Gli Uomini Rossi. Beltramelli Antonio

Gli Uomini Rossi - Beltramelli Antonio


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chinò di nuovo il capo sul suo lavoro.

      Il Cavalier Mostardo, per nulla sconcertato, dondolandosi sempre su la persona, sorrise.

      Scorse breve tempo durante il quale il direttore de l'Aristogitone, cercò riordinar le idee; ma, sotto l'insistenza dello sguardo del Cavaliere, fu costretto inconsciamente a rialzare gli occhi.

      — Ebbene lo fai tu l'articolo di fondo? — gridò a l'imperturbabile compagno.

      — Volentieri — rispose il Cavaliere con le sue più gentili inflessioni di voce — ma non so scrivere.

      — Allora lasciami lavorare, fammi questo regalo!

      — Non vuoi ascoltarmi?

      — Non ho tempo ora! Intendi o no?

      Altra sosta, altro tentativo di lavoro. Il Popolini aveva ripreso l'aire, ma stentando, interrompendosi a tratti, faticosamente, quasi distillasse le parole ad una ad una, dal pensiero ribelle.

      Mostardo lo lasciò fare per un po', poi, per la terza volta, con calma indisturbata riprese:

      — Io ho un'amante!

      Popolini lanciò la penna sul muro, posò con forza le braccia sul tavolo e aprì gli occhi oscuri ed inquieti sul volto del pacifico amico.

      — Bravo! — disse il Cavalier Mostardo — ascolta adunque!

      Ermelinda è una ragazza onesta, vuol bene a me e basta! Tu non ne vuoi sentir parlare ed hai torto perchè, per mezzo suo, sono sulle traccie di un mistero!

      — E quale? — esclamò Ardito.

      — Ascolta. Don Papera abita il secondo piano della casa di Ermelinda e Don Papera è un prete che ha paura del diavolo e degli spiriti. Susanna mi raccontava che la notte dorme col capo sotto alle lenzuola e non ispegne il lume. Susanna è la sua cameriera: Lo sai? Sta bene.

      Io odio i preti per convinzione e per sentimento, se posso tormentarne qualcuno sono felice; il mio ideale sarebbe di porli tutti in fascio dentro un vascello e mandarli a colonizzare il polo.

      Ieri notte mi feci una pensatella graziosa. Mi dissi: Don Papera rientra alle undici, io lo aspetterò sulle scale per fargli paura. E lo aspettai.

      Nascosto nel vano di una porta, avevo messo la giacchetta al rovescio, e mi ero tirato il cappello sugli occhi. Quando Don Papera entrò, salì le scale e mi fu vicino, sugli ultimi scalini, uscii dal mio nascondiglio, afferrai il prete per una spalla e gli gridai: — Ed ora confessati! — Pietà, pietà! — rispose tremando, ed io: — Non ho tempo, spicciati! — Proprio come dicevi con me, poco fa. Sentivo che il povero diavolo veniva a mancarmi sotto alle mani, pareva diventasse sempre più piccolo; con un fil di voce rispose: — Io sono estraneo... io non ne ho colpa... è stato Monsignor Rutilante! — Malmissole! pensai, qui si tratta di cosa seria! — Ingrossata la voce ripresi: — Non è vero!... Bada la pagherai per tutti! — L'altro respirava come un mantice ed io pensavo: Ora mi muore ed è fatta! — Rispose ancora: — È stato Monsignor Rutilante d'accordo con la contessa.... non odio gli anarchici. — Poi sentii ch'era rimasto appeso al mio braccio, come fosse un cencio. Lo adagiai su due scalini e me ne venni via.

      Questa mattina Susanna mi ha detto che Don Papera è in letto con la febbre.

      Mostardo tacque e continuò ad arricciarsi i baffi. Ardito Popolini s'era fatto serio e pensoso.

      Disse quest'ultimo in tono grave:

      — È tutto vero ciò che mi hai raccontato?

      Mostarde fece un atto sdegnoso ed evasivo e non rispose.

      — Allora — riprese Popolini — conviene parlarne nel giornale.

      — Certamente.

      — E se aspettassimo prove più convincenti?

      — Bisogna agire subito! — rispose il Cavalier Mostardo.

      Ardito si strinse la fronte fra le mani, rimase in silenzio per qualche tempo, poi disse, scrollando il capo in atto risolutivo:

      — Hai ragione. È necessario compromettere i nostri nemici. Tacendo, lascieremmo loro tempo per riparare al mal fatto!

      Riprese la penna e vergò frettolosamente un articolerò di cronaca che lesse poi al Cavalier Mostardo.

      «Fra poco sul conto dei nostri nemici, manipolatori della virtù, ne avremo da raccontar delle belle.

      «Il pubblico giudicherà allora chi meriti più la sua stima: se noi, liberi pensatori, anime ribelli ma integramente sincere, o gli ipocriti seguaci della Chiesa.

      «Ciò che si promette, non sarà insinuazione maligna, ma verità documentata!»

      — Come va? — chiese Ardito a lettura finita.

      — Benone! — rispose il Cavalier Mostardo.

      — La mando in tipografia?

      — Certamente.

      — Mi assicuri l'esito dell'inchiesta che farai?

      — Sulla mia coscienza! — rispose il Cavaliere, e inarcò le ciglia come soleva fare allorquando Madonna Serietà lo invadeva co' suoi effimeri fuochi.

      E come decisero, fu fatto.

      Il Cavalier Mostardo chiese consiglio al suo cuor leonino ed entrò in lizza, giacchè egli considerava ogni atto della sua vita, come una fiera battaglia.

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