L'alcòva d'acciaio: Romanzo vissuto. F. T. Marinetti

L'alcòva d'acciaio: Romanzo vissuto - F. T. Marinetti


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Cengio.

      La mia cagnetta Zazà sculetta, abbaia e m’invita a correre. Corro con lei fuori dalla strada. La montagna è tutta riplasmata dal bombardamento. Mi fermo e bevo la visione calda e nutriente della Patria coricata immensamente che sembra sollevare con ritmo felice l’ampio petto della pianura tatuato di strade e villoso d’alberi che il sole imbrillanta di un sudore dorato. La città e i villaggi sono i suoi amuleti.

      Oggi è il 22 giugno; 22 doppio di 11, mio numero preferito, numero fortunoso che mi lega alle forze favorevoli e all’Italia.

      A Campiello fra tre buche profonde di 305, trovo il mio carrozzino con mulo e bagagli. Tutti su con Zazà abbaiante. Ghiandusso dice:

      —Guardi quella granata da 280. Non è scoppiata. Dorme nel suo buco come un porcellino. Mi sembra di andare alla fiera.

      La strada già rovente è piena di soldati inglesi che corteggiano con omaggi incerti le belle popolane italiane. Ghiandusso sentenzia:

      —La guerra è stata fatta per mescià le rasse!

      Giungo a S. Orso, Comando della decima armata. Io provo sempre uno schifo istintivo nell’entrare nei comandi. Quasi sempre deprimentissimi ambienti dove regnano due generi di imboscati odiosi: gli sgobboni arrivisti, pavoni e tacchini di Stato Maggiore che antepongono sempre la loro carriera alla Patria e i fiacconi rammolliti che pensano unicamente a migliorare la mensa e allo champagne. Ho inoltre un profondo orrore per i generali che hanno quasi sempre delle civetterie ridicole di vecchie mantenute. Ma Caviglia fa eccezione e il suo ambiente è quasi degno di lui.

      Mi riceve affettuosamente e subito mi descrive sul plastico la battaglia del Montello, precisandomi tutti gli errori e tutte le correzioni già suggerite e in parte compiute con successo. Con la sua sorprendente calma ultra-piemontese, alto, freddo, pochi gesti, assoluto equilibrio fisiologico, armato d’un buon senso spoglio di frasi, egli parla del maneggio delle fanterie che non fu lodevole. Disapprova i due attacchi sui fianchi del Montello che furono come era prevedibile massacrati dalle artiglierie nemiche. Bisognava invece sferrare un attacco unico centrale, con 4 reggimenti, dopo avere simulato con un violento bombardamento le due azioni ai fianchi.

      Caviglia dice:

      —Badoglio ha creato un meraviglioso schieramento di artiglierie... Quando Badoglio ha il tempo di riflettere è un generale capace e potente. Ad ogni modo è il nostro miglior generale.

      Caviglia parla poi del Duca D’Aosta che era a Fogliano quando gli austriaci irruppero sulla nostra riva. Fu più volte invitato a ritirarsi, rispose sempre «No, rimango!» Il duca è un uomo coraggioso, freddo, e di gran buon senso. Quando gli sottopongono dei piani militari li esamina bene poi dice spesso: «Non vanno, portatemene degli altri». Riesamina, accetta o rifiuta senza boria, nè presunzione. Ha un ottimo capo di Stato Maggiore: Fabbri. Dall’Astico al mare il morale delle nostre truppe è semplicemente meraviglioso.

      —Ho visto i rincalzi assalire gli autocarri partenti per la linea con gioia trionfale. La popolazione del Piave è pure calma, sicura. Durante la battaglia del Montello ho visto i contadini arare la terra, e i bambini in piedi attenti intorno ai 75 campagna controbattuti.

      Parto da S. Orso con la convinzione che Caviglia è veramente il capo predestinato a stringere nel suo congegno volitivo, intuitivo e decisivo tutte le probabilità favorevoli e sfavorevoli, tutti i calcoli, tutte le forze degli uomini, della pioggia, del sole, e del terreno come altrettanti fili convergenti a quella meravigliosa tavola di commutatori elettrici che ha nel cervello. Bisogna che ad ogni costo Caviglia abbia il comando supremo della prossima immancabile battaglia finale.

      Schio è tutta sonante di canti al sole, quando vi entro sul mio carrozzino. Non riconosco quasi più la cittadina che sonnecchiava quest’inverno sotto le alte batterie austriache sdegnose. Oggi è veramente fiera d’aver subito i coiti furenti dei 305. Sulla piazza, incontro la fanfara dei primi bersaglieri che tornano dal Piave.

      Esplosione lirica del pomeriggio infocato. Passo aggressivo, fucili e tascapani fioriti, tutte le trombe al cielo spinte su dalle rudi facce di cuoio lucenti di sudore. Sopra, squilla il sole come la più bella tromba bersagliera lanciata in alto nel ritmo danzante della marcia.

      Vorrei proseguire, ma non posso, tanto la massa irruente di quelle forze guerresche mi s’avventa con prepotenza sul viso, preme su di noi come un Simun di gioia selvaggia. Gridano capriolando davanti ai bersaglieri i monelli in delirio. Le porte delle case, le finestre, i balconi spremono grappoli di donne e bambini scroscianti applausi, fiori sui cani abbaianti. Zazà si slancia, ma la ripiglio a volo, e tenendola fra le gambe guido a destra il mio mulo che dà calci con un’imprevedibile anima poetica.

      Mi viene incontro a ondate sbatacchianti, l’anima italiana tempestosissima, irta di belle pazzie, scamiciatissima. Dei bersaglieri riposano la bocca e se l’asciugano mentre gli altri a gote gonfie sembrano dilatare le case con globi violenti di suoni scagliati al cielo. E gli occhi ridono, e tutti ridono. Dietro le prime trombe marziali e cadenzate, saltellano si sganasciano e si divertono altre trombe mattacchione.

      Abbiamo vinto, tutto è permesso. Vi sono molte donne a guardarci. Spandono buon odore i bei seni accaldati sotto i capelli pesanti. «Un bacio, via, bella mora, non fa male! Che belle chiappe... Evviva la fila, signor tenente... Vieni giù biondina! Viva i bombardieri!... Viva i bersaglieri!... Viva la fila dei bersaglieri che resiste a tutti i colpi!»

      Un bersagliere colossale sembra quasi ingoiare la sua tromba, poi si curva fingendo di cadere a destra, a sinistra buffamente. Ogni tanto uno sgambetto all’amico davanti, una gomitata a sinistra e colla mano destra rema rema accarezzando le facce delle donne. Quella curva lo magnetizza: un pizzicotto. Colla mano sinistra scuote in alto la tromba bavosa mentre la sua mano destra arrotondata sulla bocca prolunga il suono dei pernacchi tumultuosi e dei lunghi uuu... uu-uu-uu- uu-uu-uu prr prr prr prr oooooooo aaaaaa.

      Bacia tutte le donne per forza. Queste stizzite ridono, strillano, ruzzolano quasi sotto il peso brutale nello schiamazzo dei bambini e dei cani. Il sole volantista arroventato ritto nel polverone incandescente delle strade celesti, gonfia dall’alto dei gas di gioia insalamandoli nella strada come in un enorme pneumatico torrido.

      Il mio carrozzino segue la corrente di quella passione popolare ed ecco a 100 metri da una strada laterale sbocca un battaglione scozzese.

      Contrasto prodigioso. Passo lento in cadenza, saggio, ritmato, monotono col dolce ondeggiamento dei gonnellini quadrettati color pinete alpestri, giubba kakì, berretto in forma di barchetta rovesciata sull’orecchio, fasce a mezzo polpaccio fissate da nastro e fiocco rosso. Splendore dei cuoi e degli ottoni. Tutti calmi con l’azzurro mite degli occhi rapito ai cieli di Scozia, tutti obbedienti per sempre al peso del fucile e degli zaini eleganti. Accompagnano la marcia con una melopea che senza urto s’innalza, si spande

      o-eee o-eee o-eee hurraaa!

       o-eee o-eee o-eee hurraaa!

      I bersaglieri salutano con tutte le trombe alzate, pigiano donne e bambini sulla sinistra e offrono con un frastuono infernale la destra all’altra razza che passa.

      Lenta - grave - forte - solenne. - Uno - due - uno - due, con piccole risatine brevi negli occhi senza voltar la faccia, uno - due, uno - due, venuti da lontano e sicuri della strada futura marciano gli scozzesi. Quando il tenente dà l’ordine, allora soltanto i pifferi nordici spruzzano allegria, e le sacre zampogne incominciano a gonfiare pance e mammelle con gioia comandata fra le braccia degli antichi montanari gonnelluti che le portano maternamente—nazii iii ziii biii biuu.

      I bersaglieri suonano il tippereri senza parole urrara pum - pumb papapapum - pumb para pum pum-pumpum.

      Rispondono gli Scozzesi

       Adioo miabeladioo.

      Passa il carreggio Inglese. Lussuoso scintillio di ottoni sui cavalli fortissimi. Zampe ingonnellate di lunghi peli. Il sole sembra ruzzolar giù magnetizzato sui finimenti ghiotti di scintille. In alto sui carri verde scuro pieni di cose ricche inutili i guidatori in kakì faccia rossa polverosa colla pipetta all’angolo della


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