Guida per la costituzione e per l'impianto di latterie sociali cooperative. Carlo Besana

Guida per la costituzione e per l'impianto di latterie sociali cooperative - Carlo Besana


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per formaggi svizzeri ivi » 56 — Lira 120 » 57 — Rotella di legno ivi » 58 — Fascere di legno ivi » 59 — Torchio metallico 121 » 60 — Torchio metallico doppio 121 » 61 — Forme cilindriche bucherate di lamiera stagnata 122 » 62 — Torchio a leva sistema svizzero 123 » 63 — Frangicagliata 124 » 64 — Spazzolone di crine vegetale ivi » 65 — Sonda o trivella ivi » 66 e 67 — Spazzole 126 » 68 — Poppatoio per vitelli ivi » 69 — Malserini 127 » 70 — Oliatore ivi » 71 — Scaloni o scalere ivi

       Indice

      Sappiate, o cortesi lettori, che, come tutte le cose di questo mondo, anche le latterie sociali si dividono in grandi, piccole e mezzane[1].

      Chiamo grandi le latterie che dispongono di oltre 50 quintali di latte al giorno e vanno sino ai 200 e più quintali; i soci possedono una bergamina, o piccola o grande, e sono o proprietari di fondi, oppure fittabili. Queste grandi latterie si vedono nella bassa Lombardia, dove esistono latifondi, con coltura intensiva foraggera e dove il latte è il profitto principale dell'azienda agraria. L'ambiente in cui si svolgono offre tutte le risorse dell'odierna civiltà; esse vi trovano uomini e istituzioni, capitali e credito, strade e rapidi mezzi di trasporto, consumatori numerosi sul luogo e commercianti pronti ad esportare la produzione loro. Insomma le grandi latterie sono fortunate; la loro costituzione ed il loro impianto si fanno speditamente; l'esempio di una si propaga rapidamente da comune a comune, da provincia a provincia; la loro forma è prettamente cooperativa.

      All'impianto di taluna di esse ho avuto il piacere di portare anch'io più di un granello di sabbia. Ed ora intendo che quel granello di sabbia, che è questo scritto, sia dedicato alle piccole latterie sociali e vorrei che insieme a molti altri granelli provenienti da altre parti, formasse macigno e giovasse ad istituire nuove latterie, precisamente in quelle località e fra quella classe di umili per i quali la latteria cooperativa non è soltanto industria del latte, ma è mezzo di rigenerazione morale e materiale.

      Per piccole latterie intendo quelle che raccolgono da tre a cinque quintali, o poco più, di latte al giorno e constano di molti soci, che sono piccoli proprietari oppure contadini, provveduti di qualche vaccherella. Queste latterie si contano a centinaia anche in Italia ed hanno fatto un mondo di bene; si trovano nelle prealpi; ma c'è posto per molte altre ancora nelle Alpi, e poi c'è l'Appennino che è quasi tutto da coltivare in fatto di latterie sociali, e c'è la Sardegna che non ne ha affatto.

      Alle latterie grandi dirò che per prosperare hanno bisogno di centinaia di mille lire e di molta concordia; alle latterie piccole dirò quello che ora sto per scrivere; in quanto alle latterie mezzane dirò nulla, perchè, siccome stanno di posto tra il molto e il poco, provvederà loro la perspicacia dell'amico lettore.

       Indice

      Andiamo a visitare un villaggio abitato da piccoli proprietari che hanno qualche vacca da latte, ma non possedono la latteria sociale. Ivi vedremo in funzione il caseificio domestico.

      La cucina della famiglia è anche la cucina del caseificio. La caldaia del formaggio è quella che serve anche per la polenta o pel bucato. I minuscoli formaggi preparati si vedono sparsi dappertutto, in cucina, in camera da letto, persino sotto il letto. Le bacinelle che contengono il latte in affioramento sono vasi di ogni forma e composizione; si vedono in cucina sopra una panca, o sopra una sedia ed anche per terra, a disposizione dei bimbi, del fedele cane, del gatto di casa e dei suoi amici.

      Ci vogliono alcuni giorni per radunare tanto latte da poter fare una lavorazione, cioè poter raccogliere una certa quantità di panna da far burro e adoperare il latte spannato a fare formaggio magro. Ma intanto il latte in riposo diventa acido e talora si rappiglia; la panna che fornisce, sbattuta in quella zangola imperfetta che è la zangola a pistone, dà un burro infelice, inzuppato di latticello che, messo a friggere in padella, scoppietta maledettamente.

      Il formaggio, tirato fuori alla meglio dalla caldaia, stenta a stare insieme; bistrattato nella sua fabbricazione e poscia durante la stagionatura, diventa trastullo dei topi quando non è preda di vermi[2].

      Chi si occupa della lavorazione del latte nel caseificio domestico è di solito la massaia; le sue mansioni cominciano colla nutrizione delle vacche e vanno sino alla vendita dei latticini.

      La sua arte casearia è basata semplicemente sulla massima: «così faceva mio padre». E del resto, sopraffatta dalle molte faccende domestiche, non potrebbe fare di più e meglio.

      Se quel burro che essa prepara vien messo in mercato, è dispregiatissimo, perchè acido, non lavato, non spurgato, carico di latticello. E quando si tratta di vendere la collezione dei formaggi, il compratore osserva che non ve ne sono due di egual forma e di egual cera, trova che l'uno è troppo piccolo, che l'altro è troppo alto, che questo è tarlato, che quell'altro è marcio e che quasi tutti sono deformi, guasti, o prossimi ad andare in malora. In conclusione, bisogna venderli per un prezzo meschinissimo, altrimenti vanno a finire sul letamaio.

      Però molte famiglie non vendono i prodotti del loro caseificio minuscolo e primitivo; dal latte quotidiano delle loro vacche prelevano quello che serve pel consumo diretto della famiglia, e col resto fanno burro e formaggio da consumarsi in casa, comunque sia. Di conti non se ne fanno, e quando non bastano il burro ed il formaggio prodotto in casa, si comperano fuori se vi sono i quattrini


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