Fuochi di bivacco. Alfredo Oriani

Fuochi di bivacco - Alfredo Oriani


Скачать книгу
ma piuttosto per l'ammirazione degli increduli che per la passione dei fedeli: la Chiesa arma un nuovo partito politico, che ridiscende alla conquista della storia.

      Auguriamoci dunque imminenti battaglie, perchè solo dall'angoscia dei conflitti e dal sangue, necessario a tutte le vittorie, può risorgere il fiore della vita nella luce trionfale di un altro mattino.

      16 febbraio 1902.

       Indice

      Perchè dire qui il nome della città, mentre questa si prepara a festeggiare la sua consacrazione sotto l'incendio del sole e fra le canzoni, che salgono dai campi col fruscio degli strami falciati?

      Straniero nella città, più straniero alla festa, la mia parola suonerebbe stridula agli orecchi della moltitudine, che un'eco della antica poesia religiosa risolleva, senza che la pietà delle anime risenta davvero la tragedia del dolore, per la quale lo spirito del Santo diventò così grande e così puro. Il convento è poco lungi dalle mura, fra orti e campi pieni di murmuri e di ombre: è un convento di cappuccini senza antichità di tradizione, nè gloria di arte, nè virtù di miracoli: piccolo, povero, lindo, tacito, si nasconde quasi in un abbassamento del terreno, con un portico dinanzi alla chiesa, un canale davanti al portico, pel quale passa lentamente un'acqua muta e torbida fra due orli di erba polverosa. Nel pomeriggio e di notte gli amanti errano lungo lo stretto viale, che mena al convento, ascoltando tratto tratto le sillabe misteriose del canale, mentre s'increspa nello sforzo di passare sotto i ponti bassi e frequenti: al mattino, sotto il sorriso vivido o nubiloso dell'alba, le donne devote si affrettano pel medesimo viale al convento per ricominciare la vita di ogni giorno con una preghiera più meritoria, perchè qualche cosa è rimasto di divino in quella piccola chiesa, nel suo silenzio. nella sua povertà, che una nuova lindura non potè ancora falsare. Dalle pareti, statue mezzane di santi cappuccini pregano, colla faccia estatica, immobili in un gran gesto di passione: e la vernice ha loro rifatta quasi la tonaca, e sono calvi, lucidi, ingenui, puliti: ma l'ombra della chiesa ridà loro una incertezza di poesia come in un mistero di lontananza. Il convento ha un cortile ed un pozzo di acqua celebre, derivata soltanto dal canale e filtrata: l'orto non si vede, ma deve sorridere di fiori, perchè un profumo vaga nell'aria e dal muro di cinta ondeggiano rami verdi, accennanti nel vento.

      La rivoluzione chiuse il convento nel 1866, poi qualcuno, qualche cosa lo riaperse ad una prosperità guardinga, dandogli come un'apparenza di parrocchia suburbana, con una decenza borghese negli intonachi, con una festosità misurata nei giorni sacri.

      Adesso il padre guardiano, bella testa grigia, forte e pensosa, sotto il portico, nell'angolo destro, ha fatto costrurre una grotta per Sant'Antonio, il soave eremita, che dopo San Francesco è la gloria più popolare dell'ordine.

      Ahimè! La grotta pare un'opera di giardinaggio e meriterebbe una delle solite ninfe, che la poesia dei droghieri arricchiti suscita nei giardini per castigare la bellezza dei fiori così tristamente prigionieri nelle aiuole segnate di tegoli rossi e turchini: è più piccola di una stanza, ha dinanzi una cancellata, dentro una tappezzeria di sassi, un pavimento di sabbia, un santo che sembra un efebo, un Gesù bambino tagliato nello zucchero. Perchè?

      È difficile trovare la risposta. Da gran tempo l'agiografia femminizzò tutti i santi, togliendo loro col carattere sacro anche quello umano per tutta la varietà dei tipi scolpiti già nella vita e nell'arte dalla passione del divino.

      Nessuno si è salvato, neppure quelli che la crudezza della penitenza aveva quasi resi selvatici, o la luminosa grandiosità del pensiero mutati in astri spirituali. Un languore giovanile, una morbidezza malata passò nella agiografia, che, più a contatto col popolo, avrebbe dovuto, per parlargli, serbare più viva la verità dell'accento e più sicura la sincerità della forma: non vi furono più santi poveri o vecchi, colle stigmate della miseria, col marchio dei morbi. Il loro abito parve tagliato da mani femminili con irresistibili ed inconsapevoli intenzioni di civetteria; la loro capellatura, anche se rada, si arricciò sotto il ferro di un barbiere misterioso; il loro volto si arrotondò in una grazia di mela colle guance brinate, la bocca piccola chiusa come un bocciolo; le dita si affusolarono, l'occhio non ebbe più lagrime o le ebbe soltanto come le orecchie delle donne hanno le perle: un lusso di cattivo gusto. Scomparvero le epoche e con esse i costumi della agiografia; tutti i santi furono contemporanei e coetanei; da San Giuseppe a Sant'Antonio la paternità spirituale non fu più espressa che dai quindici anni: un giovinetto che tiene in braccio un bambino, e quasi sempre la faccia del bambino è più virile che quella del giovinetto. Ma questo ripetendo attraverso i secoli la bellezza dell'efebo greco, non ne ebbe nemmeno la sincerità intenzionale, nella stessa incertezza del tipo: e invece parve voler essere soltanto donna senza la purità davvero superiore della vergine e la forza dolce della madre.

      Così l'agiografia inventò un terzo sesso nei santi, che affidava all'anima popolare come un nuovo germe d'ideale per la vita e per l'arte, prima che qualcuno potesse arrestarla sulla falsa via o intenderne almeno il perchè. Invece il popolo accettò. E adesso nelle carte, sugli altari, nelle vetrine, nelle cornici, ovunque la pietà ha bisogno di inginocchiarsi e il dolore di chiedere, non appaiono che figure giovanili, rosee, lucenti, tese o curve sopra un bambino appetitoso quanto un candito, nudo come in una provocazione, dentro un nimbo di luce falsa, tra fiori stilizzati, al centro d'una grotta preparata come un gabinetto, nella quale i sassi sono una decorazione e la miseria un motivo di eleganza.

      Sant'Antonio fu un poeta della parola e della solitudine: visse poco, pensò, agì, sofferse in sè e per gli altri, mescolato alla politica, guardando dall'alto e scendendo eroicamente a tutte le profondità della miseria e del dolore. Il popolo, che ha l'istinto infallibile, lo amò, lo divinizzò, e a Padova scoppiò in una ribellione per avere il suo cadavere, perchè sentiva di avergli appartenuto nell'anima. Che importava se il Santo era spagnuolo e doveva comporre con San Domenico e con Sant'Ignazio forse la triade più originale della storia? Il vincitore degli Albigesi aveva l'impeto dei torrenti, che devastano per fecondare; il fondatore dei gesuiti fece della parola l'arma più sottile ed armò il silenzio di pensiero. Sant'Antonio, invece, era l'oratore delle piazze e dei campi, che parlava collo stesso accento alle donne e alle rondini, che amava la bellezza nella natura e il dolore nello spirito, perchè il dolore è la sola luce rivelatrice della vita. Era semplice, rude, povero, un artista che ignorava l'arte, un santo che non sapeva d'esserlo, un grand'uomo, che si faceva piccolo appunto perchè apparteneva a tutti. San Francesco è l'ode, Sant'Antonio la canzonetta: quegli trova il motivo, questi lo diffonde: l'uno crea, l'altro propaga. Per il popolo San Francesco è forse troppo alto, mentre Sant'Antonio è un confidente, al quale si può tutto raccomandare, dai bovi ai bambini, e tutto chiedere, dalla pioggia che risana i campi, al vino che ristora i corpi.

      La sua immagine protegge le stalle, vigila i boschi, è al crocicchio delle strade, pende sul letto dei poveri, che non lo riconosceranno più in quel giovinetto così grassoccio, senza una riga di pensiero sulla fronte, una ruga di spasimo nel sorriso, con quella tonaca troppo lucida, con quelle mani da ozioso, affusolate, rosee, vanitose.

      Ma le donne invece colla morbosità di una devozione fatta di raffinatezze, s'inteneriranno a vederlo così ben pettinato e così simile ai fanciulli, che esse addobbano per il lusso della loro maternità, perchè la devozione moderna è un lusso di delicatezze esteriori, un piacere di riti eleganti, un'abitudine di speranze, che continuano i piaceri della vita invece di contraddirla.

      L'arte religiosa tace da gran tempo.

      Non si sanno più costrurre nuove chiese e, costruendole, si storpiano gli antichi modelli: si decora, non si crea, si restaura e non s'innova. Leone XIII bandì un concorso per una Sacra Famiglia, che nessuno vinse; un altro, aperto a Torino per una testa di Gesù, parve un convegno di ritratti, nel quale invano si sarebbe cercato un originale davvero umano: e Gesù è tutto l'uomo.

      Invece anche a lui, nelle immagini del Sacro Cuore, toccò la sorte degli altri santi: non fu più nè Dio nè uomo, nè maschio nè femmina: la capellatura bipartita sulla fronte gli scese femminilmente sulle spalle; la barbetta bipartita sul mento gli si aperse per mostrare la soavità adonica del collo; la sua fronte rimase senza pensiero,


Скачать книгу