Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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che la mia amica se l’era messo e lo portava. Glielo strappai di dosso… Non volevo che il mantello di Norina finisse a quel modo… Preferii darlo al bigatt, perché lo vendesse».

      «Non c’è altro?».

      «No».

      «Perché sei venuto a dirmelo?».

      «Perché non è stato il vecchio a strangolarla. E io voglio che voi troviate chi l’ha ammazzata».

      «Va bene. Se non sai altro, puoi andartene».

      L’uomo si alzò e uscì lentamente.

      Dunque, era stato così! Il Panzeri aveva veduto realmente il mantello nelle mani del bigatt e, partendo da quell’indizio, aveva inventato la storia del cappello e tutto il resto. Era chiaro; ma non gli rivelava gran cosa. Che il bigatt fosse innocente, lo sapeva. Sani venne a dirgli che era giunto l’autista del senatore.

      «Sono le due».

      «Va bene. Fallo venire».

      Entrò quel giovane, che gli aveva aperto la porta di casa Magni, la seconda volta che vi si era recato. Ma, dimessa l’uniforme verde bottiglia, si presentava adesso come un giovanottello dall’eleganza facile e pretenziosa, qualcosa tra il garzone di barbiere e l’operaio.

      «Sono venuto senza che nessuno lo sappia…» disse, avanzando con disinvoltura fino al tavolo del commissario. «Secondo quel che m’ha fatto raccomandare lei…».

      «Siedi».

      Sedette.

      «Tu guidavi sempre, quando il senatore usciva in auto?».

      «Sempre. Il padrone sapeva guidare; ma non lo faceva che qualche rara volta e soltanto in campagna. E anche allora io lo accompagnavo».

      «Dunque, sei in grado di dirmi dove andava?».

      Il giovanotto sorrise.

      «Sono tre anni che sto in casa del senatore. Come vuole che ricordi tutti i luoghi dove siamo andati?».

      «Non fare lo sciocco! Non t’ho chiesto tutti i luoghi. Ti farò domande precise».

      La voce di De Vincenzi suonava aspra. L’autista si fece serio di colpo e accennò di sì col capo.

      «Risponderò come posso».

      «Nessuno ti chiede di più. E tu sei obbligato a farlo».

      Voleva che capisse che, tra loro non si era stabilita alcuna complicità. Il sorriso fatuo con cui il giovanottello aveva detto di essere venuto all’insaputa di tutti gli era dispiaciuto, come un principio di familiarità.

      Il giovanotto cominciò a sentirsi a disagio e si agitò sulla sedia.

      «Il senatore usciva di casa tutte le sere o quasi. Prendeva sempre l’auto?».

      «Qualche volta».

      «E dove andava?».

      «Se prendeva la macchina, a teatro o in qualche ristorante dei dintorni e della periferia».

      «Al Sempioncino?».

      «Quasi mai. Preferiva Monza… Qualche volta più lontano…».

      «Solo?».

      Il giovane esitò. Doveva essere stato pagato per tacere e si domandava se dovesse continuare a farlo, anche adesso che colui che pagava era morto.

      «Devi rispondere. Pensa che ci sono di mezzo due cadaveri».

      «Quando andava nei ristoranti o negli alberghi, non era mai solo».

      «Sempre la stessa?».

      «Raramente era la stessa signora».

      «Donne d’occasione?».

      «Sì… mi pare… ma non del genere che può credere lei».

      «Non cercar di capire quel che credo io. Dimmi ciò che sai…».

      «Gliel’ho detto. Non erano cocottes».

      «Va bene. Dunque, tu dici che cambiava. Ma una ne aveva, che non cambiasse? Che fosse realmente la sua amante?».

      «Non di sera».

      «Quando?».

      «Nel pomeriggio. Dalle tre alle sei. In quei giorni, si faceva condurre prima all’ospedale, ma ne usciva subito».

      «Dove lo conducevi?».

      «Aveva un appartamento… una garzoniera…».

      «Dammi l’indirizzo».

      «Vicino al Parco… in via Abbondio San Giorgio…».

      «Numero?».

      «18, al pianterreno».

      «E in quell’appartamento, sempre la stessa… signora?».

      «Sì. In questi ultimi tempi. Prima, tante».

      «Tre mesi? Quattro mesi?».

      «Forse, sei mesi. Cominciò in ottobre, mi pare».

      «Come puoi esser sicuro che fosse sempre lei?».

      «Andavo io a ricondurla con l’auto, a casa sua. Scendeva nei dintorni, naturalmente».

      «Dove?».

      «Dove lei abitasse, non so. Scendeva in piazzale Tonoli e la vedevo prendere il viale dei Mille».

      De Vincenzi trasalì. Una strana agitazione si era impadronita di lui. Sentiva di avvicinarsi al punto cruciale. Anche per non rivelare quel suo orgasmo, s’era fatto rude. Gli dispiaceva frugare a quel modo nella vita intima del morto. Eppure non poteva farne a meno.

      «Sai chi era?».

      «No!» rispose il giovanotto con troppa precipitazione e il commissario non insisté, per quanto fosse sicuro che sapeva.

      «Non importa. Non è questo che conta. E, quando si recava a questi appuntamenti, il senatore prendeva qualche precauzione? Ti sei mai accorto che temesse d’essere seguito?».

      «Non credo. Soltanto mi aveva ordinato di far sempre la circonvallazione, quando andavo al piazzale Tonoli da via Abbondio San Giorgio. Un giro interminabile».

      «E lui, intanto?».

      «Qualche volta se ne andava a piedi o prendeva il tassi. Qualche altra, tornavo io a prenderlo con la macchina».

      «Le chiavi dell’appartamento?».

      «La portinaia. Né lui, né la signora le avevano».

      «E prima… prima di sei mesi fa, la signora era sempre la stessa?».

      «Per un certo tempo. Poi cambiava. Ne ha avute anche due nello stesso periodo. Naturalmente, in giorni diversi».

      Quei particolari facevano aumentare sempre più in De Vincenzi il senso d’imbarazzo, quasi di vergogna che lo aveva invaso.

      Tagliò.

      «Nient’altro. Puoi andare».

      L’autista, colpito dal congedo brusco, balzò in piedi.

      «Quando ha bisogno di me…».

      «Non ho bisogno di nessuno».

      L’altro uscì, senza capire che diavolo fosse entrato nella testa del commissario.

      De Vincenzi era rimasto assorto. Che brutta, che ripugnante commedia, la vita! Lui, in fondo, era un sentimentale e un puritano. Il tradimento di una moglie lo feriva, come se il tradito fosse lui. Se avesse dovuto fare il giurato, avrebbe assolto tutti i mariti che uccidono. Non questa volta a ogni modo, si disse subito, perché c’era anche il cadavere di quella disgraziata. Un orrore!

      Si alzò e si mise soprabito


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