Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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si guardava attorno smarrito. Si grattò in testa, mormorò: «Un cadavere… Il senatore!… Nel mio negozio…» e tornò a grattarsi.

      Guardò disperatamente Pietrosanto, come per chiedere il suo aiuto.

      «Come faccio? Ho tante cose urgenti…».

      «Non importa. Questa è la più urgente di tutte…».

      Dal corridoio venne il suono saltellante, rabbioso del telefono. Gualmo fece per correre.

      «No!» lo fermò De Vincenzi. «Vai tu, Cruni».

      Il brigadiere tornò subito.

      «E per lei, cavaliere».

      De Vincenzi andò al telefono.

      Era la Questura.

      «Che volete?».

      Gli rispose il telefonista.

      «Dottor De Vincenzi, è lei?».

      «Parla! Che vuoi?».

      «Meno male!… L’ho cercata anche a casa del senatore Magni e m’hanno detto che lei era già andato via…».

      «Ebbene?».

      «Il dottor Sani la prega di venire subito in Questura… C’è una signorina nei locali della Squadra, che deve parlare con lei…».

      «È quella che ha telefonato stamattina?».

      «Come lo sa? Il dottor Sani mi ha detto proprio così…».

      «Vengo subito!».

      Riappese il ricevitore e tornò quasi correndo nel negozio.

      «Cruni va’, e fa’ quel che t’ho detto».

      Uscì sulla soglia e chiamò i due agenti, che aveva lasciati Maccari, e che stavano a fumare sul marciapiede.

      «Voialtri!».

      Quelli accorsero.

      «Entrate e non vi muovete di qui».

      Corse al largo del Verziere e prese un tassi. Mentre vi saliva, vide scendere da via Corridoni Cruni col signor Chirico. Il brigadiere teneva per un braccio l’ometto, che si agitava tutto e che faceva grandi gesti di disperazione.

      R

      Un romanzo d’amore

      Anche quest’altra donna era bella!

      Decisamente, la caratteristica più notevole di tutta la inchiesta per l’assassinio del senatore Magni era costituita da una esuberante quantità di donne belle.

      De Vincenzi l’osservò rapidamente.

      Sani l’aveva fatta sedere davanti alla scrivania del suo superiore, dicendogli: «La signorina ha telefonato, stamane alle sette, perché desiderava parlare con un commissario. Poco fa ha chiamato di nuovo e l’hanno messa in comunicazione con me… Io le ho detto di venire alla Squadra e ti ho fatto avvertire…».

      «Bene. Grazie».

      Sani si ritirò.

      La ragazza guardava il commissario con occhi smarriti. Aveva le pupille brillanti, quasi fosforescenti. Tremava leggermente. Una signorina di buona famiglia, sembrava, per quanto avesse le labbra troppo rosse e le palpebre bistrate. Era elegante, con distinzione. Nulla di troppo vistoso in lei, se non la gran massa dei capelli di rame, che fiammeggiava sotto il cappellino nero.

      «Desidera parlare con un commissario?». «Sì…».

      «Dica pure…».

      «Forse, non le sembrerà molto interessante quel che sto per dirle… Io stessa mi domando perché sia venuta… Ma è stato più forte di me… Non sono riuscita a chiuder occhio tutta la notte… Stamane, appena si è aperto il caffè di fronte a casa mia, ho telefonato. Poi, quando stavo per parlare mi sono pentita e ho riappeso il ricevitore… Ma tant’è!… Non resistevo più. Forse, ho fatto male…». Quasi piangeva.

      «Si calmi, signorina. Non ha fatto male. Vedrà che ha fatto bene, anzi… Ma mi dica tutto!».

      «Sì, le dirò tutto… Ah! Ma lei mi deve promettere di non dirgli mai che sono stata io! Non me lo perdonerebbe e io, invece, voglio che mi perdoni!… Non spero che torni ad amarmi, ma, se penso che può capitargli qualcosa di male, impazzisco!… E vero che lei lo impedirà? Che lo proteggerà? Ma senza che lui lo sappia!…». Sbarrò gli occhi: «Oh! Se quell’altro lo uccidesse!». E si coprì il volto con le mani, come davanti a una visione atroce.

      «Si calmi» ripeté De Vincenzi. «Certo, noi lo proteggeremo… ma occorre che lei mi dica di che si tratta… e di chi si tratta soprattutto…». La ragazza singhiozzava: «Ah! Mi perdoni!… Sono molto agitata… Ho tanto sofferto!… E ho dovuto sempre fingere a casa mia, per non farmene accorgere da mia madre… Anche stamattina, per telefonare, sono uscita di casa, perché mia madre non vuole che telefoni a lui e mi sorveglia sempre…».

      «Sì, naturalmente… Capisco… Ma qui può stare tranquilla… E lui… chi è?».

      «L’ho conosciuto a casa di una nostra amica… Mi ha fatto subito la corte… mi piaceva… l’ho amato!… Anche lui sembrava innamorato di me… parlava di matrimonio… aspettava di prendere la laurea, per presentarsi ai miei genitori… Per un anno sono stata felice… Si è laureato ed… è diventato l’assistente del professor Magni… Da quel momento ha cominciato a trascurarmi… si è allontanato da me… Mi diceva che era per il gran lavoro… le visite… le operazioni… l’ospedale… Pretesti! Invece…».

      Si rizzò, fiera, sfavillante, accesa d’odio.

      «Invece, era per una donna! Per quella sgualdrina!… Un’americana, che è stata l’amante di tutti… persino del professore!… Capisce?…».

      De Vincenzi ascoltava con attenzione, cercando di non dimostrare l’interesse enorme, che quelle rivelazioni, apparentemente incoerenti e banali, avevano per lui.

      «Capisco, signorina. E le sono vicino con tutta la mia simpatia commossa, lo creda! Ma parli tranquillamente… cerchi di ritrovare le sue idee chiare… Se lei è venuta qui… in Questura… vuol dire che è accaduto un fatto nuovo grave… L’uomo che ama è minacciato?».

      «Oh! Sì!… Quell’altro non scherza e ieri sera glielo ha gridato in faccia: «Un’altra volta che lei osa minacciarmi, le do la lezione che merita! E le garantisco che non faccio le cose a metà, io!…». «Perché, vede, Edoardo lo aveva colpito… sì, lo aveva schiaffeggiato… e il professore aveva afferrato una seggiola e, se non ci fosse stata l’americana… quella sgualdrina, chi sa che cosa sarebbe accaduto!… Anch’io! Anch’io mi sono lanciata… ma Edoardo aveva chiuso la porta dietro di sé e, quando uscì era con lei… con quell’altra… e io son dovuta scappare…. ho dovuto nascondermi…».

      Singhiozzò ancora. Le lacrime le scorrevano per le gote.

      De Vincenzi la lasciò piangere in silenzio. Bisognava farla parlare, senza darle l’impressione di volerla stimolare, e senza soprattutto che dubitasse dell’importanza di quanto diceva.

      «Bene, signorina. Capisco il suo dolore… Vedrà che nulla, però, è irreparabile…».

      «Lo crede?» chiese lei, con ansiosa speranza.

      «Ma sicuro!… Si torna sempre al primo amore, quando è puro e buono… Un’avventura non conta… È uno smarrimento momentaneo… Vedrà!…».

      «Ah! Se fosse vero! Lo amo tanto…».

      «Dunque, lei lo conobbe in casa di un’amica… E come si chiama, lui?».

      «Edoardo!… E il dottor Edoardo Verga… assistente del senatore


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