Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea. Bersezio Vittorio

Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - Bersezio Vittorio


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moverne domanda se ne vergognava. Già di spiare le venute della fanciulla non era più il caso, e meno ancora quello di correre in traccia di lei col pretesto di cercar del principale. Il padre di Pietro aveva smesso del tutto ogni ingerenza nell'opificio; la direzione l'aveva il figliuolo, il quale era sempre lì e non s'allontanava d'un passo e non permetteva che nessuno s'indugiasse pure un momento nel suo ufficio, e quanto era buono e generoso verso gli zelanti operai, altrettanto era severo e implacabile verso i negligenti.

      Atanasio s'arrabbiava maledettamente. Fu peggio quando, in quelle corte scappate che poteva fare ad intervalli alla casa di Taddeo, gli parve accorgersi che Lucietta erasi d'assai mutata nel suo contegno. La non rideva quasi più; il giovane non sentiva più, arrivando, di mezzo agli alberi del bosco, l'allegra di lei canzone che gli annunciava la vicinanza della casa; parlava poco, ascoltava distratta, dava ad Atanasio la mano più freddamente di prima, trovava frequenti pretesti per ritirarsi nella sua cameretta e non lasciarsi veder più.

      “Voi non istate bene?” le chiese un giorno l'operaio.

      “Benissimo,” rispose ella: “perchè mi fate questa domanda?”

      Atanasio le disse del cambiamento che aveva notato in lei: Lucietta arrossì fino sulla fronte, non rispose parola e s'allontanò.

      Il nostro operaio ci pensò ben bene un giorno e una notte, e ancora un altro giorno; e la sera dipoi, in cui s'era procacciata un'ora di libertà, s'avviò verso la dimora di Taddeo con una gran risoluzione.

      Però non prese la scorciatoja, non allungò il passo delle sue lunghe gambe, e, quantunque fosse già tardi, andò su lentamente per la stradicciuola comune, fermandosi tratto tratto a meditare. Egli s'era deciso a svelar finalmente il suo segreto e chiedere Lucietta in isposa. Per quanto adagio camminasse, e' ci arrivò pure a quella benedetta casina bianca. Vi regnava un silenzio che gli parve di malaugurio; nessuno era di fuori, la porta socchiusa; una riga di luce rossigna, che filtrava dall'uscio in sull'aia già quasi ottenebrata dalla sera, indicava che nella stanza terrena eravi il fuoco od un lume acceso. Atanasio si accostò piano col cuore che gli palpitava, e per la fessura guardò dentro. Taddeo, seduto sopra il suo vecchio seggiolone di cuoio a bracciuoli, sonnecchiava innanzi al fuoco; sua moglie, accoccolata presso al camino, guardava per entro ad una pentola; Lucietta non c'era. Fra le gambe del Guardaboschi dormiva accovacciata la cagnetta di razza inqualificabile.

      Atanasio quasi rallegrossi di non vedere colà in quel momento la ragazza; avrebbe osato parlare più franco, non essendoci lei presente. Sospinse pian piano l'uscio ed entrò. La cagna fu sola ad accorgersi della venuta di qualcheduno; la si drizzò a sedere puntando le piote anteriori per terra, e cominciò ad abbaiare; ma visto subito che egli era l'amico di casa, si levò di tratto e gli mosse incontro scodinzolando.

      Taddeo si svegliò, la moglie si riscosse dalla sua contemplazione della pentola e si volse verso il nuovo venuto.

      “Ah, siete voi Atanasio?” diss'ella. “Da bravo! venite, sedete qui; mangiate un boccon di cena con noi.”

       Indice

      Atanasio s'inoltrò, sedette, ringraziò, e si pose a tormentare la cocca della sua tunica, come se da essa volesse far venir fuori le parole del discorso.

      “Bel tempo d'autunno!” disse Taddeo.

      “Bel tempo!” rispose Atanasio, guardando il fuoco.

      “Fatto apposta per andare a caccia.”

      “Già!”

      “Guardate: se ci aveste un giorno di libero, che poteste venir meco di buon mattino con un bravo schioppo, sì che vi menerei io in certi luoghi dove i tordi vi parrebbe che fioccassero.”

      Atanasio mandò un sospiro.

      “Ma io non ho di giorni liberi.”

      Guardò intorno, come se cercasse di qualche cosa.

      “E.... e la vostra Lucietta?” finì per dire.

      Fu la madre di lei che rispose:

      “È giù al villaggio, in casa dei padroni.”

      Il giovane fece un sobbalzo sulla seggiola di legno su cui era seduto.

      “Dei padroni?” ripetè, come se dubitasse di non aver capito bene.

      “Sì, dei signori Frangia.... Sono tanto buoni! La signora vuole alla mia figliuola un bene da non si dire, e la desidera frequentemente con sè.”

      “Ma gli è già tardi,” interruppe Atanasio cui l'appresa notizia stese un velo di tristezza sul volto; “e come farà a venirsene su la Lucietta?”

      “Per questa sera la non ci vien mica.”

      “No?”

      “È già da due giorni colà, e vi rimane ancora una settimana. La Signora ha insistito tanto, che abbiamo dovuto acconsentire a lasciargliela per un po' di tempo.”

      Atanasio sorse in piedi tutto turbato; voleva sgridare, rampognare, ma ebbe ancora tanto buon senso e tanta padronanza di sè da tacere. Con che diritto poteva egli far rimproveri ed anche semplici osservazioni? Che cosa era egli per quella gente, per quella ragazza? I Frangia erano i protettori di quella famiglia; v'era forse alcun male che la Signora tenesse presso di sè la giovane che aveva fatto educare, a' cui bisogni, in varia forma era venuta sovvenendo? L'operaio non disse adunque nulla; ma sentì la sua anima diventar buia come una notte senza stelle, e a un tratto gli andarono via il coraggio e la voglia di fare la sua dichiarazione. Trovò un pretesto per rifiutare la cena, e partissene subito, e ridiscese il poggio coll'inferno nel cuore.

      Si era fatto notte interamente. Di gran nuvoloni s'aggiravano in cielo, e fra loro splendeva con un limpido chiarore la luna quasi piena, nascosta di quando in quando da qualcuno di essi che le passava dinanzi. Atanasio camminava senza saper ben preciso in qual direzione; ma le gambe lo portarono alla fonderia, e precisamente da quella parte dove era la casa dei proprietari.

      Era una casa non molto alta, ma piuttosto vasta, che formava tre lati d'un quadrilatero, spingendone due verso le officine che stavano in fondo al cortile, le quali, dopo un intervallo di una ventina di metri, chiudevano il quadrato, allungandosi però dall'una e dall'altra parte in una linea più estesa. Dinanzi alla facciata della casa, che guardava sopra la strada, si stendeva una terrazza, lunga poco meno della facciata medesima, alta un metro dal suolo, sulla quale dal salotto e dalle altre stanze del pian terreno davano adito delle alte porte-finestre.

      Atanasio venne da quella parte, passò lentamente innanzi a quella facciata, con lo sguardo fisso nel chiarore che usciva da que' cristalli.

      La luna in quel momento batteva di pieno sul terrazzo; l'operaio ci vide l'ombra d'un uomo che andava e veniva; poi quell'uomo si fermò, si appoggiò coi gomiti alla ringhiera e la luna ne illuminò completamente la faccia ch'ei volse in su: era Pietro Frangia che fumava un sigaro a quella brezza notturna. Atanasio si voltò per allontanarsi, ma il suo principale l'aveva visto.

      “Olà! Ehi!... se non m'inganno, tu se' Atanasio:” gli gridò. “Alto, Atanasio!”

      Questi, benchè a malincuore, dovette fermarsi.

      “Buona sera, sor Pietro, sono appunto io.”

      “Vieni qua. Dove vai girando? Le serate incominciano ad esser freddine.”

      “Non mi pare:” rispose Atanasio, che in verità non sapeva bene che si dicesse, tutto preso da un nuovo e molesto impaccio in presenza al suo giovane padrone. “A me piace il fresco.... Ho il sangue acceso addosso.”

      “Eh! lo capisco. Il fuoco della fucina!... Ma io pure ho una smania questa sera.... To'! mi arrivi proprio a tempo. Ho bisogno di prender aria e di far moto; e ho bisogno d'un confidente. Tu mi accompagnerai a passeggiare; e qual confidente migliore posso io avere di


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