Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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      «Non vuol dirmi quel che è realmente avvenuto qui dentro, questa notte?»

      Si mise a passeggiare per la camera. Parlava sempre.

      «O prima o poi, arriverò a conoscere tutta la verità… È un dramma chiuso, ormai, il nostro. Chiuso tra le pareti di questo appartamento. Poche persone e sono tutte qui dentro. Vuole che gliele nomini?»

      Con terrore, Maria Giovanna gridò:

      «Non posso… non posso più.»

      E cadde di nuovo a sedere.

      R

      Il commissario attese lungamente prima che Maria Giovanna si calmasse.

      La guardava singhiozzare. Con il volto fra le mani, la giovane sussultava a balzi regolari. Era un dolore cattivo il suo. C’era da giurare che i suoi occhi non avevano lacrime. Dovevano essere secchi e aridi. Non uno di quei grossi pianti infantili, che liberano e purificano; ma la crisi dello spavento e dell’angoscia, la ribellione a qualcosa di più forte e di crudele, la rivolta contro l’ineluttabile.

      Sotto la tesa del cappellino di feltro nero, si vedeva la gran massa dei capelli biondi di lei, raccolta e molle sulla nuca chiara, ombrata d’oro.

      De Vincenzi attendeva.

      A poco a poco, i singhiozzi cessarono, le spalle non sussultarono più e la giovane, lentamente, sollevò e scoprì il volto.

      I grandi occhi profondi erano supplici. Guardò con umiltà l’uomo, che si teneva diritto davanti a lei.

      «Perché non vuol credermi? Mi creda e faccia cessare questo interrogatorio, che mi strazia. Accetti la mia confessione!»

      Il commissario le parlò con dolcezza, quasi:

      «Vogliamo tentare assieme di trovare la verità, quella verità, che lei stessa ignora? Soltanto, quando avremo potuto guardarla bene in volto, la verità, potremo tentare il salvataggio di quanto ancora non è andato a fondo.»

      Maria Giovanna continuò a fissarlo, senza parlare.

      «Sì, che lei lo vuole, signorina Marchionni. Per amor di se stessa, di suo padre, per amore di…»

      Stava per nominare Giannetto, ma si fermò: gli era apparso il volto pallido dai lineamenti così regolari, esili, trasparenti, come cristallo, di quell’altro, lassù, nella soffitta dai mobili troppo preziosi…

      Perché non giocare subito quella carta?

      Il tempo incalzava. Quella non era un’inchiesta delle solite, da condursi con placidità burocratica. Ogni minuto aveva peso e valore.

      Guardò alla porta del salottino, dietro cui doveva tenersi il conte ed esitò. Forse, il vecchio ascoltava.

      Alzò le spalle.

      Sapeva pure che — una volta finito tutto, una volta scoperta la verità — il terreno attorno sarebbe stato seminato di rovine.

      «Per amore di… Remigio Altieri,» scandì lentamente, abbassando la voce.

      E la giovane balzò in piedi con il volto improvvisamente acceso, gli occhi fiammeggianti, le labbra frementi di sdegno.

      «Come si permette, lei?… Perché proferisce quel nome?»

      De Vincenzi fece un gesto per placarla.

      La preferiva così, del resto, pronta alla lotta, nella pienezza delle sue forze.

      «Perché lo ha nominato? Chi le dà il diritto di frugare nella mia vita? Come ha saputo?»

      «Lei dimentica che Remigio Altieri abita in questa medesima casa…»

      Un lampo gli si era fatto nello spirito: «la signorina», come la chiamavano la portinaia e il cameriere, si recava quasi ogni giorno in via Monforte, passava davanti alla portineria, ma non sempre andava da Aurigi.

      «…e non vuol ricordare che si recava quasi ogni giorno a visitarlo, lassù, all’ultimo piano…»

      Fu come un crollo, che si produsse in lei. Il sangue, che le era affluito alle gote, le tornò impetuoso al cuore, lasciandola con il volto esangue, bianco di marmo.

      «Come ha saputo?» mormorò.

      «Non importa come io abbia saputo. L’importante è che ancora non abbia saputo nulla Aurigi…»

      E indicò la porta chiusa della sala da pranzo.

      Maria Giovanna seguì lo sguardo.

      «È lì dentro?» chiese con un filo di voce.

      «Lì dentro, in istato d’arresto» pronunciò fermamente il commissario. «E, forse, lui preferirebbe…»

      «Glielo dirò io stessa!» affermò Giovanna, irrigidendosi. «Glielo avrei detto da molto tempo se…»

      Ma si fermò.

      «Ebbene, tutto questo non c’entra!»

      Aveva ritrovata ancora una volta la sua energia. De Vincenzi capì che avrebbe lottato con le unghie e i denti, come una tigre, adesso che il suo segreto era stato scoperto.

      Occorreva giocar serrato, se non voleva perdere il vantaggio.

      Ma era proprio un vantaggio, il suo? O non più tosto lui brancolava ancora, senza aver nulla scoperto di essenziale e di concreto, correndo a volta a volta dietro luci effimere, che apparivano nella tenebra, per subito allontanarsi e scomparire, semoventi e fantomatiche come fuochi fatui?

      «Lasci da parte per sempre Remigio Altieri!»

      «Non mi è possibile, signorina Marchionni. Fin quando non abbia saputo chi ha ucciso il banchiere Garlini, mi è impossibile lasciare in disparte nulla e nessuno. Il signor Altieri dovrà rispondere di se stesso, come tutti gli altri.»

      «Ah! no!»

      Il grido risuonò soffocato, ma terribile. C’era in esso tanta passione contenuta che il commissario rabbrividì sino alla nuca: ebbe proprio la sensazione fisica di una vibrazione intensa ed elettrica.

      Come lo amava!

      Ma perché, allora? Perché, era venuta ad accusarsi di avere ucciso, tentando a quel modo di salvare Giannetto?

      E proprio lei era stata quella notte nella casa. E vi aveva smarriti una fiala di veleno e un bastoncino di cinabro.

      Eppure non aveva ucciso. Non poteva avere ucciso.

      «Perché non sarebbe stata lei?» si chiese ancora una volta il commissario e lanciò una rapidissima occhiata a quella pendola, che era la chiave del mistero.

      Maria Giovanna rimaneva diritta, fierissima, sfavillante, davanti al commissario e lo fissava.

      «Ah! no!» ripeté. «Lei non coinvolgerà Remigio Altieri in tutto questo. Lui non c’entra. Lui non ha altra colpa che di amarmi, come io lo amo. Perché io lo amo. Avrei spezzata la vita sua e la mia, per una ragione più forte e terribile del nostro stesso amore, del nostro stesso spirito di conservazione, ma lo amo, capisce? Non amo che lui! E forse, ormai, gliel’ho spezzata, la vita! Ma coinvolgerlo in tutto questo, no!… Non capisce, lei, che tutto il dramma che viviamo è ignobile!?… E lui è puro! Lui è superiore ad ogni sospetto!»

      Aveva parlato in fretta, ma sempre a voce bassa. Si fermò. Aspettava.

      «Ebbene, tutto questo può darsi,» disse De Vincenzi. «Ma io debbo sapere

      E si diresse verso la porta.

      «Dove va?»

      La giovane lo aveva seguito. Era pronta a slanciarsi.

      L’altro non si volse.

      «Dove va?» ripeté


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