Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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Vaghi…». «E dove abita?».

      «Non verrà a cercarmi a casa dei miei genitori!» esclamò con spavento.

      «Perché vuole che ne abbia bisogno?». «Via Pisacane, 42…». «Grazie…».

      E uscì non del tutto rassicurata.

      De Vincenzi pensò che almeno il mistero della telefonata era svelato.

      R

      Il peso dell’inconoscibile

      Erano circa le quattordici, quando De Vincenzi, che aveva fatto una sommaria colazione in una piccola trattoria accanto a San Fedele, vide entrare nel suo ufficio Cruni.

      «Stanno qui di fuori, cavaliere…».

      De Vincenzi era stato sorpreso a leggere. Alzò la testa.

      «Ah! E chi c’è lì di fuori?».

      «Il libraio e due donne…».

      «Due? Perché due?».

      «Siamo andati a casa sua a prendere la media… quella che parla con gli spiriti… e la figlia ha voluto assolutamente accompagnarla…».

      Il commissario non aveva neppure sorriso allo strafalcione del brigadiere.

      «Che gente sono?».

      «Modesta, ma per bene. La figlia fa la maestra e la madre è vedova d’un impiegato alle ferrovie… Una casa con bei mobili in via Cosimo del Fante…».

      «Falli entrare».

      Per quanto il brigadiere fosse stato abbastanza esatto nel dare le informazioni sulle due donne, De Vin cenzi non poté trattenere un moto di sorpresa, quando se le vide davanti.

      Se la figlia era una figurina sottile, insignificante, dal colorito scialbo, dagli occhi senza espressione particolare e la madre una donna d’una cinquantina d’anni più tosto obesa, già troppo flaccida per quella che doveva essere la sua età, dati i capelli neri senza fili d’argento e i denti tutti sani e smaglianti, entrambe avevano un’innegabile distinzione e una certa eleganza nel vestire, severa e di buon gusto, superiore alla loro classe sociale. Avanzarono verso la scrivania del commissario con serena dignità. Accanto a esse Chirico appariva più piccolo e giallo, tutto movimenti disordinati e gesti inquieti. «Seggano» disse subito De Vincenzi e, poiché nella camera vi erano due sole seggiole, oltre quella del commissario, il libraio si guardò attorno, si grattò la testa e rimase in piedi.

      La madre parlò subito, mentre tirava a sé la seggiola, per sedere. Aveva una voce dolce, ma stranamente profonda.

      «Non arrivo davvero a comprendere per quale ragione il suo agente ci abbia obbligate a venir qui… Se è, perché io talvolta, da quando il nostro dottore scoprì che posseggo strane e notevoli virtù medianiche, acconsento a partecipare a qualche seduta spiritica, le dichiaro subito che non l’ho fatto per lucro e che non mi sono mai prestata ad alcun trucco o ciurmeria qualsiasi».

      «Io te l’avevo detto, mamma, che non dovevi acconsentire!».

      E la giovane si volse verso il commissario.

      «Oltre tutto, le fa male alla salute, sa? E, quando torna da una di quelle sedute, per ventiquattr’ore ha il mal di capo e non può vincere un’estrema debolezza. Ecco quel che ci guadagna!».

      «Già!» continuò la madre. «Questo è un fatto: non ci guadagno nulla. E può dirlo il signore qui presente…» indicò Chirico, che si affrettò ad assentire energicamente col capo «… se io ho mai chiesto e lui mi ha dato mai alcuna ricompensa in denaro per quelle due o tre volte che ho partecipato alle sedute del Circolo…».

      De Vincenzi le aveva ascoltate, senza interromperle. Parlavano in fretta, ma scegliendo le parole e con una leggera enfasi. Quella doveva essere una deformazione professionale della figlia, che faceva la maestra, di cui aveva risentito la suggestione anche la madre.

      «Nessuno pensa» pronunziò finalmente il commissario «a farle una colpa, signora, di queste sue pratiche…».

      «Ma io non pratico nulla!».

      «Dirò, allora, di queste sue virtù medianiche… E in quanto a sua figlia, ella è fuori

      causa…».

      «In tal caso, non so spiegarmi…» mormorò la donna e fissò De Vincenzi coi suoi grandi occhi neri.

      «Lei ha partecipato a una seduta spiritica tenutasi qualche giorno fa in via Broletto?».

      «Può darsi… Anzi, certo è così. Ricordo perfettamente. Venne il signor Chirico a pregarmi di parteciparvi…».

      De Vincenzi si volse e fissò l’ometto con occhi severi.

      «Perché lei ha mentito, dicendomi che era stato un socio a presentar la signora?».

      Chirico si turbò.

      «Ma io… ero sconvolto… un cadavere… il senatore Magni!… Come voleva che pensassi? Che ricordassi?… Ho detto per dire…».

      «Sta bene!» troncò il commissario e si volse di nuovo verso la signora. Trasalì. La donna si era fatta mortalmente pallida: sembrava stesse per mancare.

      Anche questa! pensò De Vincenzi. Sarebbe la quarta, che mi sviene davanti in poche ore. Ma questa qui, poi, perché?

      «Si sente male, signora?».

      «Mamma! Mamma!» gridò la giovane e le corse vicino.

      «Non è nulla!» mormorò lei, facendo un visibile sforzo su se stessa. «Se può darmi un po’ d’acqua…».

      Chirico saltellò fino all’armadio ed empì un bicchiere, versandovi l’acqua dalla caraffa, che vi si trovava accanto, sopra un vassoio di legno.

      La donna bevve.

      «Ha parlato di un cadavere, lui!».

      «Le fanno tanta impressione a sentirli soltanto nominare!…».

      «No… non è questo… Ma vorrei che lei mi dicesse di che si tratta…».

      E aggiunse in fretta, con vera angoscia: «Non può essere!… Non sarà certo il senatore che è morto!…».

      «Perché pensa alla morte del senatore?» chiese subito De Vincenzi.

      La donna ebbe uno scialbo sorriso e guardò De Vincenzi con occhi sempre più febbrili.

      Il libraio lanciava sguardi smarriti. Il suo era quasi terrore. Finalmente, riuscì a parlare.

      «Si sono avuti altri casi, registrati da scienziati insospettabili. La chiaroveggenza è una facoltà riconosciuta, in certi soggetti… E terribile, però!… Attorno a noi vive tutto un mondo di cui noi nulla conosciamo!…».

      «Ma che cosa state dicendo?» gridò De Vincenzi, che si sentiva invadere da uno strano malessere. «Siete impazziti!».

      E poi sorrise pel primo a quel suo scatto nervoso.

      «Lei taccia, per ora. Lasci parlare la signora. Che cosa teme che possa essere accaduto? Che cosa vuol dire e qual è questa sua storia del cadavere?…».

      «Glielo dica lei!» disse la donna, rivolgendosi a Chirico. «Glielo dica lei…».

      Il libraio appariva sempre più turbato.

      «Non c’entra col delitto. È impressionante, ma non c’entra. Al commissario non può interessare un fatto di questo genere!».

      «M’interessa molto, invece, e la prego di parlare, una buona volta!».

      «Ebbene l’altro giorno… la seduta si svolse regolarmente… La signora cadde in trance… Avvennero i fenomeni consueti… levitazioni del tavolo… colpi intelligenti…


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