L'alcòva d'acciaio: Romanzo vissuto. F. T. Marinetti
frenesia della fucileria seguo la trincea. Certo ogni combattente appare ai miei occhi come un nucleo opaco o meglio come il mozzo di quella misteriosa ruota di diafano azzurro. Intuisco così la presenza della vita vissuta che avviluppa ogni combattente nel momento della battaglia.
Sono grovigli di giorni passati, di gioie godute, di dolori sofferti che affettuosamente si arrotondano sull’uomo nel giuoco supremo; quando le forze ostili lo assaltano da ogni parte. Ogni ruota azzurra è diversa dall’altra, non so se per l’età, le condizioni di vita, o la coscienza. Malgrado le ondate sbattenti dei fragori e degli echi polifonici io odo quelle ruote azzurre veramente vive chiamare, gridare, implorare. Voci di donne in lagrime, gridio di bambini al sole e la madre impietrita che singhiozza, e il viso del padre che si scolora leggendo il giornale, e la bocca soavissima fresca che mostra le sue perle più ricca di ogni ricchezza.
Ecco sfioro la schiena d’un forte soldato dal viso cotto dal sole: sono nel suo alone azzurro e tremo come chi entra nella casa dove è morto qualcuno fra pianti disperati. Il soldato che m’è vicino e che spara, spara, affrettando i colpi è forse un marinaio. Chi pensa più alle fischianti pallottole che cinguettano sul capo coi primi passeri indifferenti? Sono preso dalla gioia di scoprire una nuova legge. Ben lontano dai Bergson seduti nelle cretine poltrone universitarie trovo nel momento più pericoloso d’una battaglia la soluzione di molti problemi che i filosofi non potranno mai scoprire nei libri, poichè la vita non si svela che alla vita. Il segreto amplesso del passato e del futuro nella stessa coscienza si rivela a coloro che tutto il passato hanno vissuto, sudato, pianto, baciato, morso e masticato e che vogliono fra le carezze o le gomitate della morte vivere, baciare, masticare e soffrire il loro futuro.
I fanti della brigata Casale mi appaiono come astri nella loro atmosfera gassosa di luce azzurra. Atmosfere ruotanti che si sfrangiano simili a ruote dentate della gran macchina della battaglia. Il mistero mi avvince, la divinazione mi incoraggia. Ogni ruota è formata, tessuta di innumerevoli piccole ruote. Più queste piccole ruote snelle e combacianti sono numerose, più l’alone o ruota globale chiude fortemente il nucleo che è più compatto. Quando è facile decifrare e contare le ruote secondarie che girano sul combattente, questo ha un nucleo più fragile e più scoperto; e la massa di sensibilità vissute, ondeggiando elasticamente e agganciandosi ad altri aloni, lo protegge poco o affatto.
Potenza della nostra razza meravigliosa e della sua sensualità dentata, polputa e coperta di bocche come una piovra! In quelle ruote azzurre vi sono tutte le forze affettive dei congiunti, amici, parenti, figli, madri, amanti e bambini che unite alle forze dei dolori e piaceri passati corazzano i combattenti. Avevo già ammirato la bella qualità d’uomini che distingue la brigata Casale, uomini forti, agili, scattanti, con muscoli visibili, denti e capelli ben piantati. Li ho sentiti i migliori della razza eletta perciò capaci di amare, più amati, più ricordati, più istintivi. Amici del sole e del mare, sanno agire bene senza pensare, hanno quasi tutti oggi un forte alone azzurro d’affetto e di coraggio protettore; vincono, vinceranno, hanno già vinto, ne sono sicuri.
Infatti mentre cresce dovunque la spavalderia gesticolante del sole scopando via con le sue lunghe scope d’acciaio e d’oro flessibilissime le immani matasse di fumi, nebbie, fragori, rumori, io constato che fra questi combattenti dagli aloni azzurri vi sono pochi morti, molti feriti, ma questi raggianti e sicuri d’una prossima più forte salute domani.
Tre ore dopo rientravo al Gruppo. Riordinamento delle linee telefoniche rotte. I guardafili corrono sulla strada. Uno porta l’apparecchio telefonico, l’altro rotoli di filo. Incontro dei porta-ordini in biciclette veloci che ondeggiano su e giù nei vasti buchi scavati dalle granate. Il fuoco austriaco rallenta sempre più. Giungono le ultime granate colleriche disperate. Trovo al Gruppo bombardieri le prime notizie e le voci che corrono false, vere, imprecise. Molti feriti, pochi morti. I nostri muli massacrati. I nostri fanti contrattaccano con gli Inglesi a Cesuna per riprendere i 300 yards perduti. Una baracca nostra vuota in fiamme. Il bombardamento austriaco si accanisce ancora su Campiello. Gli Austriaci hanno preso cima Ekerle agli Inglesi. Molti colpi sono caduti su Piovene e su Schio. L’offensiva austriaca è generale dal Val D’Astico fino al mare; con fluttuazioni la linea nostra resiste poderosamente. Sento nell’aria la sicurezza della vittoria.
Alle 10 il bombardamento che è cominciato alle due e mezza di notte è completamente cessato. Val Silà riprende la sua fresca anima alpina, bacinella di silenzio puerile, tenero, nostalgico. Ma l’invade un nuovo frastuono veramente inaspettato. E’ il corteo orchestrale di ieri sera che gira spaccando i timpani colla virulenza delle latte percosse, i lazzi, i pernacchi. Hanno aggiunto due chitarre e un clarinetto. Il direttore impazzisce gesticolando di gioia; sembra guidare buffonescamente l’anima ancor commossa della Patria alla fiera finale dove saranno macellate e mangiate dai panciuti e ghiotti cannoni le mandre austriache.
Mi addormento in baracca affranto, soddisfatto. Sonno pesantissimo.
A mezzo giorno due nostre cannonate mi svegliano dandomi l’illusione di Ghiandusso battente alla mia porta. Grido nel sonno «Ava-a-anti». Ho preso due cannonate per un innocuo bussare alla porta, tanto il mio sonno fu profondo.
Tre giorni dopo il generale Monesi in automobile si ferma davanti alle baracche del Gruppo. Entra, allegro. Eccellenti notizie. Con La sicurezza di un generale vittorioso, dopo avermi detto di avere assistito alla serata futurista di Brescia mi parla del piano fallito degli Austriaci che speravano di tagliarci fuori facendo cadere tutto il massiccio nostro (Forte Corbin, Cima Arde, Cesuna) giungendo al Cengio e poi al Pao con un aggiramento. Le nostre posizioni perdute del Tonale sono riconquistate. Asiago, il Grappa sono fermi. Abbiamo perduto una parte del Montello sul quale pesa lo sforzo principale degli Austriaci, che sono però contenuti.
Il generale Monesi parte sotto una pioggia dirotta, mentre si straccia il nebbione agitato e dilaniato dal vento che sale da Val D’Astico inesauribile caldaia di nebbie. I nostri 75 campagna non tacciono mai e i loro proiettili hanno dei rumori di siluri sull’acqua.
Ptoo!... fisssss
Pto! Pto! Pto! fiiiiii
Ptoo! Ptoo! Ptoo! fiiiii
Il 19 giugno all’alba vedo venirmi incontro Zazà allegra e civettante con in bocca un foglio di carta, seguita dal suo nuovo corteggiatore Ligò cagnolino buffo incrocio di barboncino e di buldog bastardo. Agilissimo con mosse di cavallino, fulvo come Zazà ma frenetico di mosse, musino delicato con una strana punta rosea-nerastra, occhi acquosi-grigi, grazioso, intelligente, vivace, non più giovanissimo. E’ sempre in foia. Assale amorosamente Zazà e le strappa il foglio di carta. Io prendo a volo il foglio e leggo: «Bollettino Diaz—9011 prigionieri austriaci e circa 300 mitragliatrici austriache catturate. Le nostre truppe stanno riconquistando il Montello e ricacciando gli austriaci nel Piave».
Il 21 giugno sera sorveglio e dirigo un lavoro di mine per piantare una nuova baracca. Tre bombardieri intorno al pistoletto conficcato in una piega della roccia. La mazza bene impugnata da braccia rudi gira sulla mia testa scintillando ogni volta rosea in alto negli ultimi raggi obliqui del sole. Il secondo bombardiere ogni tanto spinge il raschietto nel buco per togliere la polvere. Con cura introduco la sabulite, capsula e miccia. Tutti via a 50 metri di distanza. Il bombardiere dà fuoco e fugge
Tum Tum PRAANG
Poi i tonfi toonfi dei blocchi ricadenti. Zazà abbaia e corre mentre un porta-ordini in bicicletta arriva trafelato. Il capitano legge e mi comunica l’ordine di partire per Scandiano e raggiungere le squadriglie di Auto-Mitragliatrici blindate alle quali sono assegnato.
IV.
UNA DONNA-PREMIO
Il 22 giugno, partendo da Val Silà a piedi seguito dal mio attendente Ghiandusso, che chiacchiera volubilmente, sento subito rinascere nelle mie gambe l’inebriante elasticissimo passo del Carso. La strada scende fra i grossi calibri Inglesi che gli artiglieri alti, biondi, casco coloniale e braccia nude ripuliscono cantando. Quelle voci aspre un po’ velate di marinai d’oltre Manica contrastano con le morbide ondate