Dal cellulare a Finalborgo. Paolo Valera
All'indomani si seppe che il detenuto era morto.
Il Luraghi che aveva visto il Platner ci raccontò la scena notturna.
—Ho veduto stamane il Platner, sbattuto come un individuo che non ha dormito. Gli chiesi se se si sentiva male.
—Non sto affatto bene. Stanotte poi non ho potuto chiudere occhio. Ci hanno portato su, verso le dieci, un uomo quasi morto. Spirò cinque minuti dopo che l'avevano adagiato sul letto. Morì mandando uno di quei gridi che restano nelle orecchie per tutta la vita. Pareva una voce di rame andata a schiantarsi su una pietra della muraglia. Se dovessi morire così anch'io? Senza un'anima che mi porga un bicchiere d'acqua o mi lenisca il passaggio dalla vita tribolata alla pace della tomba con una parola soave? Mi trovai sotto le coltri terrorizzato dal brivido che mi aveva dato il pensiero triste. Il medico? Egli è venuto troppo tardi. Passammo la notte a recitare il rosario dei morti. Col cadavere nella stanza non c'era altro da fare. Dopo la visita lo portarono nella cappella mortuaria. Povero diavolo! Nessuno sapeva chi fosse. Morto, aveva assunta un'aria così feroce che mi faceva chiudere gli occhi.
Il secondo episodio è identico al primo. Erano forse le dieci. Come al solito non potevo dormire. Luraghi mi raccontava un incidente del suo processo.
—Guardia! guardia!
Era un grido che usciva da una finestra delle celle disotto. Tra il grido e la chiave vi fu l'intervallo di una mezz'ora. Sentimmo i prigionieri della camerata che lo portarono in infermeria. Morì anche lui, poco dopo, senza sapere di che male moriva. Quando si fece vivo il medico, il sole era alto e gli ammalati avevano già pregato per la sua anima da tanto tempo.
Il Platner rinunciò all'infermeria.
La sera dopo era tra noi a ripeterci coi colori dell'ambiente quello che vi ho raccontato in poche parole.
Ci salutammo colla promessa che all'indomani mi avrebbero spiegato che cos'era la «pulce».
Questo sì che fa male! Non posso sentir piangere i ragazzi in prigione. Perchè li mettono in prigione come gli adulti?
Ce n'è uno che deve essere in fondo a una camerella sotterranea. Piange come una disperazione. Il suo lamento arriva nella mia cella come quello di uno che sia stato male ammazzato in una cantina. Ecco che grida più forte. Mamma! mamma! Taci, taci, tormento delle mie viscere, tu mi passi per le orecchie come uno spillone puntuto. Abbiate pietà di un povero ragazzo. Sentite come piange dirottamente! Con che voce chiama la mamma! Forse egli ha peccato, forse egli ha disubbidito, forse egli vi ha insultati, ma pensate ai suoi anni, perdonategli… Bravo, taci, mi fai tanto bene. Il pianto lo ha vinto. Probabilmente egli è sdraiato nel sonno. Se vedrò il cappellano farò di tutto per indurlo a gettarsi ai piedi del direttore. Non è un'umiliazione, quando si è impotenti, genuflettersi ai piedi della iena che lo ha rinchiuso. Il cappellano non c'è più. Me ne ricordo adesso. Egli è stato vittima non so se dell'autorità carceraria o militare. Peccato, era così buono. Ecco che si risveglia, santo cielo. Dormi, dormi, perchè morirai a piangere in questo modo.
—Oh mamma! mamma! oh la mia mamma!
Carnefici, non capite che vuole la mamma? Lasciatelo andare a casa, lasciatelo! Siate buoni, sono io che vi prego.
Che cosa volete che abbia fatto un fanciullo di pochi anni? Bisogna avere le viscere di ferro per resistere alle sue grida, che vanno al cuore come tante pugnalate! Potessi aiutarti, ma sono chiuso, ermeticamente chiuso in un buco. C'è nessuno che senta, che si commuova? E andai all'uscio e premetti il campanello, e feci cadere la banderuola.
—Che volete?
—Sentite come piange quel ragazzo!
—Badate ai fatti vostri!
—La «pulce» è una visita improvvisa. È avvenuta a me nelle carceri di Bologna. A Bologna nessuno entra nella cella. Chi fa la pulizia sono i detenuti incaricati dei servigi domestici. Il coperchio del bugliolo bacia bene e questo vasone da notte rimane chiuso in un buco che ha l'apertura anche lungo il corridoio esterno. Lo scopino lo porta via e ve lo rimette senza annoiare i detenuti nella stanza. Acqua, vino, cibi vengono serviti dal buco dello sportellino.
Eravamo in quattro. Si fumava. Io penso adesso, quando la Cassazione mi farà indossare la casacca del recluso, come potrò vivere senza fumare. Fumo più di quaranta sigarette al giorno.
Una volta ne fumavo cento. Eravamo dunque in quattro. Non si pensava a nulla. Si spalancò l'uscio senza darci tempo di buttar via sigarette e pipe. Entrarono quattro guardie, le quali, dopo averci ingiunto di non muoverci, ci ordinarono di spogliarci. Nudi ci fecero mettere in quella parte della stanza dove non era che la parete. Ci passarono le mani per il corpo dal capo ai piedi, ci guardarono tra le dita, ci frugarono per i capelli, ci palpeggiarono qua e là, ordinandoci di alzare le braccia e di fare dei passi. Poi ci passarono minutamente gli abiti premendoli, piegandoli, dissaccocciandoli, guardando dappertutto. Terminata questa visita minuziosa, la ricominciarono guardando negli angoli, sui banchi, dovunque poteva essere nascosto qualche cosa.
Sfecero il letto, cacciarono le mani nel pagliericcio, spiegarono la coperta, sgrupparono i fagotti e misero le mani nei tascapani. Non trovarono nulla. Pareva proprio che fossero alla ricerca delle pulci.
__Noterelle del mio amico alla matricola.__
Maggio 1898.
So quanto deve avere sofferto in una stanza con degli altri di un'altra condizione. Ma non ho potuto aiutarla. Dalla sua entrata sono avvenute cose incredibili. Il personale di custodia è terrorizzato. Noi scrivanelli non abbiamo più modo di entrare nei raggi dei politici. L'Astengo se n'è andato. Era un direttore umano. Il suo delitto è di avere permesso ai più grossi detenuti politici di pranzare insieme. Siccome non ci sono locali sufficienti e siccome anche nella cella i prigionieri sono appaiati per mancanza di spazio, così non si capisce il rigore della direzione carceraria di Roma. Provvisoriamente ha preso il suo posto l'ispettore De Luca. È uomo di cuore. Se ce lo lasciano non abbiamo perduto nulla. Ha fatto migliorare il vitto e non punisce che quelli che vogliono proprio essere puniti.
È la prima volta che mi capita di vedere una testa direttiva che riconosce i diritti dei carcerati. Di solito i direttori dei nostri giudiziari sono un po' come i direttori delle caserme dei forzati in Siberia, descritti dal Dostoïewsky—un autore che non mi lascia mai uscire dalla tristezza. Individui che hanno sempre bisogno di passare sul regolamento per schiacciare qualcuno o levare qualche cosa a qualcun altro.
Ho ricevuto la sua noticina. Si fidi pure. È un uomo che per me andrebbe nel fuoco. La guardia che sorveglia la sua cella non è cattiva, ma dice tutto quello che avviene nel suo raggio. È dunque pericolosa. Non ci sono stanze a pagamento a pagarle un occhio. È inutile strepitare. Procuri di adattarsi. Sono momenti eccezionali. Il suo pranzo è andato per due giorni in qualche altra cella. Si consoli che lo avrà mangiato un povero diavolo. La confusione è inevitabile. C'è una media di settecento soccorsi al giorno. Si raccomandi alla madonna perchè non le capiti qualcosa di peggio. Va bene, va bene. Dia sempre retta ai miei suggerimenti. Io la so più lunga di lei e non lo dico per vantarmi. Lo dico perchè la mia esperienza è più lunga della sua. Ascolti attentamente. Un buon prigioniero deve essere sempre pronto a subire la perquisizione. Ravvolga i miei fogliolini nella carta incerata che le mando e appenda il sacchetto dove la camicia è più nascosta. In queste giornate di sorprese è una precauzione necessaria.
Sugli arrestati di maggio non posso giovarle molto, perchè una volta registrati noi non abbiamo più alcuna comunicazione con loro.
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