Alla finestra. Enrico Castelnuovo

Alla finestra - Enrico Castelnuovo


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tese scendevano fino all'altezza dell'anca, facendo un leggiero angolo acuto col busto, e le mani aperte a ventaglio parevano preoccupate sovra ogni cosa di persuadere il mondo ch'esse avevano il numero giusto di dita, tanto un dito era discosto dall'altro. Ad aggiunger grazia all'insieme contribuiva il fondo che figurava un giardino. — Giacchè debbo viver sempre tra quattro muri, voglio stare almeno all'aperto in ritratto — aveva detto il giovine al fotografo, e questi, per compiacerlo, lo aveva addossato ad un paravento su cui erano dipinte due magnifiche palme.

      La Gegia ch'era artista per istinto avrà notato senza dubbio queste stravaganze, ma non volle contristare con le sue critiche il buon Carletto, e lo ringraziò molto della sua premura. Senonchè, mentr'ella parlava, non potè a meno di osservare nel suo interlocutore un certo che d'impacciato, una preoccupazione non naturale, una singolare inquietudine dello sguardo. Parve ch'egli stesso trovasse necessario di giustificarsene, perchè, quando i suoi occhi s'incontrarono in quelli della Gegia egli divenne rosso e balbettò: — Guardavo quei fiori lì sul tavolino.

      La ragazza ben s'accorse non esser questa se non una scusa; tuttavia volle accettarla per buona, stese il braccio a prendere i fiori ch'erano ancora sciolti e se li pose in grembo.

      — Oh la bella rosa — esclamò Carletto. — Verrebbe voglia di odorarla.... E questo gelsomino!...

      — Oh il gelsomino è facile; cinque pezzettini di carta bianca, guardi il garofano piuttosto.

      — Ma davvero! Com'è brava!

      — È affar di pratica.

      — Che lavoro c'è! Almeno glielo compenseranno bene.

      La Gegia sorrise e disse: — Sa per chi preparo questo mazzolino?

      — No in verità. Come potrei saperlo?

      — Ebbene, spero che la sua mamma non avrà difficoltà ad accettarlo.

      — La mia mamma? — esclamò Carletto.

      — Sì — soggiunse la Gegia con accento commosso — da quando ho sentito che discorrono qualche volta di me con la sua mamma, m'è venuta l'idea di regalare a quella povera vecchia un lavoro mio.... Non ci vedremo mai; ella non si muove più di casa, io non mi muovo di questa camera, ma almeno.... io che sono la più giovine.... io che se fossi sana dovrei andarla a trovare.... pregherò questi fiori di far le mie veci.

      Mentre diceva così, annodava rapidamente il mazzolino con un sottile filo di ferro, e con la manica del vestito si asciugava due grosse lagrime che le colavano giù per le gote.

      — Oh Gegia, com'è buona! com'è gentile! — disse Carletto, volendo prenderle la mano.

      Ella si schermì con uno di quegli atti istintivi della donna che nega per consentire, e con un movimento un po' brusco della persona lasciò scivolare la coperta che teneva sulle gambe.

      — Oh perdoni — disse il giovine. E raccolse la coperta da terra e gliela stese addosso amorevolmente. Pur non potè a meno di avvertire, meglio che non avesse fatto sino allora, la sproporzione del corpicino di lei; onde le parole gli morirono sulle labbra e restò lì imbarazzato, confuso.

      — Dunque li accetta questi fiori perla sua mamma? — ripetè la povera Gegia macchinalmente, tendendogli il mazzolino e senza osar nemmeno di guardarlo in viso.

      — Oh se l'accetto! Sì, con tutta la gratitudine — egli rispose prendendoglielo dalla mano, che questa volta, egli strinse davvero nella sua.

      — Vada via adesso — ella replicò tenendo il capo voltato verso la finestra e accennando con la mano che le restava libera. — Vada via, potrebbe venire la zia Marianna.

      Egli esitò ancora un istante; poi disse: — Grazie ancora una volta, Gegia, e a rivederci. — E se ne andò.

      Oh se la Gegia fosse stata una ragazza come tutte le altre, certo egli non le avrebbe ubbidito così presto!

      Appena egli ebbe chiusa la porta, la giovine appoggiò i gomiti al tavolino, nascose il viso fra le palme e ruppe in un pianto dirotto.

      Il pingue gatto soriano ch'era in cucina e durante questo colloquio aveva cacciato più volte il muso attraverso lo spiraglio dell'uscio e s'era sempre tirato indietro alla vista di un estranio, ora si avanzò adagio adagio sulle sue zampe vellutate, venne fino alla Gegia, si fermò un momento a guardarla; poi le saltò sulle ginocchia.

      — Povera bestia! — esclamò la Gegia. — Povera bestia! — E lo accarezzò con una tenerezza assai maggiore dell'ordinario, tantochè il micio non si mosse di là, finchè la zia Marianna non venne in persona a prenderselo.

      In quel giorno la Gegia aveva capito due cose: ch'ella amava Carletto, e che non avrebbe mai potuto essere amata come sono amate le altre donne.

      Carletto le aveva detto — A rivederci — ma c'era da scommettere ch'egli non aveva in animo di tornarla a visitare; certo egli intendeva dire soltanto che si sarebbero riveduti dalla finestra.

      Dalla finestra egli le porse infatti i ringraziamenti di sua madre pel dono dei fiori, ma non le fece altre visite, ed ella non cantò più; nè egli le chiese perchè non cantasse. Capiva forse di essere andato troppo avanti e non gli pareva onesto di lusingare la passione ch'egli aveva creduto scoprire nella Gegia. Così il primo colloquio intimo che i due giovani avevano avuto era stato anche l'ultimo, e il primo scambio di cortesie successo tra loro aveva contribuito a rallentare anzichè a stringere le loro relazioni.

      Poi sopraggiunse l'inverno coi suoi freddi, le sue nevi, le sue pioggie, e Carletto e la Gegia non si videro per più mesi che attraverso i vetri.

       Indice

      Quando venne la buona stagione e le due finestre tornarono ad essere aperte, la Gegia notò che Carletto era immensamente deperito. E invero egli aveva una tosse ostinata.

      — L'inverno mi fa sempre male — egli disse alla sua vicina — e non istò ancora perfettamente.

      — Non vuol curarsi.

      — Ho preso tanti pasticci, più che altro per far piacere alla mamma.... Ma il meglio sarà ch'io resti in casa un paio di giorni.... Ne ho chiesto licenza all'avvocato.

      La Gegia sentì una trafittura al cuore. Le parve che una voce le dicesse ch'ella non avrebbe più rivisto Carletto.

      — E quali giorni ha scelto per istare a casa? — ella domandò.

      — Comincierò domani ch'è domenica; spero così martedì o mercoledì al più tardi di rimettermi al lavoro.... A ogni modo, senta, se per mercoledì non vengo allo studio farò di tutto per passare un momento da lei.

      Era, dopo la visita dell'anno addietro, la prima volta ch'egli si proponeva di venirla a trovare a casa.

      — Oh signor Carletto, è troppo buono — ella disse — non vorrei che queste cattive scale l'affaticassero.

      — Non si dia pensiero, le farò adagio.... Se sapesse quante volte la mamma mi ha detto ch'io ho mancato con lei.

      — Con me! — sclamò la ragazza arrossendo. — O come mai?

      — Sì; perchè non son venuto di persona a ringraziarla dei fiori.

      — Lo sa che non deve far complimenti.... Verrà quando potrà.

      Il mercoledì la Gegia passò una giornata agitatissima. Era forse tornato a brillare un raggio di speranza nel suo povero cuore? Pensava ella davvero a un ricambio della sua infelice passione? O piuttosto la sua inquietudine era dovuta soltanto al timore che la malattia di Carletto fosse più grave di quello ch'egli non credeva o non fingeva di credere, tantochè egli non fosse in grado d'uscir di casa nè quel giorno nè il giorno appresso, nè mai forse, mai più?

      Se il pensiero che angustiava la sventurata


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