Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea. Bersezio Vittorio

Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - Bersezio Vittorio


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la sera, Atanasio drizzava la sua lunga persona: — era alto come un antico tamburo maggiore di reggimento, aveva spalle quadre da facchino di porto di mare, ma pure andava un po' curvo della persona e teneva sempre il capo chinato sul petto: — impugnava colla sua destra nodosa il bastone nodoso del pari; teneva colla sinistra la cordicella del cane, e picchiando per terra colla ghiera di ferro in cui terminava il bastone, s'avviava preceduto da Azor di due passi... Dove? Non lo sapeva neppur egli: sotto il capannuccio d'un pagliaio in qualche fattoria, sullo strame di qualche stalla, sotto il portone di qualche casa fuor di mano, al semplice riparo delle frondi d'un albero ne' giorni sereni della bella stagione.

      Chi era quell'uomo? Nessuno lo sapeva. Egli e il suo cane avevano un passato affatto sconosciuto al villaggio. Erano capitati colà da quattro o cinque anni, e ci avevano preso quel modo di vivere che ho detto, senza variazioni, con tanta uniformità, che gli abitanti ci si erano presto abituati e pareva loro chi sa da quanto tempo che li avessero nella loro terra.

      Da principio c'era stata pure una viva curiosità di saperne qualche cosa. Avevano appreso che l'uomo si chiamava Atanasio e il cane Azor. Dalle carte che il primo di questi due aveva in perfetta regola, le autorità municipali e il brigadiere dei Reali Carabinieri avevano imparato che egli era un antico operaio fonditore di metalli, nativo di un paese lontano lontano, che aveva perduta la vista in un terribile incendio avvenuto nella grande officina, che in sì funesta occasione egli aveva dimostrato un eroico valore, salvando dal fuoco delle vittime, e che da allora in poi erano passati dieci anni.

      Quel mendico, ora che lo presento ai lettori, non aveva più di nove lustri: ma a vederlo glie ne avreste dati più di dodici. Incapace d'ogni lavoro, s'era dato alla mendicità, fuggendo con sacro orrore dai ricoveri e dalle case di pia ospitalità, come dalle bòtte fuggiva il povero Azor. Di questo, poi, non si aveva il menomo documento che ne dicesse le condizioni civili, economiche, morali ed il passato.

      Il Sindaco era stato in forse per un po' di tempo, s'egli, da provvido e zelante amministratore, non dovesse, facendo uso della sua autorità, espellere dal suo Comune quel pezzente, a tiro sempre della legge di pubblica sicurezza, privo affatto di mezzi di sussistenza, e darlo in nota al Sotto-Prefetto, perchè lo denunziasse al Prefetto, il quale lo facesse tradurre, (stile burocratico), alla provincia, di cui era nativo. Ma quella provincia era tanto lontana! Ma quel pover uomo manifestava per ogni luogo rinchiuso tanta ripugnanza da preferire la morte. Ma in quel Comune non c'eran punti mendicanti, e uno per eccezione, non avrebbe fatto nè disdoro nè danno. Ma gli abitanti si erano contentati della presenza di quel gran cieco, e avevano preso l'abitudine di dargli pochi soldi e qualche scodella di minestra. Ma il cane era divenuto un sollazzo pei bambini dei suoi amministrati. Ma sotto la giubba, su cui cingeva solennemente la sua fascia sindacale, quel brav'uomo di capo del Comune aveva tanto di buon cuore. Tutti questi ma fecero che il cieco fu lasciato stare in santa pace.

      La curiosità aveva per un poco aspettato il misterioso mendicante al varco d'una ubbriacatura. Pareva impossibile, chi lo vedesse, che quell'omaccione non fosse un dilettante d'osteria e un intelligente, ghiotto consumatore di alcoolici; eppure quell'impossibile era la realtà. Atanasio non metteva mai piede nè da compar l'oste ne dall'amico zozzaio, e pareva anzi fuggire con vera ripulsione di dove sentisse odore di liquori. Quando gli si faceva invito a bere un bicchierino d'acquavite o di un mezzo litro di vino, egli batteva più forte per terra la ghiera di ferro del suo lungo bastone, allargava ancora di più il compasso delle sue gambaccie, sollecitava colla voce collerica Azor, e s'allontanava di fretta. Visto codesto, la curiosità rinunciò scoraggiata ad ogni ulteriore tentativo; d'altronde la storia di simil pezzente non pareva dover essere di tal natura da ispirare sforzi straordinari per apprenderla. Si rassegnarono tutti a non saper altrimenti chi fosse quel povero cieco, cui tutti conoscevano e trattavano famigliarmente.

      Chi avrebbe potuto narrarne tutta o quasi tutta la storia, era Azor: ma egli, da bravo cane fedele, taceva incorruttibilmente; e imparino da tali confidenti quelli che hanno segreti da custodire.

      Eppure quella storia, benchè d'un semplice operaio, era interessantissima; ed io, che l'ho risaputa dal parroco, al quale il cieco finì per confidarla morendo, ve la voglio raccontare brevemente e semplicemente.

       Indice

      Era una bella fonderia quella del signor Frangia. Un vasto fabbricato, ampie officine, immensi laboratorii, forni e macchine con tutta la perfezione delle invenzioni e dei progressi moderni. Vi erano occupati un centinaio e più di operai; tutto in essa camminava ordinato e regolato come le varie ruote di un orologio che vada bene, e ciò grazie all'attività, all'intelligenza, al coraggioso, instancabile zelo del primo figliuolo del proprietario, il signor Pietro.

      Questi, allora, contava circa trent'anni; era bello d'aspetto, franco e cordiale di maniere, abile a comandare e capace d'ubbidire, sollecito nelle risoluzioni come nelle parole, negli atti come nel pensiero. Aveva studiato un po' di tutto — quello almeno che è necessario a una persona colta, — anche di letteratura, molto di economia politica e delle ragioni commerciali e industriali. Sapeva di molte cose, e intorno alla sua professione tutto quello che poteva sapersi, e aveva il merito di non farne pompa, giovandosene soltanto a dar prova ne' suoi negozi di un'abilità inarrivabile. Comandava senza ruvidezza, senza superbia e senza debolezza; gli operai lo ubbidivano, ammirandolo anche senza volerlo. Avevano verso di lui una rispettosa famigliarità, come si ha con chi è della nostra sorta, ma è il primo di tutti. Niuna meraviglia perciò che il vecchio padre, ormai stanco dal lavoro e in bisogno di riposo, lasciasse a lui tutto il peso della direzione e dell'amministrazione, e che sotto la sua mano intelligente gli affari prosperassero come non si poteva desiderare di meglio.

      Il signor Pietro pareva ed era in realtà il più felice uomo della terra; uno di quelli a cui tutto riesce ciò che intraprendono; nè alcun segno intorno gli appariva che uomo vi fosse il quale, quella sua tanta ventura e i beni d'ogni fatta ond'era favorito, gli venisse invidiando.

      Eppure l'invidioso c'era, un invidioso che si nascondeva con molta circospezione, che avrebbe voluto nascondersi persino a sè medesimo, ma che era tanto più accanito; così che oramai la sua invidia era arrivata sino ai limiti dell'odio. E questo tale era l'operaio, in cui appunto il signor Pietro aveva maggior fiducia, che sembrava, e avrebbe dovuto essere maggiormente affezionato a lui e alla famiglia tutta dei Frangia, perchè aveva verso di questa e verso di Pietro innegabili segni di riconoscenza.

      Si chiamava Atanasio. Degli operai era il più abile, il più forte, il più coraggioso, il più diligente. Quando aveva da allontanarsi, Pietro confidava in lui perchè tenesse le sue veci; e la sua fiducia in nulla, mai non era delusa. La famiglia Frangia lo considerava poco meno che per uno di suo sangue. Ma egli aveva un carattere violento, passioni accese, e s'era impinzata la testa di perniciose letture in quei certi libri che, trattando della questione sociale, lusingano maladettamente le men nobili tendenze dei poveri con sofismi che la pretendono a pronunziati scientifici.

      Era figliuolo d'un antico operaio di quella medesima officina. Suo padre, quand'Atanasio era ancora nel seno materno, morì vittima d'un accidente. Una forma col metallo in fusione era scoppiata, e il poveretto ne aveva avuto orribil morte. Il padre di Pietro, impietosito al triste caso e alla condizione della povera vedova in procinto di diventar madre, prese quest'ultima in casa sua e le promise non l'avrebbe abbandonata mai più, avrebbe provvisto alla sorte del nascituro, qualunque si fosse, maschio o femmina. Aveva voluto il caso che in quel giorno medesimo nascesse al principale appunto un bambino, che fu quel Pietro di cui si è detto. Sei mesi dopo la nascita del figliuolo del principale e la morte di suo padre, venne al mondo il figliuolo dell'operaio. La sua cattiva stella non aveva ancora tutto esercitato il suo maligno influsso; chè la infelice madre, dopo aver tanto sofferto, essendogli morta essa pure, sopra parto, egli in fasce rimase orfano, solo al mondo e privo d'ogni sostegno, se non fosse stata la protezione del signor Frangia.

      Questi non venne meno alle sue promesse, e il bambino dell'operaio fu allevato in casa del principale insieme col figliuolo di quest'ultimo. Atanasio ebbe ancor egli precoce intelligenza e tale da non istare


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