Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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E ho trovato Garlini morto…»

      «La porta era aperta?» chiese De Vincenzi.

      «Aperto il portone in basso… Socchiusa questa porta dell’appartamento… Sono entrata… E lì dentro, nel salottino… Il cadavere…»

      Si coprì il volto con le mani, vinta dall’orrore.

      Ma il commissario non le dava tregua.

      «Ed è fuggita subito?»

      «Ero atterrita,» continuò Maria Giovanna, togliendosi le mani dal volto. «E avevo il rimorso atroce d’essere arrivata troppo tardi, di non aver potuto impedire quel fatto orribile! Le forze non mi ressero… Quando sentii entrare qualcuno… Là… Da quella porta… Un terrore folle m’invase… Fuggii… Di là, in fondo, nel bagno… Era buio… Ho rovesciate le sedie… Mi è caduta di mano la borsetta… È così che debbo aver perduta la fiala… E sono rimasta lì dentro… Sconvolta… Trattenendo il respiro… Fin quando…»

      Esitò. Tacque.

      Allora, il conte Marchionni disse:

      «Fin quando io ho accesa la luce e l’ho veduta e l’ho sollevata e l’ho portata a casa… Ecco! Adesso, lei sa tutto. Anche che io sono stato qui questa notte… che conoscevo l’appuntamento di Aurigi pur sapendo naturalmente di mia figlia… che anch’io avrei potuto uccidere Garlini e non l’ho ucciso. Non l’ho ucciso, capisce, commissario?»

      Dopo un silenzio, la voce del conte risuonò con sarcasmo:

      «E adesso che sa tutto, se nessuno di noi tre lo ha ucciso, chi è stato?»

      R

      Infatti, adesso che erano stati eliminati i tre protagonisti principali di quella trista vicenda, le tenebre erano più fitte di prima.

      Se non loro tre — cioè Giannetto, Maria Giovanna e il conte Marchionni — chi, dunque?

      Alla domanda del conte, il commissario non aveva risposto, ma dentro di sé pensava che certamente quei tre avevano detto la verità e che pure essa sarebbe valsa men che niente, se non fosse stata corroborata da prove.

      «La mia convinzione personale non vale nulla, se io non riesco a scoprire il colpevole dell’assassinio», pensava tra sé De Vincenzi e si diceva con ansia: «Debbo scoprirlo subito… Prima che il giudice istruttore torni ed agisca… Qui dentro, in queste poche stanze, ci sono tante prove contro Maria Giovanna e il padre, da giustificare l’arresto immediato di tutti e tre e certamente anche la loro condanna. Se l’affare passa alla magistratura, io non posso far nulla, perché tutte le mie intuizioni e le mie impressioni psicologiche non hanno peso. Saranno presi tutti in un ingranaggio, che li stritolerà… E perché io so che sono innocenti di questo delitto, debbo fare l’impossibile per salvarli.»

      Ma tutte queste riflessioni non impedivano che lui, per quel che riguardava l’assassinio di Garlini, brancolasse nelle tenebre.

      Una prima luce gli era stata data da quella pendola, avanzata di un’ora. Ma non aveva servito che a convincerlo dell’innocenza di quei tre. Se l’orologio era stato messo avanti di un’ora, indubbiamente quel fatto doveva avere una connessione col delitto. Chi si era data la pena di avanzare le lancette doveva avere uno scopo ben preciso.

      De Vincenzi lo aveva compreso fin dal principio ed aveva altresì compreso che a compiere quell’atto non potevano essere stati né Giannetto, né Maria Giovanna, né il padre di lei.

      Commesso da uno di questi tre, il delitto non poteva essere che un delitto di passione: odio e scatenamento dell’istinto sanguinario in un individuo messo con le spalle al muro e con dinanzi a sé la rovina.

      Se fosse stato Giannetto ad uccidere, lui lo avrebbe fatto, forse con premeditazione, certo per disperazione. Ed appariva già strano che avesse ucciso Garlini in casa propria. Questa appunto era stata la ragione, che fin dal principio aveva lasciato perplesso il commissario. Poteva darsi, però, come del resto la confessione di Giannetto aveva confermato, che avesse voluto attrarre Garlini in casa propria, per poi ucciderlo altrove, e che invece fosse stato costretto dalle circostanze a mutar piano e a precipitare gli eventi.

      In ognuno di questi casi, ad ogni modo, l’avanzamento della pendola risultava inesplicabile.

      Maria Giovanna o il vecchio conte avrebbero potuto uccidere Garlini, per ragioni più complesse, ma sempre della stessa specie. E adesso De Vincenzi sapeva, dalle parole di quei due disgraziati, che almeno uno di essi aveva avuto nel proprio animo il proposito di sopprimere quell’uomo e che poi s’era trovato davanti al fatto compiuto.

      Quell’uno, il padre, molto probabilmente sarebbe stato capace di attuare il proposito; ma allora certamente, il delitto si sarebbe presentato in modo diverso. E gli indizi e le tracce avrebbero parlato da soli.

      Soprattutto non ci sarebbe stato l’indizio della pendola, perché non poteva esservi. Come pensare che il conte avesse messo avanti di un’ora l’orologio e perché lo avrebbe fatto?

      Ecco! Bastava questa constatazione a far sì che un uomo d’intelligenza e di osservazione, come De Vincenzi, escludesse immediatamente dal quadro quelle tre figure; ma non bastava, per ora, né ad indicare l’assassino e tanto meno costituiva una prova così lampante da liberare da ogni sospetto gli indiziati.

      De Vincenzi rifletteva a tutto ciò, con freddezza, con ponderazione, e il volto gli rispecchiava lo sforzo del cervello.

      Attorno a lui gli altri tre vivevano la loro angoscia, perché intuivano quanto passava per la mente del commissario.

      Tanto Maria Giovanna, quanto Marchionni si erano trovati davanti al fatto, nuovo per essi, dell’innocenza di Giannetto. Quando avevano trovato il cadavere di Garlini in casa di Aurigi, erano rimasti terrorizzati perché entrambi si erano detti che l’assassino poteva essere uno solo.

      Maria Giovanna aveva ancora nelle orecchie il suono delle parole esaltate di Giannetto e in quanto al conte, egli conosceva troppo bene la disperazione di Aurigi, per dubitare che fosse stato lui. Tanto più che quella medesima disperazione era nel suo cuore e lo aveva portato alle medesime terribili conseguenze.

      Ma adesso tutti e due avevano saputo che Giannetto non aveva ucciso. E tutti e due si erano subito detto che, escluso lui, i sospetti si sarebbero logicamente portati su di loro.

      Già la preoccupazione di giustificare se stesso e sua figlia, per essersi trovati in quella casa subito dopo il delitto, aveva spinto Marchionni a servirsi dell’opera di un detective privato, per seguire da vicino l’inchiesta e per fare accertare la colpevolezza di colui, ch’egli riteneva il vero autore del delitto.

      Marchionni non temeva per sé, ma per sua figlia e in quanto a Maria Giovanna, lei era soltanto sconvolta e non pensava a nulla, se non alla sua vita irrimediabilmente spezzata e a Remigio perduto per sempre!

      Per il terzo attore del dramma, Giannetto, dopo tutte le ansie di quella giornata e i terribili tormenti della notte, quando aveva creduto che Garlini non si fosse voluto recare a casa sua e che, quindi, la propria rovina fosse inevitabile, si aggiungeva l’altro terribile dolore datogli dalla rivelazione di Maria Giovanna.

      Giaceva, adesso, come un corpo inerte, sulla poltrona dove si era seduto e i suoi occhi fissavano il vuoto.

      Lui aveva amata Maria Giovanna. L’aveva, forse, male amata, da uomo che vuol vivere liberamente la propria vita, che è sicuro di sé, che è abituato a considerare le donne soltanto come uno strumento di piacere e di appagamento di ogni proprio senso, da quello estetico all’altro brutale dell’istinto.

      Ma certo nutriva per lei molta tenerezza e si era sentito pronto ad uccidere Garlini soprattutto per salvare lei dalla rovina.

      E all’improvviso aveva saputo che lei non lo amava. Che non lo aveva mai amato.

      Un atroce senso di vuoto gli si era fatto attorno. Aveva nella bocca il gusto amaro


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