Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis
serio tutti quei morti li avrò poi io sulla coscienza!
Ma che succede adesso? S’è fatto un silenzio di tomba. Un silenzio vertiginoso di attesa tragica, come se tutta una moltitudine rattenesse il respiro dinanzi a una terribile apparizione improvvisa. Ma ecco che un rapido martellar secco si sgrana sonoro scorrevole musicale. Ah! sono le tanks: questa è la voce delle mitragliatrici inglesi!
Il festino preparato da Nikola è interrotto. La rivolta, se rivolta c’è stata, viene stroncata al suo inizio. Rule Britannia! Posso mettermi tranquillamente sotto la doccia.
R
8. La storia di Franzyska
Sono le 15 e ho appena finito di vestirmi nuovamente da cristiano, che entra Franzyska.
Questa volta non è in pigiama e reca la valigia dei miei documenti. Come mai questo fatto a ogni modo notevole e che comunque viene a restituirmi una certa tranquillità circa i miei destini, mi produce un’impressione così tiepida? Si direbbe quasi che io sapessi che Franzyska sarebbe venuta a riportarmi il maltolto. No, questo non lo sapevo, naturalmente, e non avrei potuto neanche supporlo; ma è un fatto che quel silenzio attonito di poco fa e poi lo scatto metallico delle mitragliatrici hanno dato al mio spirito agitato dalla lunga corsa e da così varie e violente commozioni, un’improvvisa tranquillità limpida e fatalista. Ho subito compreso, per una intuizione direi quasi molecolare, non rara nei temperamenti sanguigni, che quell’intervento delle mitragliatrici – da chiunque e per qualunque ragione provocato – era difinitivo. Inoltre, non so per qual ragione e probabilmente senza alcuna ragione, mi sono subito detto che, mediante quel fuoco razionale, anche tutti i miei guai erano finiti, assieme alla rivolta. Tanto vero che anche nei più drammatici frangenti dell’umanità è soltanto il nostro io che conta!
Così, l’entrata di Franzyska non mi ha recato la più piccola sorpresa, seppure mi abbia procurato un leggero turbamento generico, di carattere emotivo. È indubbiamente molto carina Franzyska, col suo corpicino serrato in un tailleur grigio tortora con la blusa di seta bianca e la zazzeretta luminosa. È molto carina anche se ha un’aria grave e compunta, che mi rivela la sua interessata partecipazione agli avvenimenti del mezzodì.
— A che cosa debbo l’onore della sua visita, signora Cripopoulo?
Ho detto questa frase con molta dignità e ho appena gettato un’occhiata assolutamente indifferente alla piccola valigia di cuoio giallo, che reca le mie cifre impresse in oro.
— Vedova!...
— Che cosa dite?...
— Vedova Cripopoulo. Mio marito è morto.
— Come lo sapete?
— I giornali usciti ora in edizione speciale lo annunziano.
Eppure, che Nikola sia morto mi dispiace!
— Sedetevi, signora. Posso liberarvi di questo ingombro?
Ho steso la mano verso la valigia. Ella me la porge e sospira: «Oramai!...». Oh! che cosa c’entra la mia valigia con la morte di suo marito? Sì, capisco bene il nesso logico degli avvenimenti; ma mi domando per quale ragione, come primo atto della sua vedovanza, Franzyska senta il bisogno di restituirmi la valigia.
— Volete dire che se vostro marito non fosse morto, io non vi vedrei ora nella mia stanza con questa piccola valigia che mi appartiene?
— Ah! no. La valigia avrei trovato il modo di restituirvela egualmente. Soltanto...
— Soltanto?
— Soltanto non avrei potuto impedire che i vostri documenti venissero manomessi.
— Se credete che abbiano importanza, quei documenti!
— Adesso non ne hanno più alcuna, lo so.
— Perchè: adesso?
— Ma perchè, dopo l’infelice tentativo di oggi, il Governo egiziano non penserà di poter neppure trattare la vendita alla Russia delle sue riserve di grano. E voi avrete raggiunto il vostro scopo, senza che quei documenti vi debbano servire.
È buono a sapersi. Decisamente Franzyska è una politica di prima qualità. Ah! questi polacchi che duttile ingegno hanno saputo fornire alle loro donne! Mi comincia a interessare Franzyska, per qualcos’altro che non siano i suoi occhi verdi e le sue gambe ben fatte. Se volesse... Ma andiamo adagio e con ordine: ella stessa mi insegna che non si devono scoprire le proprie batterie troppo presto.
— Franzyska, sedetevi e parliamo. Abbiate la bontà di chiudere la porta.
Guarda alla porta con un sorriso fugace e la chiude, senza far scorrere il piccolo catenaccio nichelato. Oramai!...
— Franzyska, come mai avevate sposato Nikola Cripopoulo, voi?
Solleva su di me i suoi grandi occhi verdi e china il capo, assentendo:
— Lo sapevo, che mi avreste domandato questo!
— Se la domanda vi offende!...
— Oh! no. E poi? Se anche mi offendesse, capisco troppo bene, che noi non potremo intenderci mai, se io non vi rispondo.
— Ah! dunque, voi accettate l’ipotesi di una nostra intesa?!
Vedo chiaramente che sta per dirmi: «Imbecille! e io sarei qui, se non avessi accettata una tale ipotesi?», invece mi dice:
— Che cosa intendete per un’intesa, John?
— Troppe cose, perchè io possa dirvele tutte in una volta, Franzyska. Volete che cominciamo con lo sgomberare il terreno da quelle spiegazioni preliminari che, come voi avete riconosciuto, oramai si impongono?
— Come volete, John. Vi racconterò la mia storia. Non temete! La mia storia è breve, e non è neppure triste, del resto. Io mi chiamo Franzyska Zerminowna. Questo vi dice che mio padre si chiamava Zermin. Era un ricco albergatore di Zakopane, mio padre, e io sono la sua figlia unica. Conoscete Zakopane? È un leggiadro paesettino sui Carpazi, stazione climatica d’estate, stazione di sports invernali all’inverno. È famosa. Le guide affermano che oltre trentamila persone visitano Zakopane in un anno. Non vi deve meravigliare, quindi, se quando io ebbi diciotto anni una di queste trentamila persone si innamorò di me. Era un uomo, naturalmente. Se fosse stata una donna, il fatto, pur essendo sempre notevole in se stesso, avrebbe avuto conseguenze assai diverse. Lasciai mio padre, Zakopane e le sue attrattive e seguii quest’uomo, ch’era un francese. Non domandatemi perchè fosse proprio un francese. È uso delle donne polacche cominciare con un francese, quando non cominciano con un polacco. Lo seguii, naturalmente, in Francia, prima a Parigi e poi sulla Costa Azzurra. Mi si era fatto credere ricco, quel mio primo amante, e io non avevo domandato di più. A casa mia avevo sempre vissuto nell’agiatezza e non pensavo che si potesse vivere altrimenti. Invece... invece non era ricco.
Mi racconta la sua storia con molta tranquillità, Franzyska, come se fosse la storia di un’altra donna. Ma così, seduta dinanzi a me, un braccio appoggiato alla spalliera della seggiola, l’altro abbandonato sul seno, la testa un poco rivolta in alto per guardarmi, gli occhi semichiusi, i capelli lucenti con quella loro fiamma d’oro cupo sulla fronte, è tanto carina, Franzyska!
— Era povero, anzi, e voleva vivere come un ricco. Si valeva di espedienti, quindi. Sulla Costa Azzurra di espedienti ne trovò quanti ne volle. Compreso quello di giocare. E poi quello di firmare assegni a vuoto, quando aveva perduto. Perdette spesso, tanto spesso che lo arrestarono e io mi trovai a Nizza, sola, in un albergo di primo ordine, con le mie valigie e il mio nécessaire d’argento per tutto capitale. Riconoscerete ch’era un capitale insufficiente. Di tornare a Zakopane, neppure a parlarne. Noialtre polacche siamo use di non tornare dai nostri parenti, dopo una fuga come la mia, se non nel caso in cui non abbiamo più bisogno di loro. La storiella del figliuol prodigo non è una storiella polacca. Di conoscere altri uomini, non avevo voglia. Mi sarebbe stato fisicamente impossibile, anzi! Conoscete la nausea? Ecco: io ero nauseata. Quel mio primo uomo – l’amante rapitore che