Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi - Augusto De Angelis


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si era accorta che io ero agitato, preoccupato. Che avevo qualche angoscia grave… Ieri sera a teatro, in un momento di eccitazione, non sapendo come avrei fatto a versare più di mezzo milione a Garlini, le ho confessato tutto… la mia situazione… l’appuntamento con Garlini a casa mia… l’ora di esso e che avrei dovuto versare ieri notte stessa la somma a Garlini… Avevo ottenuto che aspettasse fino alla mezzanotte, mentre lui avrebbe voluto il versamento ieri nel pomeriggio. In un momento di debolezza, vedendo la rovina irrimediabile, ho confessato a Maria Giovanna di aver fatto venire Garlini a casa mia a quell’ora per…»

      La voce gli si ruppe e fu De Vincenzi, che continuò freddamente:

      «Vai avanti! Per ucciderlo… Vai avanti.»

      «Sì,» disse Aurigi. «Nel pomeriggio gli avevo scritto un biglietto, dicendogli che contavo sulla sua promessa di aspettare sino a notte.. e che venisse, perché io ero pronto a mantenere da parte mia l’impegno di versargli la somma… Garlini doveva depositare ieri il bilancio di fine mese e, se vi fosse figurato il mio scoperto, sarei stato rovinato… Così, volevo essere sicuro che lui lo avrebbe nascosto… Ero pronto a tutto…»

      Con un sogghigno, disse:

      «Anche ad ucciderlo… Ma non qui dentro, naturalmente… Non sarei stato così imbecille! Lo avrei condotto fuori… Ecco!»

      De Vincenzi gli si mise di fronte, fissandolo:

      «E la signorina Maria Giovanna lo sapeva?»

      «Sì. I miei nervi erano esauriti… Ebbi un momento di debolezza… Nel pomeriggio avevo avuta una scena terribile con lui… col conte Marchionni. Alla “Scala” perduto il controllo di me stesso, quando Maria Giovanna m’interrogò, le dissi tutto e fuggii da teatro… e venni qui…»

      Il commissario concluse con voce fredda.

      «Eppure, tu non lo hai ucciso!»

      «Mi si era fatto troppo tardi!… Io non porto mai l’orologio. Credevo che non fossero neppure le undici e mezzo e invece sono arrivato qui dentro e ho visto lì che era mezzanotte e mezza, lì a quella pendola. In casa non c’era nessuno. Ho pensato che Garlini fosse venuto e che, dopo aver suonato inutilmente, se ne fosse andato… Ho aspettato ancora fino a mezzanotte e tre quarti poi sono uscito. Mi sembrava d’impazzire… Ho girato per la città, senza saper dove andassi… Avevo l’impressione che il freddo mi facesse bene, ma mi sentii improvvisamente invadere da un esaurimento mortale… Avevo bisogno di non pensare più a nulla, di dormire, di dimenticare, di annientarmi. Allora, venni da te in Questura. A quell’ora non sapevo dove andare, avevo paura di tornare a casa, avevo paura di trovarmi solo. Inconsciamente pensai che tu mi avresti protetto, che, se fossi venuto presso di te, non avrei più ucciso… Non so spiegarti! Ma è così!»

      Aveva parlato con voce rapida, quasi avesse voluto vuotare tutto se stesso, liberarsi anche della sua anima, con quella confessione. E taceva schiantato.

      De Vincenzi si volse lentamente verso Maria Giovanna e poi verso il conte. Tacevano. Avevano ascoltato Giannetto e una grande meraviglia, uno stupore atterrito, si era dipinto sui loro volti.

      Guardavano De Vincenzi, quasi temessero che stesse per partire da lui l’accusa terribile. Se non era stato Giannetto ad uccidere, chi era stato? E il padre si volse a fissare Maria Giovanna, mentre questa non osava guardarlo.

      De Vincenzi, con la stessa lentezza, volse ora lo sguardo al quadrante della pendola.

      «Tu hai guardata l’ora lì. Su quella pendola. Essa segnava mezzanotte e mezzo… mentre erano le undici e mezzo! Nello stesso modo che adesso sono le dieci e un quarto e quella pendola segna un’ora di più. Sì, è così…»

      Con un trapasso rapido, anche della voce, quasi volesse che gli altri non afferrassero il senso misterioso di quella pendola, che andava un’ora avanti, chiese alla contessina Marchionni:

      «E lei, perché è venuta qui? Con quale scopo?»

      Era giunto il momento delle confessioni.

      I nervi di quelle tre persone si trovavano allo scoperto, tesi come corde di violino. Nessuna di esse avrebbe potuto tacere o mentire. E Maria Giovanna parlò:

      «Ieri nel pomeriggio mi trovavo in questa casa, quando Aurigi ebbe il colloquio con mio padre. Ho sentito tutto. Che Aurigi era rovinato, che doveva pagare la sera stessa una somma enorme… Ho capito che con la rovina di Aurigi sarebbe venuta anche la nostra! Le parole di mio padre a Giannetto erano chiare per me. Anche mio padre era alla disperazione. L’unica sua salvezza, io lo sapevo, stava nel mio matrimonio… ed improvvisamente ero venuta a sapere che Aurigi era rovinato! Allora… sono uscita di qui… ho preso un tassì… e sono andata da Garlini…»

      Il grido di Aurigi fu disperato:

      «No!»

      «Sì…» rispose la giovane. E continuò a voce bassa:

      «Garlini mi faceva la corte… Da molto tempo. Mi sono illusa che fosse un galantuomo, che fosse innamorato di me sinceramente. Ho sperato di avere un ascendente qualsiasi su di lui… E invece l’ho trovato… Ah!»

      Un brivido lungo scosse Maria Giovanna. E lei si coprì il volto con le mani, mormorando:

      «Che schifo!»

      Ma subito si riprese e, a volto aperto, parlò freddamente, con amarezza atroce:

      «Il suo sguardo parlava più chiaro della bocca! Mi disse che Aurigi aveva promesso di pagare nella notte, ma che lui non credeva che lo facesse. Era determinato a rovinarlo. Gli aveva aperto un credito tanto forte, appunto per non lasciargli poi via di salvezza… Sapeva che prima o poi avrei dovuto ricorrere a lui e cedergli, se volevo salvarmi dallo scandalo… Mi fece vedere che scriveva in mia presenza sui libri contabili il versamento di Aurigi come già avvenuto… Mi disse: “Ebbene, se questa notte non pagherà lui, pagherà lei, contessina!… L’attenderò a casa mia domattina alle undici; se lei non viene, rovino Aurigi…”.

      Preparò una ricevuta per Giannetto, sogghignando: ecco una ricevuta che consegnerò a lei e non a lui!»

      Maria Giovanna tacque, stremata.

      La pausa fu lunga.

      Giannetto era caduto a sedere. Fissava il vuoto davanti a sé.

      Il padre soffriva, soffriva tanto intensamente che i suoi occhi apparivano quasi folli di dolore.

      De Vincenzi disse dolcemente:

      «E poi? E poi lei è andata all’Ospedale, è vero contessina?»

      «Sì, come lo sa?»

      «Lei sta seguendo il corso d’infermiera della Croce Rossa… È andata nella farmacia dell’Ospedale e ha presa la fiala dell’acido prussico…»

      «Sì,» gridò Maria Giovanna, interrompendolo. «Non avrei potuto sopravvivere alla vergogna! E dovevo salvare i miei dalla rovina! Giannetto… Giannetto aveva giocato anche per conto di mio padre e mio padre non poteva pagare. Questa è la verità, che ho conosciuta ieri nel pomeriggio, nascosta di là… In quella stanza… Mentre qui Giannetto e mio padre discutevano. Questa è la verità e anche adesso Aurigi è stato generoso al punto di non rivelarla!»

      De Vincenzi si volse al conte:

      «È questa la verità?»

      Con sforzo evidente, ma a voce alta, Marchionni rispose:

      «Sì, questa è la verità.»

      «E allora lei ieri sera,» riprese subito il commissario, volgendosi verso Maria Giovanna, «quando seppe che Aurigi era pronto ad uccidere, pur di salvare suo padre e lei, venne qui per impedirlo e per… cedere a Garlini?»

      «Sì… Dopo mi sarei uccisa…»

      «E invece?»

      Facendo uno sforzo evidente su se stessa, la giovane continuò:

      «Sono


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