, prende la coda pel capo, e pare un filosofo idealista; gatti che vanno spiccando salti, rospi che camminano come uomini, animali della terra e dell'aria che tutti stridono e fanno rombazzo. Alcuni gravi sono a cavallo d'un granchio, e vanno come il progresso del nostro secolo; uccelli che camminano lindi, colla testa alzata per essere creduti più grandi degli altri; animali con più teste, uomini con molte gambe, altri colle corna o colle orecchie lunghe; donne a cavallo di scope che pajon poeti lirici che giungono da un volo; fanciulle colla coda come serpi, altre senza cuore, molte senza testa; è il mondo in simbolo: tutti entrano nel cerchio della maledizione.
In mezzo, sur un gran seggiolone, siede maestro Leonardo, spirito folletto, preside della congrega: è tramutato in caprone a tre corni, de' quali quello di mezzo gitta lume a rischiarar l'assemblea; gli altri sono inghirlandati di corone nere: ha velli irti, faccia squallida e torbida, occhi di bragia grandi, spalancati, spaventosi, barba caprina, mani simili, dita tutte lunghe ad un modo, curve, adunche; piedi d'oca, coda lunga pari a quella d'asino, e sotto di questa un viso d'uomo nero; manda una voce rauca, fioca, ha il portamento altero, aria melanconica; persona che siede in alto.
Tutte quelle strane creature che in forme diverse convenivano all'assemblea, appena entrate nel circo si tramutano in maghi o streghe; ciascuna va reverente innanzi a Leonardo, lo inchina, gli bacia la faccia che ha sotto la coda, ed ei li retribuisce con vezzi, lodi, denari.
Già l'adunanza è numerosa, il preside si leva, dà il segno e si apre la festa: è il Sabbath. Ecco, vengono parecchi spiritelli, seguaci e cortigiani di Leonardo; uno distribuisce le cure ed i posti; però alterna sempre streghe con folletti e fattucchieri. A tutti vegliano i correttori, piccoli mostri senza braccia; tengono acceso un gran fuoco, e quando qualche strega cade in errore, ve la pongono a purgare, e la ritraggono dopo la penitenza. Giungono anche i cavalieri del Sabbath; sono grandi rospi, serventi delle streghe: vestono di velluto rosso o nero, portano un campanello al collo e un altro ai piedi: camminano ritti, vaghi come damerini.
I ricreamenti incominciano: è apprestato il banchetto, tutti siedono; si servono le vivande; pane di miglio nero, carni d'impiccato o di fanciulli non battezzati, vini fermentati che girano in tazze dorate. Si mangia, si alternano canti nefandi e discorsi sacrileghi.
Finito il vivandare, suona la campana col battaglio di legno, ciascun si leva, le mense scompajono, tutti venerano Leonardo, e s'intrecciano diverse cure.
Qui si tiene ragione delle querele fra le streghe e i rospi loro cavalieri, e se questi provano di non esser ben nudriti, i correttori le castigano col fuoco. Qua streghe e fattucchieri rendono conto delle opere loro, de' mali commessi, e se non riescirono a farne, come era debito loro, punizione.
Ove si creano nuovi rospi a nuovi cavalieri, s'impone loro un nome e si danno in dono alle streghe che hanno meglio meritato dal congresso. Ove sorge un'ara, e un mago celebra un mistero infernale, e intorno alcuni stanno in atto di ossequio. In un lato bolle una pentola immane sopra un fuoco ardente; in un altro le streghe si gittano ignude, menano danze oscene, portando in mano una candela accesa, e a certe cadenze sospendono il ballo e vanno a baciare maestro Leonardo. In un angolo più appartato si confondono amori nefandi di streghe, di folletti, di maghi, nè si conosce parentela o rispetto conjugale.
Più allegra è invece la vicina quadriglia, ove le streghe e i rospi vestiti di velluto rosso menano cantando il trottiglione. È un frastuono, un trambusto orribile, una festa infernale..... Ma tutto è sospeso, tutti tendono l'orecchio, è la chicchiriata mattutina del gallo, è il segno della partenza. Leonardo prende l'acqua lustrale, fa un'aspersione all'assemblea e la licenzia. Un sibilo, un subito fragore; maghi e streghe riprendono le forme onde vennero: sparvero: la landa è deserta.
IV. Ai curiosi.
Voi leggete ancora? Dunque non gittaste il libro? Dunque?... Eh, non presumo che possiate crederlo qualcosa; forse vi mosse curiosità di sapere tutti i riti di quella festa inusitata. Avete petto d'avventurarvi fra le superstizioni e gli errori de' tempi andati? Ve ne dirò delle strane! Imparerete di molte cose e belle: a diventar ricchi quando vi piaccia, a farvi amare da chi vi aggrada, a viaggiare senza spese, e più di tutto, che il mondo fu sovente una gabbia di matti.
CAPO PRIMO I MAGHI.
I. Della magìa.
Che cosa è magìa? chi sono i maghi e le streghe? uh! quante voci — una follìa, tanti impostori o pazzi. — Maravigliate: è popolo che risponde, son donne, fanciulli, uomini; ma non rispondevano così, appena ha un secolo; era allora una credenza, adesso è dissipata: aveano torto allora od adesso? Ci soccorra la storia.
La magìa era la scienza e l'arte di operar cose superiori all'umana natura col sussidio degli spiriti malefici. Però questa definizione è un po' vaga: i sapienti che ridussero la stregoneria a' principj, e Agrippa che fu il Condillac della scienza cabalistica, dice che la magìa era una facoltà fornita d'un gran potere, cui sieguono alti misteri, i quali racchiudono una profonda cognizione delle cose più secrete, la loro natura, potere, qualità, sostanza, effetti e rapporti; con questi misteri essa produce quanto v'ha di più maraviglioso, ove le sia in grado ed ove operi l'unione e l'applicazione delle differenti virtù degli esseri superiori cogli inferiori. La magìa infine è, giusta la sua sentenza, la sola e vera scienza, la filosofia più elevata e più misteriosa, in fine la perfezione di tutte le scienze naturali.
La magìa, come tutte le scienze, ha le proprie divisioni, e diverse specie tutte importanti, come quelle onde divise Buffon la storia naturale. Vi è dunque la vera magìa, ossia la divina, o la cognizione degli attributi della divinità che Dio rivela ad alcuni pochi, compartendo loro ad un tempo di poter predire il futuro, operare dei prodigj e penetrare nella mente dei mortali. La seconda è la magìa naturale, ossia lo studio dei secreti della natura, e si occupa dell'astrologia, della fisica, e in ispecie dell'alchimia e dell'astronomia giudiziaria. Finalmente l'ultima è la magìa nera, quella che rende sì potenti i negromanti, e dividesi in celestiale e in cerimoniale; la prima attribuisce agli spiriti un dominio sui pianeti, e a questi sugli uomini, sicchè si partono da essi o benigni o malevoli influssi che governano le loro azioni o virtù. La cerimoniale poi è riposta nell'invocazione dei demoni, nella podestà di comandare agli spiriti aerei od infernali, podestà che solo si consegue con un patto o tacito od espresso colle potenze dell'averno, sicchè sono sempre pronte a prestare l'opera loro ai desiderj del mago.
Quest'ultima possente magìa poi prendeva diverse denominazioni, secondo le cure a cui si rivolgeva, siccome la cabala, l'evocazione, la divinazione, la profezìa, il sortilegio, ed altre che vi davano a capriccio l'astuzia dei negromanti per abbagliare la credulità della moltitudine.