Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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e l’aprì silenziosamente. Guardò dentro e non vide nessuno. Ma dalla seconda camera veniva il suono concitato e sommesso di due voci. Patt doveva trovarsi nel salotto con il dottor Verga. De Vincenzi richiuse la porta.

      La signora Magni veniva lentamente dal fondo. Il suo pallore di avorio sembrava maggiore per l’abito nero, che aveva indossato. Più che mai appariva matronale e bellissima.

      «Le ho fatto telefonare, perché la scomparsa di quella ragazza non mi sembra normale».

      «Ha fatto bene, signora!».

      «Vuole accomodarsi?».

      E indicò il salottino dove già De Vincenzi era stato introdotto alla mattina.

      «Preferirei dare un’occhiata alla stanza della cameriera».

      «Venga».

      Traversarono una camera da pranzo ricchissima, con le credenze cariche d’argenterie e quadri di fiori alle pareti. Poi un salotto chiaro e luminoso, una guardaroba e giunsero a un corridoio, sul quale si aprivano tre por te. La prima era la cucina, la seconda quella della cameriera. Nel passare davanti alla cucina, De Vincenzi vide una donna anziana, obesa, evidentemente la cuoca. La camera di Norina aveva il letto di ferro, un cassettone con uno specchio, un armadio e qualche seggiola. Il letto era rifatto. Sul cassettone due o tre fotografie di uomo. Sempre lo stesso: un giovanotto dal volto equivocamente bello e dallo sguardo falso e fuggevole. Una di esse lo riproduceva vestito da marinaio e in quel costume la bellezza troppo femminea del suo corpo appariva ancor più evidente. «Lei sa chi sia quest’uomo?».

      «Il fratello di Norina».

      De Vincenzi tolse una fotografia dal portaritratti e se la mise in tasca.

      «Come si chiama la sua cameriera?». «Norina Santini… So che è nata a Livorno…». Il commissario scrisse il nome sul margine d’un giornale, che aveva in tasca.

      Si guardò attorno. Nessuna traccia di fuga. Aprì i tiretti del cassettone. Biancheria abbastanza fine. Un pacco di cartoline illustrate. Qualche lettera. Tutto in ordine. In un angolo della camera, in terra, una valigia. Nell’armadio qualche vestito e un mantello pesante. «Non ha portato via nulla. Tornerà…». «E strano, però, che abbia abbandonato la casa prima di mezzogiorno, senza dir nulla… quando sapeva che avrebbe dovuto servire a tavola…».

      De Vincenzi guardava sempre nei tiretti. Cominciò a rimuovere il pacco delle lettere e delle cartoline. A un tratto prese in mano un ritaglio di giornale, che riproduceva il ritratto di un uomo e lo fece sparire lestamente nella tasca.

      «Ha trovato qualcosa?».

      «Uhm…» fece il commissario e corse all’armadio, fingendo di osservare con grande attenzione un vestito, per non rispondere.

      Il ritratto riprodotto dal giornale era quello del senatore.

      «Qui non c’è null’altro da vedere, signora».

      Tornarono in anticamera.

      «Da quanto tempo era al suo servizio, Norina?».

      «Un paio d’anni, mese più, mese meno…».

      «Lei ne era contenta?».

      «Non posso dir che bene di lei. Rispettosa, abile, lavoratrice…».

      «Il fratello veniva a trovarla?».

      «Mai, fino alla settimana scorsa. Fu giovedì o venerdì dell’altra settimana che io, sentendo una voce sconosciuta in anticamera, qui dove ci troviamo adesso, venni a vedere e trovai Norina con un giovanotto. Mi disse che era suo fratello. Avevo già notato le fotografie e lo riconobbi. Poi tornò ancora. E ieri Norina mi chiese di poter uscire un paio d’ore, perché suo fratello doveva partire e voleva salutarla. Così mi disse».

      De Vincenzi si diresse verso la porta.

      La signora fece un gesto.

      «Lei non ha da dirmi nulla?… Hanno trovato qualcosa?».

      Il commissario scosse il capo.

      «Chi ha ucciso mio marito?» chiese la donna con voce bianca, tanto più drammatica quanto apparentemente immobile.

      «Le prometto che il delitto non rimarrà impunito, signora!».

      La donna aveva gli occhi gonfi di lacrime. Si vedeva lo sforzo che faceva per non scoppiare in singhiozzi.

      «E terribile!» mormorò sempre con quella voce opaca.

      «Sì, è terribile» ripeté De Vincenzi come un’eco. E le si avvicinò.

      «Lei non ha sospetti? Non può supporre chi potesse nutrire verso suo marito un odio tale da…».

      «No!» rispose la donna e la voce si fece tagliente. «No! Non so immaginarlo. Non conosco i nemici di mio marito, più di quanto non ne conosca gli amici». Forse, avrebbe voluto dire le amiche. «Che cosa pensa lei di miss Drury, l’infermiera?». Gli occhi della signora si fecero duri. «Che cosa vorrebbe sapere con precisione da me? E proprio necessario che le risponda?». «No, grazie. Mi scusi».

      Vi fu un altro silenzio. Poi il commissario fece un gesto, per prender commiato. Quando fu sulla porta, si volse. «Farò ricercare la cameriera, naturalmente… Ma se dovesse tornare, le sarò grato se mi avvertirà…». La signora assentì col capo.

      Appena in istrada, De Vincenzi si volse a guardare le finestre dell’appartamento del senatore. Erano tut te chiuse e le tendine abbassate. Eppure lui avrebbe giurato che, dietro una di quelle finestre, qualcuno lo stava osservando.

      Scese in fretta via Corridoni ed entrò nel negozio del libraio. Davanti al portone dello stabile, vide la portinaia belloccia, che teneva circolo. Parlavano evidentemente del delitto. Quello sgorbio di suo marito doveva trovarsi al deschetto, a meno che non fosse all’osteria, a tener circolo anche lui. E dentro lo stabile su per quel cortile a imbuto, i miasmi di tutto un putridume d’anime e di corpi continuavano a salire in sempiterno…

      Nel negozio Pietrosanto stava sfogliando un grosso volume illustrato davanti agli occhi dei due agenti di Maccari.

      «Non hanno mandato a sostituirvi, voialtri?». «No, cavaliere» rispose uno di essi. «Ma non fa nulla» fece l’altro con un sorriso. «O qui o altrove, per noi…».

      «Già? E state meglio qui dentro, del resto». Pietrosanto aveva chiuso il volume. «Stavo mostrando loro le illustrazioni del Dorè al Don Chisciotte…». «Il proprietario?». «Non è più tornato». «Di là è entrato nessuno?». «No, cavaliere» disse subito un agente. De Vincenzi si diresse verso il corridoio, ma prima di entrarvi si fermò.

      «È proprio sicuro lei, di non aver notato nulla d’in solito nella saracinesca, stamane, quando ha aperto il negozio?».

      «No… non credo… Gliel’ho detto: io non apro mai…».

      «Era chiusa bene?». «Mi sembra…».

      Pietrosanto aveva esitato nel rispondere e De Vincenzi lo notò.

      «Che cosa l’ha colpita? Dica!».

      «Colpito? No. Ma, ripensandoci, ho l’impressione che una sola delle due serrature fosse chiusa, mentre ieri sera certamente, furono fatte girare tutte e due…».

      «È sicuro di questo?».

      «Sicuro? No».

      «Chi aveva le chiavi?».

      «Il portinaio, qui accanto…».

      «Vengono sempre consegnate a lui?».

      «O a lui o a sua moglie. E non è mai mancato neppure un libro».

      «Già… E quel libro raro… che lei dice che manca?…».

      «Ah! Il libro! Vuole il titolo?».

      «Perbacco!».

      Pietrosanto


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